PUGLIASCHI, Giovanni Domenico
PUGLIASCHI (Puliaschi), Giovanni Domenico. – Nacque presumibilmente nell’ottavo decennio del XVI secolo.
Fu cantore in S. Giovanni in Laterano tra il dicembre del 1602 e l’aprile del 1604. In seguito a un’istanza del cardinale Francesco del Monte in data 31 dicembre 1605, ispirata dai fratelli del papa regnante, Paolo V, il 2 febbraio 1606 Pugliaschi fu ammesso nella cappella pontificia come tenore soprannumerario, ma dovette lasciare tale posizione già il 9 dicembre, per essersi nel frattempo ammogliato (con una vedova con figlio a carico).
La carriera del cantante non subì intralci: fu al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini per parte almeno degli otto anni successivi. Morta la moglie ai primi di marzo del 1612, Pugliaschi poteva ormai essere riammesso nel coro sistino come effettivo. Paolo Faccone, un cantante anziano, consulente musicale del cardinale Ferdinando Gonzaga, avendo appreso che l’Aldobrandini, in procinto di partire per la sede archiepiscopale di Ravenna, avrebbe congedato Pugliaschi se costui fosse passato alla cappella pontificia, si accertò che il cantante avrebbe accettato di servire il Gonzaga in cambio dell’appoggio del porporato per la sua candidatura in cappella. A detta di Faccone, Pugliaschi aveva ricevuto offerte assai vantaggiose dalla Polonia e da Salisburgo; in assenza del cardinale Gonzaga indirizzò egli stesso una petizione al pontefice a favore del cantante, che il 3 maggio 1612 fu infine assunto in cappella. A onta della trama tessuta da Faccone, il desiderio del cardinale Gonzaga andò deluso: due giorni dopo, Pugliaschi risulta registrato per la prima volta tra i famigliari di Scipione Borghese, cardinale nipote, che servì per il resto della sua vita. Nel marzo del 1615 il Gonzaga, smessa la porpora per succedere al fratello Francesco come duca di Mantova, sperò di nuovo di poter reclutare Pugliaschi. Stavolta Faccone raccomandò circospezione, suggerendo che il cantante venisse dapprima invitato a Mantova per le feste nuziali, «per non dargli occasione d’avantarsi di cossì onorato ed utile partito; ed ancora per non entrare in diffidenza con il cardinale Borghese» (Parisi, 1996, p. 146 n. 66).
Pugliaschi fu di certo tra i più acclamati cantanti romani dell’epoca, celebrato in particolare per il sensazionale ambito vocale. Egli stesso, nell’avvertenza apposta in coda alle sue Musiche varie (Roma, Bartolomeo Zannetti, 1618), osserva come le sue composizioni «tocchino tante corde di basso e di tenore […] avendomi il Signore Iddio aggraziato di tal voce e disposizione». Nel 1618, in risposta al ferrarese Enzo Bentivoglio che cercava cantanti romani da procurare al duca di Parma, Girolamo Fioretti raccomandò per tenore Pugliaschi, aggiungendo che «egli canta ancora in baritono mirabilmente» (Mecenati e musici, 1999, p. 347). Vincenzo Giustiniani, nel Discorso sopra la musica de’ suoi tempi (1628), citò «Gio. Domenico» insieme con altri tre tenori famosissimi del recente passato, Giulio Romano (Caccini), Giuseppino (Cenci) e Francesco Rasi; e aggiunse che «tutti cantavano di basso e tenore con larghezza di molto numero di voce, e con modi e passaggi esquisiti e con affetto straordinario e talento particolare di far sentir bene le parole» (V. Giustiniani, in Solerti, 1903).
Nel 1614 Pugliaschi comparve nel «festino» epitalamico Amor pudico (invenzione di Jacopo Cicognini, musiche di Cesare Marotta, Giovanni Bernardino Nanino e altri musicisti del cardinal Montalto) dato nel palazzo della Cancelleria per le nozze di Michele Peretti e Anna Maria Cesi: vi impersonò le parti di Dante (cantando la propria composizione del capitolo La gloria di colui che ’l tutto muove; Bologna, Museo della Musica, Mss. Q.140, cc. 7r-9r; ed. in Hill, 1997, II, pp. 337-339), Marte, lo Sdegno e Nettuno. Nel corso dell’anno Pugliaschi prese gli ordini; dal 2 novembre 1614 risulta canonico di S. Maria in Cosmedin (Franchi, 2006, p. 276).
Il 1° giugno 1618 Pugliaschi firmò la dedica al cardinale Borghese di un volume di Musiche varie a una voce con il suo basso continuo per sonare.
Esattamente un mese prima ne era uscita un’edizione non autorizzata, dal titolo Gemma musicale dove si contengono madrigali, arie, canzoni et sonetti a una voce con il basso continuo per sonare (Roma, Giovan Battista Robletti), dedicata a Pugliaschi medesimo da Giovanni Francesco Anerio. La raccolta contiene quattordici composizioni quadripartite su basso strofico: sei sonetti (dei quali uno a testa del Petrarca, del Tansillo, del Coppetta e di Annibale Pocaterra), quattro ottave rime sull’aria della romanesca, due terze rime (di cui una dall’Arcadia del Sannazaro) e due canzonette; e in più quattro madrigali. In coda figurano sette mottetti latini a voce sola dell’Anerio dedicati a Pugliaschi. Tutti i brani fanno sfoggio dello straordinario virtuosismo tecnico ed espressivo del cantante, e ne documentano l’amplissimo ambito vocale (dal Re sotto il rigo in chiave di basso al Sol sopra il rigo). L’edizione autorizzata reca in fine un’avvertenza in cui l’autore impartisce importanti suggerimenti agli esecutori circa il «tempo di battuta», la messa di voce, il «recitar cantando», la dinamica, gli abbellimenti, il trattamento del basso continuo e delle dissonanze, le licenze contrappuntistiche tollerabili.
Ai primi del 1620, in congedo dalla cappella pontificia, il cantante fece sensazione a Firenze. Il 22 gennaio Cesare Tinghi annotò nel suo diario che il «prete Giandomenico Puliaschi […] canta di tre voce, cioè contralto, tenore e basso, e suona il chitarrone» (Solerti, 1905; e dunque avrà superato il Sol sopra il rigo delle Musiche varie). Pochi giorni dopo cantò alcune «frottole» insieme con la virtuosa fiorentina Francesca Caccini e le di lei figliole. L’8 febbraio, «avendo dato molto gusto a S. A. [Cosimo II] ed a tutte le Altezze» (ibid.), Pugliaschi se ne tornò a Roma omaggiato con una catena d’oro e un medaglione con il ritratto del granduca, del valore complessivo di 430 scudi. Nella Ghirlandetta amorosa del 1621, una raccolta di arie, madrigali e sonetti di vari autori fatta stampare in Orvieto dal locale maestro di cappella Fabio Costantini, Pugliaschi figura con un’aria strofica di quaternari e ottonari a voce sola (soprano o tenore), Deh mirate, luci ingrate.
Dal novembre del 1620, affetto forse da malattia venerea (Annibaldi, 2011, p. 125 n. 32), si assentò spesso dal servizio di cappella. Morì nella sua casa romana a S. Silvestro in Capite il 9 luglio 1622 (Franchi, 2006, p. 276).
Fonti e Bibl.: V. Giustiniani, Discorso sopra la musica de’ suoi tempi (1628), in A. Solerti, Le origini del melodramma, Torino 1903, p. 110; Mecenati e musici. Documenti sul patronato artistico dei Bentivoglio di Ferrara nell’epoca di Monteverdi (1585-1645), a cura di D. Fabris, Lucca 1999, ad indicem.
A. Solerti, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637, Firenze 1905, p. 152; N. Fortune, Italian 17th-century singing, in Music and letters, XXXV (1954), pp. 208, 212; W. Kirkendale, The court musicians in Florence during the principate of the Medici, Firenze 1993, p. 310; J. Lionnet, The Borghese family and music during the first half of the seventeenth century, in Music & letters, LXXIV (1993), pp. 519-529; S.H. Parisi, Acquiring musicians and instruments in the early Baroque: observations from Mantua, in Journal of musicology, XIV (1996), pp. 146-149; J.W. Hill, Roman monody, cantata and opera from the circles around Cardinal Montalto, Oxford 1997, I, ad ind., II, pp. 236-239, 337-339; T. Carter, Printing the ‘new music’, in Music and the cultures of print, a cura di K. Van Orden, New York-London 2000, pp. 10-12, 14; S. Franchi, Edizioni di musica pratica dal 1601 al 1650, Roma 2006, pp. 273-278, 421-423; W. Witzenmann, Die Lateran-Kapelle von 1599 bis 1650, Laaber 2008, ad ind.; C. Annibaldi, La Cappella musicale pontificia nel Seicento. Da Urbano VII a Urbano VIII (1590-1644), Palestrina 2011, pp. 114, 116-119, 123, 125-127, 246-251, 305-308, 346.