GIOVANNI Diacono (Giovanni Immonide)
Era probabilmente romano e di ricca famiglia, se è vero che aveva alla Suburra un possedimento piuttosto vasto, dove erano edificati un'abitazione, un oratorio dedicato a S. Giovanni, come egli stesso racconta nella Vita Gregorii, e uno dedicato a S. Demetrio, come testimonia Anastasio Bibliotecario; il soprannome "Hymmonides" parrebbe un patronimico. Nulla sappiamo dell'anno della sua nascita; se, come è stato ipotizzato, egli fosse da identificare con un Giovanni diacono che intervenne al sinodo del dicembre 853 in cui venne ribadita la condanna di Anastasio Bibliotecario, essa sarebbe presumibilmente da collocare in un'epoca non posteriore all'825. Per ragioni non chiare, forse collegate con l'intervento a Roma del duca Lamberto di Spoleto durante la vacanza papale seguita alla morte di Niccolò I (novembre-dicembre 867), venne proscritto insieme con Gauderico vescovo di Velletri e Stefano vescovo di Nepi e mandato in esilio; ma grazie all'intervento del nuovo papa Adriano II ottenne in seguito il perdono dall'imperatore e poté rientrare a Roma. Sotto i pontificati di Adriano II e Giovanni VIII G. sembra aver raggiunto una posizione influente e prestigiosa alla corte papale. La frase finale della Vita Gregorii, nella quale G. esprime i propri debiti di riconoscenza per l'aiuto prestatogli dall'amico Gauderico in un momento critico, potrebbe riferirsi a difficoltà subentrate negli ultimi anni della sua vita; non abbiamo comunque ulteriori riscontri di un suo eventuale allontanamento dalla corte papale o di una sua caduta in disgrazia.
Non conosciamo la data della sua morte; egli era ancora in vita il 30 giugno 876 (data della seconda condanna di Formoso di Porto, presupposta dall'epilogo della Coena Cypriani), ma era morto già da qualche tempo al momento del decesso di papa Giovanni VIII (16 dic. 882), perché così risulta dal prologo della Vita s. Clementis, scritto da Gauderico e indirizzato a questo pontefice.
G. fu uno dei personaggi di maggior rilevanza culturale presso la Curia pontificia nella seconda metà del IX secolo e la sua opera letteraria è stata inquadrata in un progetto di rinnovamento e di rafforzamento politico del Papato promosso in particolare da Giovanni VIII.
La produzione letteraria sicuramente da attribuire a G. è concentrata nel giro di pochi anni, a partire dall'873. L'opera che godette in seguito di maggior fortuna è la Vita di papa Gregorio Magno, in quattro libri, scritta rielaborando fonti romane, in particolare con un largo impiego dell'epistolario del pontefice (il cosiddetto Registrum), e utilizzando due precedenti biografie, opera rispettivamente di un anonimo autore anglosassone e di Paolo Diacono. L'opera fu scritta a partire dall'11 marzo 873, quando venne commissionata a G. da papa Giovanni VIII, come viene dichiarato nel prologo; un anno dopo era pronto e ne venne reso pubblico il primo libro, mentre il secondo e il terzo vennero conclusi entro l'agosto dell'875. Il completamento del quarto libro si colloca infine poco dopo la Pasqua (15 aprile) dell'876, perché nell'ultimo capitolo dell'opera si fa menzione, in forma drammatica e oscura, del fallito colpo di mano organizzato in quella data da Formoso di Porto contro Giovanni VIII. La divisione in quattro parti, per esplicita dichiarazione dell'autore, risponde all'ordine del materiale prefigurato dalla Regula pastoralis dello stesso Gregorio, nella quale vengono delineate le caratteristiche del perfetto pastore dapprima nella sua preparazione alla carica, poi nelle sue caratteristiche di vita, quindi nel suo insegnamento e infine nel riconoscimento della sua debolezza. Dietro la scelta di elaborare una biografia di Gregorio, il grande pontefice fondatore della potenza politica del Papato, si può intravvedere il nuovo ruolo che il pontificato di Giovanni VIII tentava di attribuire a Roma, un ruolo - in qualche misura anacronistico - di punto di riferimento e di guida non soltanto spirituale nell'Europa postcarolingia; la biografia di Gregorio tratteggia in effetti le linee di politica ecclesiastica del grande pontefice, senza indulgere agli elementi miracolistici e soprannaturali tipici della produzione agiografica medievale, che vennero introdotti in successivi rifacimenti dell'opera.
Nella conclusione della Vita Gregorii G. dichiara di voler attendere alla compilazione di una Vita s. Clementis, che gli era stata richiesta dall'amico Gauderico, vescovo di Velletri, la cui chiesa cattedrale era dedicata a tale santo; l'opera doveva essere in fase di avanzata realizzazione quando G. morì, e fu terminata dallo stesso Gauderico, che la dedicò a papa Giovanni VIII. La Vita s. Clementis fu suddivisa da Gauderico in tre libri, dedicati il primo alla formazione del santo e alla sua vita precedente all'ordinazione episcopale, il secondo al suo pontificato e alla sua dottrina, il terzo al suo esilio, alla sua morte e ai suoi miracoli; dell'opera si conosce un solo manoscritto (conservato a Montecassino, Biblioteca della Badia, cod. 234, dell'XI sec.), che ne riporta peraltro soltanto il primo e la parte iniziale del secondo libro. A quanto si può capire, la parte di Gauderico nella sistemazione del testo si sarebbe limitata alla suddivisione in libri e a qualche altro aggiustamento di modesta importanza, e l'opera andrebbe dunque attribuita, nelle sue linee fondamentali, a Giovanni Diacono. La Vita è, per la sua parte iniziale, una riduzione, in chiave più strettamente agiografica, delle cosiddette Recognitiones pseudo-clementinae, una lunga e romanzesca biografia tardoantica che trattava delle vicende familiari giovanili del pontefice e di come egli divenne discepolo di Pietro, nota in Occidente dalla traduzione latina eseguita da Rufino di Aquileia. La riduzione di G. e Gauderico venne in seguito ampiamente utilizzata da Leone Ostiense per la composizione di una trilogia su s. Clemente; da questo ulteriore rifacimento si possono trarre indicazioni per ricostruire la parte mancante nel manoscritto cassinese, in particolare l'importante sezione finale in cui doveva essere narrata la traslazione delle reliquie di Clemente a Roma a opera di Cirillo e Metodio, nonché la morte di Cirillo e la sua sepoltura nella basilica di S. Clemente a Roma. Questi ultimi avvenimenti, di notevole rilievo per la storia dell'evangelizzazione dei popoli slavi, erano accaduti nell'868-869: G. e Gauderico vi assistettero con ogni probabilità di persona, e il loro racconto, per quanto ricostruibile, è dunque una fonte di primario valore.
L'ultima opera sicuramente attribuibile a G. è un rifacimento metrico (in 324 versi di quindici sillabe, completati da un prologo, un epilogo e una dedica finale a papa Giovanni VIII) della cosiddetta Coena Cypriani, un singolare ed enigmatico testo parodico di origine tardoantica, arbitrariamente attribuito a Cipriano di Cartagine, in cui erano rappresentati, nella cornice letteraria di un banchetto, numerosissimi personaggi biblici, ciascuno con i propri simboli o atteggiamenti caratteristici. L'attribuzione di questo rifacimento a G., già considerata molto probabile per la dedica a Giovanni VIII e per la menzione - che viene fatta nell'epilogo - di Anastasio Bibliotecario, del futuro successore di questo, Zaccaria di Anagni, e di Gauderico di Velletri, può dirsi definitivamente accertata dopo che C.M. Monti ha individuato nel codice Torino, Biblioteca reale, Varia 140, un incipit completo che identifica con sicurezza l'autore. L'epilogo dell'opera fu composto dopo il 30 giugno 876, perché in esso si fa riferimento alla seconda e definitiva condanna di Formoso di Porto e dei suoi seguaci, pronunciata in quella data. Rispetto all'originaria Coena pseudociprianea, la rielaborazione metrica di G. presenta un più spiccato carattere comico e un'esplicita indicazione di uso teatrale, fatto unico nell'alto Medioevo per un testo di questa estensione. Nel prologo l'autore adombra due possibili impieghi del testo: nella festa della Cornomannia, che si celebrava nel sabato in albis sul prato davanti al Laterano e prevedeva lo svolgimento di un preciso rituale scenico di carattere ludico; o all'interno di qualche banchetto trionfale alla corte dell'imperatore Carlo il Calvo. Che questi accenni, così come quello immediatamente successivo a un anziano mimo di nome Crescenzio, facciano riferimento a rappresentazioni effettivamente avvenute, e che sulla base di questi dati sia possibile datare con maggior precisione l'opera, è opinione oggi non più accreditata. Il rifacimento, decisamente singolare anche rispetto al suo modello, resta molto discusso, non essendo del tutto chiari i suoi scopi immediati e il retroterra teatrale e letterario che gli fa da fondamento. È stato rilevato (G. Orlandi) che vari tratti sembrano riallacciarlo a una tradizione di rappresentazioni popolari di derivazione classica; mentre G. Arnaldi, sottolineando le differenze e forse la concorrenzialità con un precedente rifacimento della Coena Cypriani a opera del teologo ed esegeta carolingio Rabano Mauro (scritto verosimilmente intorno all'855), considera il testo come un'ulteriore prova della consapevole autonomia culturale rispetto al mondo franco della Roma di Giovanni VIII, che riprendeva i suoi modelli da tradizioni antiche e mediterranee, ignorando le mediazioni carolinge. Mentre la Coena originaria ebbe una notevole circolazione medievale e fu oggetto di ulteriori rifacimenti, minore fu la fortuna della rielaborazione metrica di G., che si conserva in una dozzina di manoscritti.
Oltre alle biografie di Gregorio e di Clemente e al rifacimento della Coena Cypriani, G. aveva progettato un'opera di maggior impegno politico e letterario, cioè un'Historia ecclesiastica che è stata considerata una risposta di parte papale al progetto di unificazione europea di età carolingia. Conosciamo questo proposito dalle dichiarazioni di Anastasio Bibliotecario, che provvide a fornire a G. la traduzione latina di varie fonti in greco (lingua che G. non conosceva) necessarie per il lavoro, e precisamente di parecchi estratti dalle cronache di Niceforo, Giorgio Sincello e Teofane (chiamati nel loro complesso Chronographia tripartita) e di una raccolta di materiale relativo alla controversia monotelita (i cosiddetti Collectanea). Nei prologhi di queste traduzioni, effettuate a quanto sembra fra l'873 e l'875, si fa esplicito riferimento al fatto che esse erano da considerarsi materiali preparatori all'Historia di G.; si trattava di impresa di notevole impegno, come rivela anche la mole dei testi tradotti, e si può pensare a una sorta di incarico ufficiale attribuito a Giovanni. Di questa opera non abbiamo traccia, ed è probabile non sia mai stata realizzata, forse per la morte di G.; i lavori preparatori di Anastasio (soprattutto la Chronographia tripartita; i Collectanea ebbero una diffusione assai limitata) circolarono in seguito in linea indipendente, segno di una raggiunta posizione definitiva e autonoma, e non di un utilizzo provvisorio. Ma quello della preparazione dell'Historia ecclesiastica non fu l'unico caso in cui Anastasio mise a disposizione di G. materiali per la sua attività letteraria. È da identificare con ogni probabilità con Anastasio il personaggio (definito "praeceptor meus", in segno di rispetto o in ricordo di un magistero effettivo) che fornì a G. la traduzione latina dei brani del Pratum spirituale di Giovanni Mosco in cui si narravano vicende occorse a Gregorio Magno, che G. inserì poi nella Vita Gregorii (II, 45; IV, 63); si tratta probabilmente di una traduzione parziale e finalizzata al lavoro che G. stava preparando, poiché non vi è notizia di una versione anastasiana del Pratum nel suo complesso. In seguito Anastasio contribuì anche alla preparazione del dossier agiografico su s. Clemente, traducendo per Gauderico un opuscolo sulle reliquie del santo e un encomio del medesimo scritti da Costantino-Cirillo; ma, essendo queste versioni andate perdute, non è chiaro se e in che misura G. le utilizzò effettivamente.
Al di là dei singoli episodi che abbiamo segnalato, la collaborazione, e probabilmente l'amicizia, fra Anastasio e G. sembra essere stata il perno dell'attività culturale romana di quegli anni, che portò a una produzione letteraria senza confronti con il resto del secolo. Nella valorizzazione di fonti e materiali di origine italiana o orientale, in funzione storica o agiografica, è stato osservato un parallelismo con il progetto politico papale dei tempi di Niccolò I e Giovanni VIII, del quale Anastasio potrebbe essere considerato l'ispiratore e G. il pubblicista: un progetto nel quale il Papato, richiamandosi alle sue radici italiane e allo storico collegamento con l'Impero romano, ancora esistente a Costantinopoli, rivendicava autonomia d'azione e di magistero dai nuovi centri di potere dell'Europa carolingia.
Oltre alle opere maggiori, G. compose anche due inni in onore di Gregorio Magno, a corredo della Vita, forse perduti e comunque di difficile identificazione all'interno del materiale innologico altomedievale relativo al pontefice. Si è supposto che G. abbia avuto parte nella cura della corrispondenza di Adriano II e Giovanni VIII, subentrando ad Anastasio Bibliotecario che aveva esercitato tale funzione per Niccolò I; ma l'ipotesi non ha trovato finora riscontri precisi. Di maggior credito gode l'idea che a lui si debba la stesura della lunga notizia riservata ad Adriano II nel Liber pontificalis, rimasta misteriosamente incompleta. Di recente si è ipotizzato che G. possa aver redatto anche la seconda parte della notizia su Niccolò I, letterariamente assai più elaborata della prima. Sia per la notizia su Niccolò I, sia per quella su Adriano II resta tuttavia aperta l'ipotesi di un'attribuzione ad Anastasio Bibliotecario. Una possibile identificazione di G. con il "Iohannes diaconus" autore del commento all'Ettateuco conservato nella Bibl. nationale di Parigi, Fonds lat. 12309, oggi non gode più di alcuna credibilità.
Edizioni: Iohannes Hymmonides et Gaudericus Veliternus, Vita s. Clementis, in Excerpta ex Clementinis recognitionibus a Tyrannio Rufino translatis, a cura di G. Orlandi, Milano-Varese 1968; J.-P. Migne, Patr. Lat. LXXV, coll. 59-242 (S. Gregorii Magni vita); Iohannes Diaconus, Versiculi de cena Cypriani, a cura di K. Strecker, in Mon. Germ. Hist., Poetae Latini aevi Carolini, IV, 2, Berolini 1923, pp. 857-900.
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