DROUET (Drovet, Druetto), Giovanni (Jean)
Nacque intorno al 1516 da una famiglia della piccola nobiltà locale a Chálons-sur-Marne, in Francia, nella Champagne.
Le prime notizie autobiografiche riportano di una sua partenza, a diciotto anni, e il successivo arruolamento nella flotta portoghese impegnata contro i Turchi lungo le coste africane. Della sua perizia ed esperienza nelle cose militari farà testo, molto più tardi, nel 1585, una singolare richiesta rivoltagli per conto di un senese che, in vista di un duello, aveva bisogno di un "valente maestro" (Bibl. ap. Vat., Chigi L III 61, f. 96). Non è nota la data del suo arrivo in Italia, a Roma. È certo, comunque, che dopo aver intrapreso la carriera ecclesiastica, nel 1549, il D. era in Curia in qualità di scrittore apostolico sotto il pontificato di Paolo III.
Tra il 1556 e il 1557 inoltrò a Giovanni III re del Portogallo la richiesta di entrare a far parte della rappresentanza a Roma dei suoi cappellani, per merito dei servigi resi: la morte del re impedì la conclusione delle trattative. Nel dicembre del 1557 il D. reiterò la richiesta alla reggente Caterina, e nel 1558 fu nominato cappellano del re del Portogallo "en corte de Roma". È di questo periodo il suo proponimento, per altro mai attuato, di ritornare a Châlons per trascorrervi la vecchiaia.
Come quella del suo connazionale e coetaneo Matteo Contarelli, la carriera del D. nell'amministrazione pontificia si svolse all'ombra delle fortune di Ugo Boncompagni, il futuro Gregorio XIII. 1 suoi primi rapporti documentati con il Boncompagni risalgono agli anni 1561-63, epoca in cui questi 'partecipava a Trento alla redazione dei decreti conciliari. Le sue lettere al D. ci permettono di stabilire sia il grado di familiarità che correva fra i due e il Contarelli, sìa il fatto che in quegli anni il D. si trovava alla Cancelleria, probabilmente come segretario addetto alla spedizione dei brevi. Alla stessa epoca, e cioè al 1563, risale un "memoriale" di 27 punti redatto dal D. a vantaggio del Boncompagni, sulla delicata materia "de reformatione" (ibid., ff. 169 s.) del clero che, nel maggio-giugno dello stesso anno, era oggetto delle sessioni conciliari. Questa consulenza del D. testimonia la sua adesione al partito della riforma, di cui anche il Contarelli faceva parte.
In una lettera, datata 19 apr. 1563, il Boncompagni si felicitava col D. per la "fabbrica" che questi aveva intrapreso a Roma, probabilmente un palazzo nei pressi di Trinità dei Monti. Appena un anno prima, evidentemente per far fronte alle spese di tale "fabbrica", il D. aveva fatto domanda al capitolo di Lisbona di entrarne a far parte come caponico sopranumerario. Contro la sua candidatura venne addotto il pretesto della sua ignoranza nella lingua portoghese. Un oggettivo interesse biografico è rappresentato dalla relativa disputa contenuta nella risposta del D. al capitolo. Il ricorso, redatto in forma di lettera, in latino, è un vero e proprio atto di accusa contro il capitolo e una esaltazione delle vicende personali dell'autore. L'interesse al preteso canonicato era, evidentemente, di natura economica e comportava solo la riscossione di determinate prebende. Il rifiuto del capitolo rimandava, probabilmente, a motivi di natura politica riferibili ai cattivi rapporti che intercorrevano tra la Francia e il Portogallo. Il D. sembrava non capacitarsene, pur comprendendo che a Lisbona non lo si volesse vedere come canonico "pictum quidem" (ibid., f. 38 v).
Le delusioni portoghesi non gli evitarono, a Roma, di progredire nella carriera e di intrecciare numerose relazioni con potenti ecclesiastici, come i cardinali Alessandro Farnese, Madruzzo, Simonetta e Gambara, l'amicizia dei quali gli risultò molto utile in seguito. In particolar modo, il nipote di Paolo III, il cardinale Alessandro, si dimostrò col D. sempre molto benevolo, portandogli "affetione straordinaria" e definendolo un "galant'huomo", le cui maniere "non solamente lo rendono amabile, et grato à ciascuno, ma apportano singolare diletto à qualunque pratica seco" (ibid., f. 70).
Ma la vera svolta nella carriera ecclesiastica del D. fu rappresentata dall'elezione al papato di Ugo Boncompagni, nel maggio del 1572. Gregorio XIII lo affiancò a Matteo Contarelli nell'ufficio della Dataria. Non conosciamo la data esatta della nomina ma già dal 25 sett. 1572 cominciarono a pervenire al D., "sottodatario", numerose richieste di favori, pensioni, intercessioni presso il papa e tutto ciò che concerneva il suo importante e delicato incarico. Ma fu proprio la delicatezza della materia trattata dal D. a risultargli fatale. Neanche due anni dopo, infatti, il papa lo sollevò dall'incarico, come si legge in un'anonima relazione diplomatica del 20 febbr. 1574, nella quale veniva illustrato il pontificato di Gregorio XIII: "mai rimove quelli a chi propone un servitio se non per un demerito ... et si è veduto in Gio. Druetto, che deputò vicedatario che per liaver pigliato certi presenti lo levò dall'officio et dalla gratia sua" (Pastor, IX, p. 871). A partire dal 1573 le lettere al D. non recano più l'intestazione di "sottodatario". Egli era ormai "inabilitatus e ridotto alla semplice contemplatione", come ebbe a lamentarsi con entrambi i suoi più intimi amici di quel periodo, Riccardo Galesio, il vescovo di Bagnoregio (Bibl. ap. Vat., Chigi L III 61, f. 152), e Vicino Orsini.
L'accusa di peculato non sembra, in verità, esagerata per un uomo che, come il D., era sempre a caccia di prebende. Nel codice chigiano, inoltre, non mancano indizi in tal senso: "Ratteggerei volentieri di dare 300 scudi dei miei ... se lei mi volesse cavar di questa spesa" (ibid., f. 111v). Potrebbe suscitare qualche perplessità la totale estraneità di Matteo Contarelli circa la rimozione operata da Gregorio XIII nei confronti del D.: il Contarelli infatti continuò a ricoprire l'incarico di datario e prosegui indisturbato ' ed onorato la sua ascesa nella gerarchia ecclesiastica. In realtà sappiamo bene che Sisto V nel 1586 aprì un'inchiesta sulla sua gestione alla Dataria, scoprendo "materia molto aromatica", in cui oltre al datario e ai suoi collaboratori, pareva fosse implicato anche il precedente pontefice. Ciò potrebbe far supporre che il Contarelli ed altri si fossero serviti del D. come di un capro espiatorio. Vero è che egli, dopo l'allontanamento dalla Curia, poté attuare il desiderato progetto di acquistare "una vigna grande ... e attendere all'agricoltura" (Bredekamp, II, p. 85).
In questo interim il D. coltivava e sviluppava un'affettuosa amicizia con Vicino Orsini. L'epistolario fra i due offre numerosi indizi per arricchire il profilo biografico del D., la cui vita appare regolata da un vivace e indefesso libertinaggio, da cui egli derivò, oltre alla sifilide, contratta nel 1583, anche un figlio illegittimo, Alfonso. Questi nacque probabilmente intorno agli anni 1560-70 e non sopravvisse al padre, al quale diede non pochi "travagli", seguendone i costumi. Probabilmente in seguito ai rapporti di amicizia che intercorrevano fra il D. ed Elena Orsini, figlia illegittima del cardinale Aldobrandino Orsini, Alfonso ne sposò una nipote, Deodata Cardelli, dalla quale ebbe una figlia, Camilla.
L'epistolario con Vicino Orsini permette di far luce, inoltre, sull'eterogeneo orizzonte culturale del D., il quale non a caso fu legato all'ideatore di Bomarzo da una profonda amicizia. Fra i due intercorse un vero e proprio scambio intellettuale e affettivo posto su svariati livelli, ma poco interessato agli eventi politici e sociali di quel periodo. Il D. e Vicino Orsini sembrano unicamente preoccupati del loro personale universo, del loro benessere psicologico, intellettuale e fisico in una sorta di vero e proprio epicureismo pratico. In particolar modo, la salute occupa gran parte dei loro discorsi: infatti, sebbene la curiosità intellettuale del D. spaziasse in vari campi - dalla cosmografia, all'astrologia, tanto da fare l'oroscopo alla piccola Orontea, la figlia di Vicino, nata nel 1572 - egli si dilettava particolarmente di medicina, seguendo in questo la tradizione della sua terra, la Champagne, in cui numerosi erano i cultori delle arti mediche. I rimedi che il D. suggeriva venivano seguiti alla lettera dall'amico Orsini, il quale soffriva di calcoli renali. In questo il D. dimostra di non partecipare alle innovazioni portate dalla rivoluzionaria medicina paracelsianà, che proprio in quegli anni trovava ampio credito in Europa. Le sue ricette, infatti, seguivano una pratica "secundum scripturas" (ibid., II, p. 84), erano cioè legate ancora ai metodi galenici che prevedevano l'utilizzazione non di elementi chimici, ma esclusivamente vegetali: "grana di genepre 4, tacqua di Melissa", "acqua di Fiori e cime di Rosmarino" e "acqua di Canella" vengono indicati come fondamentali per la salute di Vicino, ma il D. aggiunge anche un tocco di buonsenso: "Un'altra ricetta non bisogna scordare, cioè di non si lassar tirar dalla gola così facilmente" (ibid., p. 85). Lo stesso D., che soffriva di podagra, seguiva una rigorosa dieta evitando latticini e verdure crude, e suscitando la benevola invìdia dell'amico, il quale notò che il D. "quanto più mangia, meno s'ingrassa" (ibid., p. 26).
Giovavano a Vicino Orsini, oltre le ricette, anche le stesse lettere del D., tanto "succose" da ricavarne massima consolazione. La consolazione fu però un elemento reciproco: quando nel 1573 il D. fu rimosso dall'incarico di vicedatario, sarà l'amico Vicino ad offrirgli un rifugio sicuro a Bomarzo, dove avrebbe potuto "sfogare qualch'humore malinconico, che la Corte l'ha causato" (ibid., p. 23). Gli inviti a soggiornare a Bomarzo furono molto frequenti e il D. ne approfittò spesso, soprattutto nei periodi estivi: al riguardo è molto interessante un componimento poetico contenuto nel codice chigiano e intitolato Capitolo del Boschetto (Bibl. ap. Vat., Chigi, L III 61, ff. 144 s.). I versi, sicuramente scritti da Vicino Orsini, sono rivolti a "Druetto" invitato scherzosamente a recarsi a Bomarzo, sia solo sia accompagnato, nel qual caso "ci sguazzerem con la tua compagnia". A molto probabile che la "compagnia" prevedesse delle presenze femminili: Laura di Vicino Orsini, la "Margarita" del D., la quale rappresentò per lui un vero e proprio "pontificato" (Bredekamp, p. 88), e altre cortigiane dell'epoca ricorrono frequentemente nelle lettere dei due amici.
Oltre a un licenzioso e vivace spirito libertino, l'epistolario testimonia soprattutto una ben determinata propensione del D. e di Vicino Orsini allo scetticismo, all'incredulità e al libero pensiero; tali elementi, non estranei comunque al loro tempo, vennero corredati da una solida cultura classica ed umanistica. Essi citano Seneca, Orazio, Cicerone, Boezio come maestri di vita, ma non mancano frequenti riferimenti ad autori al limite dell'ortodossia, quali Rabelais. Non sono del resto da escludere probabili contatti personali fra il D. e lo scrittore francese, il quale nel suo ultimo soggiorno romano, fra il 1548 e il 1550, al seguito del cardinale J. du Bellay, di cui era il medico personale, frequentò assiduamente l'ambiente di Curia. Rabelais sembra rappresentare urio dei maggiori punti di riferimento intellettuali del D. e di Vicino, soprattutto riguardo alla scelta delle letture. Numerosissimi sono infatti i libri che il D. inviò all'amico con interessi di vario genere, dalla filosofia alla medicina, alla cosmografia, nel gennaio del 1579 confidò a Vicino il "capriccio" di scrivere lui stesso un libro "de moribus universis" avvalendosi appunto del "Cardano et di Pantagruel" (ibid., p. 50). Si ignora però se il proposito fosse stato poi portato a termine; vero è che dei sottili collegamenti uniscono il D. allo spirito rabelesiano, dall'interesse per la medicina e l'astronomia, a una certa vena salace. Nel codice chigiano (ff. 137rv) è contenuto un licenzioso Sonetto per andar a Bagni, attribuibile probabilmente al D., che si dilettava anche della composizione di versi, alcuni dei quali faceva visionare all'amico Vicino.
Uomo del suo tempo, costantemente in bilico fra ortodossia ed eterodossia, il D. sembra riuscire a conciliare interessi metafisici, quali l'immortalità dell'anima con le necessità materiali ricorrendo, di volta in volta, a categorie di filosofia classica adattate ai propri bisogni di vita epicurea. Contraddizioni assunte e riscontrabili fin nel campo della rhedicina, dove il D., pur optando per i rimedi galenici, discettáva in base a testi neoplatonici, cari al movimento paracelsiano.Nonostante questi anni dediti "alla contemplazione" e agli studi, a partire dal 1576 il D. riuscì comunque a rientrare nelle grazie di Gregorio XIII. L'attestazione del perdono papale è un documento, firmato dal cardinale Madruzzo, e datato 18 apr. 1576, nel quale si permette che il D. "possa a suo beneplacito venire in Borgo" (Bibl. ap. Vat., Chigi, L III 61, f. 173). Il 1576 sembra quindi segnare una nuova svolta nella vita del D.: pur non potendo stabilire con esattezza quale tipo di incarico prevedesse il suo rientro in Curia, egli ottenne, comunque, il cavalierato di S. Paolo, un ambito ufficio camerale, che era stato istituito da Paolo III nel 1540- Inoltre il D. svolse un'intensa attività di carattere probabilmente diplomatico: a partire dal 1576 numerosi sono i suoi viaggi in Toscana, soprattutto a Siena, dove era solito soggiornare d'estate, e in Lombardia. Si era invece recato a Venezia nel maggio del 1575 (cfr. Bredekamp, pp. 35 s.) Fu inoltre amministratore dei Pii Stabilimenti francesi a Roma e rettore di S. Luigi dei Francesi negli anni 1588-89. Parallelamente a tali incarichi, sembra svolgesse anche una certa attività notarile nell'ambito della Curia, e seguisse con molta attenzione le rendite che gli provenivano da pensioni e benefici.
Il D. morì a Roma tra il 1594 e il 1595. Secondo la volontà del suo testamento, in cui la nipote Camilla venne nominata erede e dove venne disposta la celebrazione di messe settimanali in suo suffragio, fu sepolto a Trinità dei Monti.
Fonti e Bibl.: Bibl. ap. Vaticana, Chigi L III 61: Lettere di principi et d'altri s.ri scritte a Gio: Drovet; Arch. segr. Vat., Reg. Vat. 1731, ff. 187v, 189r; Roma, Arch. S. Luigi dei Francesi, Carton 8, Arm. VII, n. 9, f. 4; n. 10, f. 3v; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese ... di Roma, III, Roma 1873, pp. 147, 167; L. von Pastor, Storia dei papi, IX, Roma 1929, p. 871; J. Lesellier, Les notaires français à Rome, in Mélanges de l'École française de Rome …, L (1933), p. 264; H. Bredekamp, Vicino Orsini und der Heilige Wald von Bomarzo, Wiener-Worms 1985, ad Indicem.