PIESTRINI, Giovanni Domenico
PIESTRINI (Piastrini, Pistrini, Pestrini), Giovanni Domenico. – Nacque a Pistoia il 4 settembre 1680 da Francesco Maria di origine aretina, pittore e suo primo maestro.
Non è noto esattamente il cognome dell’artista, che si firma talvolta Pistrini talaltra Pestrini. Negli Stati d’Anime è registrato come Pistrini, mentre negli atti di nascita e di morte è ricordato come Piestrini. Qualche volta il nome è stato storpiato in Piastrini (Esuperanzi, 1987, p. 76).
Il padre, allievo di Salvator Rosa, fu attivo soprattutto a Pistoia, dove dipinse una tavola con S. Nicola da Tolentino per la distrutta chiesa di S. Lorenzo e decorazioni sia per il complesso di S. Mercuriale, oggi sede della Pretura e della Conciliazione, sia nel chiostro, nel Capitolo e in alcune stanze del convento della Ss. Annunziata, perdute. Per i lavori nel chiostro, festoni sorretti da giganti rinvenuti nel 1815 e poi deterioratisi, Francesco Maria coinvolse il figlio, il quale abitò presumibilmente dalla nascita (documentato dal 1696) fino al 1704 con la famiglia nei pressi della parrocchia di S. Giovanni Evangelista Fuorcivitas. Nel 1697, 1698 e 1701 Piestrini risulta assente dalla sua città natale (Esuperanzi, 1987, p. 76).
Piestrini proseguì il suo apprendistato a Firenze (Pio, 1724, 1977, p. 90) o a Pisa (Marrini, 1765-66, II, p. XI) con il senese Giuseppe Nicola Nasini, a sua volta scolaro di Ciro Ferri.
Secondo Nicola Pio, a Firenze Piestrini conobbe il suo mecenate, nonché conterraneo: il cardinale Carlo Agostino Fabroni, che facilitò il suo trasferimento a Roma nel 1702. Qui il prelato ospitò il suo protetto nel proprio palazzo situato alle pendici del Campidoglio, dove Piestrini rimase almeno fino al 1719, come registrato negli Stati d’Anime della parrocchia dei Ss. Venanzio e Ansuino. In quel periodo percepì una provvigione mensile (Cola, 2011, p. 89).
Va tuttavia rilevato come Giuseppe Nicola Nasini e il cardinale Fabroni si conobbero a Roma nell’ambito delle frequentazioni comuni di casa Albani. I due si incontrarono sicuramente in occasione della consegna di uno dei dipinti di Nasini destinati alla chiesa di Propaganda Fide, di cui il porporato era segretario. Inoltre Fabroni commissionò al figlio di Nasini, Apollonio, la copia del Transito di s. Galgano di Francesco Vanni per la sua collezione (Cola, 2011, p. 84). Non è escluso, quindi, che fosse stato lo stesso alto dignitario ecclesiastico a mettere in contatto il suo protetto, probabilmente conosciuto già a Pistoia, con Nasini.
A Roma Piestrini frequentò la bottega di Benedetto Luti, rivelandosi aperto anche agli stimoli che gli venivano da altri artisti presenti in città, come Pietro Bianchi, Giacomo Triga, Giovanni Paolo Pannini e Placido Costanzi. Il rapporto con Luti fu sicuramente agevolato dalla comune origine pistoiese e dall’intervento di Fabroni stesso, che stimava Piestrini al punto da possederne tre quadri: una Madonna, un Salvatore e un ritratto di se stesso (Cola, 2011, p. 85).
Con la sanguigna Romolo e Remo fatti adulti perseguitano e uccidono i ladroni, Piestrini vinse il terzo premio della seconda classe ex aequo con Giovanni Battista Calandrucci al concorso clementino dell’Accademia di S. Luca del 1704. L’anno successivo ottenne il secondo premio della prima classe con il disegno a matita nera rappresentante il Ratto delle Sabine, ex aequo con Ludovico Mazzanti.
Nel 1706 Fabroni, elevato alla porpora da Clemente XI, e suo cugino, il duca Rospigliosi, spinsero Piestrini a tornare a Pistoia per ottenere l’allogazione di una Incoronazione della Vergine per il soffitto della chiesa della Ss. Trinità, andata distrutta. Poco più tardi eseguì la pala con S. Filippo che porge aiuto a un naufrago per la chiesa dei Ss. Prospero e Filippo. Marrini ricorda anche come il cardinale Fabroni avesse inviato il suo protetto a Pistoia per dipingere una stanza della sua villa di Celle in località Santomato, ma di queste opere non rimane traccia (Marrini, 1765-66, II, p. XII).
Nel 1712 Piestrini fu accolto come membro della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (Esuperanzi, 1987, p. 78).
Del 1714 sono Il pellegrino Teocle consegna l’immagine della Beata Vergine al vescovo di Bologna e il suo pendant, Il recupero della tavola trafugata dai veneziani destinati alla chiesa della Madonna di S. Luca, oggi sistemati nella sagrestia di sinistra del santuario della Vergine di S. Luca di Bologna, firmati e datati, in cui Piestrini dimostra di aver assimilato la lezione di Luti ma di non essere immune dalle delicatezze formali dell’ambiente emiliano e dal colorismo veneto appreso probabilmente a Roma attraverso Francesco Trevisani. Emerge anche l’adesione alla moda dell’epoca grazie alla presenza di personaggi in costume.
Per Fabroni Piestrini eseguì anche il dipinto con S. Giovanni Guadalberto che moltiplica pane e vino per distribuirli ai poveri, per la chiesa dei padri Vallombrosani di S. Trinita a Firenze, firmato e datato 1714, e una tavola d’altare, dispersa, con l’Annunciazione per la chiesa di S. Iacopo dei padri della Missione.
Va sottolineato come l’intermediario tra Piestrini e i Vallombrosani fosse, nuovamente, il cardinale Fabroni, che dal 1709 aveva rivestito il ruolo di protettore della Congregazione.
Nel 1716 Piestrini affrescò, nell’atrio della chiesa della Madonna dell’Umiltà di Pistoia, Il miracolo del 1490, l’implorazione dei fedeli dinnanzi all’immagine della Madonna, la costruzione del nuovo tempio e la traslazione dell’immagine dall’antica chiesa all’altare del santuario, le sole opere, tra quelle commissionate da Fabroni, a essere sopravvissute. L’incarico era dovuto alla solenne incoronazione della Sacra immagine della Madonna dell’Umiltà. L’impianto scenografico delle storie e il gusto narrativo rivelano il legame con l’ambiente toscano, in particolare con il Cigoli. Il saldo per questi lavori fu emesso nel 1720 dal Banco di S. Spirito.
Tra il 1716 e il 1717 Piestrini eseguì un dipinto perduto, ma ricordato da Nicola Pio, per la chiesa romana di S. Maria della Pace (1724, p. 91). La consacrazione definitiva nell’ambiente romano arrivò in quegli anni con la commissione pontificia, ottenuta grazie all’intermediazione di Fabroni, del S. Ignazio condannato a morte dall’imperatore Traiano, per la navata centrale della basilica di S. Clemente a Roma, di cui esiste un dipinto preparatorio, decisamente più dinamico e meno retorico dell’opera finita, nella collezione Castelbarco Albani di Milano. Un altro bozzetto è stato donato nel 1999 da Fabrizio e Fiammetta Lemme alla Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Barberini a Roma.
Nel 1717 i Vallombrosani di S. Prassede di Roma gli commissionarono, per l’interessamento di Fabroni, il Martirio di S. Tesauro Beccaria, firmato e datato, per la cappella di S. Bernardo degli Uberti.
L’inconsueta iconografia con il manigoldo di spalle, invece che di fianco al santo, manifesta la vena creativa di Piestrini, che accentuò il pathos dell’episodio ricorrendo agli intensi effetti luministici desunti dal suo maestro Luti.
Ne La presentazione di Maria al tempio, anch’essa firmata e datata 1717, per il Duomo di Forlì, i personaggi in costume, la luce dorata e la cromia delicata denotano influssi dagli altri artisti presenti a Roma, in particolare Luca Giordano.
Ancora tra il 1716 e il 1717 i Patrizi chiamarono Piestrini per decorare la stanza di Marte e la volta della scala maestra della loro villa sulla Salaria, andata completamente distrutta.
Una maturazione del linguaggio di Piestrini in direzione marattesca, seppur meno raffinata nel disegno e nella resa del colore più freddo, si riscontra negli ovali con la Madonna del Rosario e Cristo risorto appare agli apostoli, eseguiti tra il 1721 e il 1725 su incarico del cardinale Benedetto Pamphili per la chiesa di S. Maria in via Lata.
Si suppone che in questo giro di anni Piestrini abbia dipinto anche il Redentore e S. Ignazio nella chiesa di S. Sisto a Pisa, in cui si rintraccia la stessa iconografia del Risorto riscontrabile nel quadro di S. Maria in via Lata. Nella stessa città, ma per la chiesa di Santa Maria del Carmine, dipinse La Vergine in gloria con San Giuseppe, Santa Vittoria e San Ranieri (restauro del 2014 di Lisa Venerosi Pesciolini con la supervisione di Alba Maria Macripò).
Nel 1722 e nel 1723 la candidatura di Piestrini come membro della prestigiosa Accademia di S. Luca non venne accolta, ed egli non fece mai parte di quella importante istituzione.
Tra il 1723 e il 1724 i padri serviti, con i quali già a Pistoia Piestrini aveva intrattenuto ottime relazioni, sfruttando il cospicuo lascito del teologo dell’Ordine, Gherardo Capassi di Firenze, lo incaricarono di affrescare la volta della loro chiesa di S. Maria in Via. Dopo aver realizzato ben due bozzetti preparatori, perduti, probabilmente su suggerimento degli stessi padri, Piestrini rappresentò l’inedito episodio della Prima messa di S. Filippo Benizi, canonizzato soltanto pochi anni prima, nel 1671.
L’opera, molto ammirata dai contemporanei, costituisce uno dei primi esempi di introduzione di elementi architettonici che scandiscono lo spazio della scena, all’interno della decorazione di una volta. Piestrini propose una sintesi tra gli insegnamenti barocchi di Pietro da Cortona e la leggerezza di tocco tipicamente rococò (Esuperanzi, 1987, pp. 70 s., 79). L’affresco oggi risulta impoverito da interventi di ripristino successivi che ne hanno asportato l’originaria freschezza.
Nel momento di massimo prestigio raggiunto dalla famiglia Conti, che aveva visto un proprio membro diventare papa, il duca di Poli, fratello di Innocenzo XIII, commissionò a Piestrini la decorazione della volta di una sala del proprio palazzo. La scena allegorica allude al buon governo del principe e testimonia una riflessione da parte di Piestrini sulla pittura bolognese riscontrabile anche negli affreschi del salone e della galleria del palazzo del marchese Onorati a Jesi, improntati a un programma iconografico unitario a sfondo etico, dove Piestrini poté esplicitare tutta la sua libertà inventiva dal punto di vista sia compositivo sia cromatico.
Nel 1726, il cardinale Fabrizio Paolucci, segretario di Stato, dopo aver promosso la ristrutturazione della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio incaricò il nipote, Camillo Merlini Paolucci, anch’egli prelato, di far eseguire tre dipinti per la tribuna. Piestrini realizzò, firmandolo, l’affresco con l’Elemosina dei due santi titolari, nel quale ripropose modelli fisionomici già collaudati.
L’anno successivo il cardinale Fabroni morì. Nel testamento lasciò al suo avvocato, Ferdinando Valenti, il dipinto di Piestrini La natività di Gesù (l’attuale ubicazione è ignota). Ancora nell’inventario dei beni del prelato sono citati un S. Bonaventura che appare a S. Francesco Solano, una Deposizione e una Resurrezione di Piestrini.
Piestrini aveva anche dipinto più volte il ritratto del suo committente: un’effigie si trova conservata nella Biblioteca fabroniana di Pistoia, l’altra, di fattura qualitativamente migliore e per questo attribuita con qualche riserva a lui, appartiene alla collezione Molinari Pradelli di Marano di Castenaso (Bologna).
Nel 1737 Piestrini realizzò due pale d’altare, dal soggetto sconosciuto, per le cappelle del piano nobile del palazzo della Consulta. Forse i due dipinti si deteriorarono (Esuperanzi, 1987, p. 81, in base a un documento del 1771), in quanto un quadro di una delle due cappelle fu sostituito con uno di Giovanni Domenico Porta, considerato che le condizioni di conservazione della precedente tela erano talmente compromesse da non permetterne il rifodero.
In quegli anni Piestrini fu impegnato nella decorazione del Duomo di Monterotondo (Roma), dove affrescò la volta con l’Incoronazione della Vergine e due medaglioni: uno con il Trionfo delle virtù teologali e cardinali e l’altro con la Gloria di S. Maria Maddalena e gli strumenti della Penitenza, quest’ultimo nel soffitto sopra l’altare maggiore; dipinse inoltre i tre affreschi della tribuna rappresentanti l’episodio del Noli me tangere, la Maddalena penitente e la Cena in casa di Simone il fariseo nonché due pannelli dal soggetto non identificato sopra la porta di ingresso.
Sempre a Monterotondo aveva decorato la chiesa di S. Maria della Costa oggi diroccata (Marchetti, 1981, p. 41).
Per volere del cardinale Annibale Albani, Piestrini affrescò l’Incoronazione della Vergine nel catino absidale della Cattedrale di S. Liberatore a Magliano Sabina, dove aggiunse anche immagini di serafini, angeli e una Gloria dell’Assunta. Nelle due absidi laterali lasciò in quella di destra un S. Lorenzo e S. Eutimio e un episodio, monocromo, della vita di S. Liberatore, a sinistra S. Liberatore con S. Carlo Borromeo, e un’altra scena, sempre monocroma, tratta dalla vita del santo.
Le imprese di Monterotondo e di Magliano in Sabina denotano una piena maturità di Piestrini che, abbandonate alcune tipologie stereotipate, dimostrò una maggiore libertà creativa. Un’involuzione si registra, invece, nell’ultima produzione nota, la rappresentazione dei momenti salienti della vita dei Santi Marciano e Giovanni nella tribuna della cattedrale di Civita Castellana, commissionatigli dal cardinale Camillo Cybo nel 1739.
In quell’anno si rivolse al giudice capitolino per chiedere il risarcimento di una somma in denaro data in prestito. Nella causa Piestrini dichiarò di possedere una casa a Monterotondo (Esuperanzi, 1987, p. 76). Era sposato con Olimpia Patrizi nativa della cittadina, dalla quale ebbe molti figli. L’origine della moglie giustifica gli incarichi per il Duomo locale. Dai documenti si desume che Piestrini abitò a Monterotondo fino al 1731, per trasferirsi a Roma nel circondario della parrocchia di S. Lorenzo in Damaso, al terzo piano di una casa di proprietà dei Pamphili, per i quali aveva lavorato in anni immediatamente precedenti in S. Maria in via Lata.
Morì a Roma l’11 maggio 1740 e fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso.
Fonti e Bibl.: N. Pio, Le Vite de pittori, scultori, architetti (1724), a cura di R. Engass, Città del Vaticano 1977, pp. 90 s., 264, 322 s.; O. Marrini, Serie di ritratti di celebri Pittori dipinti di propria mano in seguito a quella già pubblicata nel Museo Fiorentino esistente appresso l’abate Antonio Pazzi con brevi notizie intorno a’ medesimi compilate dall’abate Orazio Marrini, II, Firenze 1765-66, p. XII; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Mss. palatini, E.B.9.5, II: F.M.N. Gaburri, Le vite de’ pittori 1676-1742, c. 109 (Domenico Piastrini). B. Marchetti, Monterotondo, suppl. a Monterotondo oggi, 1981, n. 61, p. 41; E. Schleirer, Un soffitto sconosciuto di G.D. P., in Paragone (1985), nn. 419, 421, 423, pp. 264-268; M. Esuperanzi, Un profilo di G.D. P., in Ville e palazzi, illusione scenica e miti archeologici, a cura di E. Debenedetti, Roma 1987, pp. 65-94; M.B. Guerrieri Borsoi, Ricostruzione documentaria di un edificio barocco distrutto: villa Patrizi a Porta Pia, in Carlo Marchionni architettura, decorazione e scenografia contemporanea, a cura di E. Debenedetti, Roma 1988, pp. 173-208; A.M. Rybko, P. G.D., in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1989, p. 834; M.C. Cola, Dipinti e sculture nel palazzo romano del cardinale Carlo Agostino Fabroni (1707-1727), in Palazzi, chiese, arredi e sculture, a cura di E. Debenedetti, I, Roma 2011, pp. 81-95.