DUCCO (Duc, De Duchis), Giovanni
Di nobile famiglia bresciana, del ramo dei Ducco di Pontevico, nacque probabilmente entro, o alla fine, del primo quarto del sec. XV.
Il nome del padre, Giacomo di Pellegrino "de Duchis", è conosciuto, insieme con quello di altri familiari, da una nota che ne registra la morte apposta dallo stesso D. sull'ultimo foglio di un pontificale manoscritto a lui appartenuto, conservato nella Bibl. Queriniana di Brescia (c. 231v). Quando scomparve, Giacomo di Pellegrino lasciò oltre al D. quattro figli - Tonino, Ludovico, Tommaso e Giuliano - nonché tre nipoti: Luca, canonico di Brescia e giurisperito; Urbano, monaco benedettino, e Francesco, tutti e tre nati, a loro volta, da Pellegrino, altro figlio dello stesso Giacomo, premorto al padre.
Le notizie sulla giovinezza del D. sono scarse e non tutte facilmente verificabili. Esse infatti - la formazione negli Studi di Padova e Bologna, l'ordinazione sacerdotale intorno al 1460, la nomina a secondo curato della collegiata di S. Nazzaro di Brescia, un primo soggiorno romano al tempo di Pio II, il conferimento nel 1464 della prepositura della medesima collegiata di S. Nazzaro e, nel 1470, di quella di S. Maria di Gussago - insieme con alcune altre relative al periodo della sua maturità - e cioè: una sua missione in Germania dove avrebbe lasciato indicazioni per alcune riforme al tempo di Sisto IV (a questa legazione "ad Germanorum seditiones sedandas" accenna lo storico seicentesco Bernardino Faino), l'investitura del beneficio arcipresbiteriale della pieve di Cividate in Val Camonica ed infine, soprattutto, l'intenzione di Innocenzo VIII di nominarlo cardinale, intenzione che non avrebbe avuto seguito per l'opposizione del Collegio cardinalizio, contrario al D. per un'opera che egli avrebbe composto, con il titolo di De regimine Ecclesiae, contro il malcostume curiale - sono tutte notizie riportate, in maniera alquanto sommaria e senza indicazione delle fonti, da storici locali, in particolare dal Cavalleri (Un pontificale, pp. 95 s.) che le attinse da un archivio privato.
L'unica di queste informazioni che potrebbe trovare un riscontro nelle fonti note è quella relativa agli studi di diritto nell'università di Bologna. Qui infatti troviamo che nel 1455 un Giovanni da Brescia, nonostante due note di biasimo "quia non bene se habuit", fu giudicato idoneo alla frequenza per l'anno successivo su fideiussione di Bartolomeo Lambertini; ma purtroppo il riferimento al D. di questa indicazione è destinato a rimanere dubbio a causa della lacuna che segue il nome nel posto del patronimico dello studente ("Ioannes de …, Brisiensis": cfr. C. Piana, Il "Liber secretus iuris Caesarei" dell'Università di Bologna, 1451-1500, Milano 1984, p. 35).
Nel 1477 il D., che a questa data risulta dottore in entrambi i diritti, divenne referendario dell'una e dell'altra Segnatura; in seguito risulta anche protonotaio apostolico, carica che certamente ricopriva già il 7 giugno 1479, quando nel concistoro allora tenutosi, sulla base di una relazione del cardinale Raffaele Riario del quale era familiare, fu eletto da Sisto IV vescovo di Corone, sede vacante per la morte di Giovanni Giusti. Poiché Corone era allora città di dominio veneziano, si dovette - come di consueto - attendere. che il Senato della Serenissima concedesse il suo gradimento alla nomina. Questo fu espresso il 23 agosto: due settimane dopo, il 5 settembre, il D. venne consacrato vescovo nella chiesa di S. Maria in via Lata in Roma, per mano di Simone Vosich arcivescovo di Patrasso (di cui Corone era suffraganea) ed alla presenza dei vescovi di Aleria, Ardicino Della Porta, e di Orvieto, Giorgio Della Rovere. Il D. pagò subito la somma di 650 scudi richiesta per entrare in carica nella diocesi di Corone e continuò a pagare le somme dovute anche negli anni successivi; tuttavia non risiedette mai nella sua sede, facendosi rappresentare da un procuratore anche per effettuare le visite "ad limina", come avvenne, ad esempio, l'8 maggio 1494.
Nel frattempo la Chiesa della sua città natale, nella quale sino a solo pochi anni prima si era sentita la forte spinta riformatrice di Domenico Dominici, che ne era stato il vescovo fino al 1478, era passata, nel 1481, dal governo episcopale di Lorenzo Zane - prelato certamente non troppo preso da preoccupazioni di natura religiosa e spirituale - a quello del nipote di lui, Paolo Zane, che era divenuto vescovo a soli vent'anni e per il quale reggeva la sede il vescovo Marco Negri. In queste circostanze il Comune di Brescia, nel Consiglio del 3 genn. 1482, decise di inviare ambascerie al papa per ottenere la nomina del D. a legato apostolico in Brescia, con compiti di rettore e amministratore, tanto nella giurisdizione spirituale che in quella temporale. Il papa, tuttavia, non esaudì tale richiesta.
Alla fine del 1484 il D. era ancora a Roma, dove, il 20 dicembre, figura tra i presenti al concistoro indetto da Innocenzo VIII per la canonizzazione di Leopoldo d'Austria. A Brescia il D. si trovava invece, probabilmente, tra la fine del 1486 e gli inizi del 1487, quando ebbe una questione con il Comune, che intendeva ottenere il giuspatronato su di una chiesa da poco edificata nel luogo dov'era stata la casa di Federico Pelaboschi e dove si dicevano avvenuti miracoli in connessione con un'immagine della Madonna. Allora egli era già prevosto della chiesa collegiata dei Ss. Nazzaro e Celso, di cui intraprese la ricostruzione.
Nel 1487 ebbe inizio l'intensa documentatissima attività del D. nelle Marche, dove fu inviato da Innocenzo VIII in qualità di luogotenente del legato apostolico Jean Balue (il cardinale de La Balue). Le provvigioni mensili corrispostegli per tale incarico andarono (con la sola lacuna per il periodo luglio 1489 - ottobre 1490) dall'ottobre 1487 al marzo 1491. Per questo egli si servì, di volta in volta, di diversi procuratori: normalmente, dei suoi due cappellani, Gabriele de Zamaris da Brescia e Pietro de Muttis da Bergamo, ed occasionalmente di Antonio Melioris da Firenze e di Matteo da Pesaro. Per la prima volta egli compare nei registri della Tesoreria provinciale della Marca nell'esercizio della giurisdizione locale, per aver convertito in multa, il 5 ott. 1487, una condanna per falsa testimonianza. Nei due mesi successivi egli dovette sovrintendere ai lavori di fortificazione eseguiti sotto la direzione del fiorentino Baccio Pontelli nella rocca di Osimo, allorché, in seguito alla rivolta di Boccolino di Gozzone, vennero trasferiti in quella città, per mantenerla sotto maggior controllo, gli uffici e la sede della luogotenenza della provincia. Gli anni che seguirono furono tra i più turbolenti della storia della Marca a causa delle continue lotte tra le città della provincia e delle frequenti ribellioni all'autorità centrale. Non erano infatti ancora sedati i disordini osimani che anche Iesi insorse contro il governo pontificio, sul finire del 1487, sotto la guida di Francesco Colocci, zio del noto umanista Angelo Colocci. Immediatamente, il 22 ed il 23 dicembre, il D. inviò lettere a Roma per informare i suoi superiori circa le "novitatis facte in civitate Esii". Il 25 incaricò un proprio ufficiale di condurre soldati da Osimo a Iesi. All'inizio del 1488 la rivolta era definitivamente domata. Il 21 gennaio venne inviata a Iesi la lettera con la relazione del processo contro i ribelli, i beni dei quali, ai primi di febbraio, furono confiscati e venduti. Altri, che erano stati tra gli insorti di Sassoferrato, erano stati catturati a Fabriano, per ordine del D., che di tutto dette tempestive e dettagliate notizie a Roma, il 28 febbraio e l'8 marzo. Il 15 aprile il D. informò la Curia della avvenuta decapitazione di Marino di lesi. Proseguiva intanto nella repressione: due mesi dopo un altro iesino, Piersimone "de Isileriis", venne fatto prigioniero e mandato sotto scorta nella rocca di Spoleto; i beni del ribelle vennero confiscati nell'ottobre successivo. Nello stesso periodo si verificarono disordini anche ad Offida ed il 26 maggio il D., dopo averne dato, come di consueto, informazioni al legato apostolico in Ascoli, inviò in quella città il condottiero Giulio Vitelli con i suoi armigeri.
Non vi è dubbio che questi sommovimenti interni abbiano in qualche modo avuto una relazione con i rinnovati propositi dei Turchi di impadronirsi del litorale marchigiano: ad Osimo, nel 1486, era infatti corsa voce che Boccolino di Gozzone fosse disposto a consegnare la Marca al sultano Bajazet. Il papa, perciò, ebbe più volte a raccomandare in quegli anni la difesa della costa.
Nel giugno del 1488 il D. inviò "pro custodia locorum maritimorum" diverse lettere ai responsabili di Ancona, di Senigallia, di Fano, di Sant'Elpidio, di Osimo, nonché al Vitelli, che si era portato con i suoi a Filottrano. Il 6 luglio dispose il pagamento per l'acquartieramento di soldati lungo il litorale. Il 3 agosto inviò dispacci ad Ascoli, a Roma, ad Ancona, a Fano e a Senigallia, per avvertire che due biremi turche erano partite da Valona; il 23 informò le autorità di Roma circa le misure che aveva adottato per fronteggiare la situazione. Il 15 ottobre, persistendo il pericolo di attacchi turchi, dispose lo spostamento da Senigallia al fiume Tronto delle truppe comandate da Marsilio Torelli. In quell'anno, tuttavia, il D. non fu impegnato soltanto dal problema della difesa del litorale adriatico. Nel giugno, infatti, era dovuto intervenire in Offida per ristabilirvi l'ordine pubblico compromesso da una serie di disordini. Dovette poi nell'ottobre intervenire nella stessa Ancona per farvi applicare l'interdetto con cui il papa Innocenzo VIII l'aveva colpita per puffirla d'essersi posta sotto la protezione del re d'Ungheria Mattia Corvino, nella speranza di una migliore protezione del proprio commercio marittimo contro la pirateria turca. A partire dalla fine del 1488 il D. fu preso dal problema delle tensioni tra Ascoli Piceno ed Offida, ben presto degenerate in aperto conflitto.
Fu, quello tra Ascoli ed Offida, un dissidio mai spento negli anni che seguirono: a partire dal dicembre del 1488, quando il D. avvertì la Curia romana delle "novità" accadute tra Offidani ed Ascolani, sino al 1491, quando egli stabilì un presidio permanente di truppe in Ascoli, fu un continuo riaccendersi di disordini, tanto che il governo della provincia si indusse a procedere al rifacimento completo della rocca di Offida. Quest'ultima, poi, fu munita di nuove artiglierie e dotata delle relative munizioni tra la fine del 1490 e la metà del 1491. Per fronteggiare le spese straordinarie dovute per questi lavori, il D., secondo il Colucci (p. 102), impose una tassa di un carlino a "fuoco" per tutti i luoghi della provincia.
L'attività del D. come luogotenente della Marca, al di là dell'ordinaria gestione degli affari della provincia, è altrimenti attestata. Nel 1488 fece un'aggiunta alle Costituzioni Egidiane, intesa a riaffermare, mediante nuove sanzioni, il divieto per gli impiegati della Curia di lavorare nei giorni di festa. Il 5 giugno della stesso anno fu nominato commissario speciale della Camera apostolica per dirimere una causa relativa all'eredità di Giovanni di Francesco Battista da Tolentino. Il 31 maggio 1489 venne incaricato di liquidare i debiti spettanti a Pietro e Bernardino, figli del defunto Lorenzo "de Paolis", già appaltatore della salara della Marca. Il 7 genn. 1490 istituì per fl Comune di Ripatransone la nuova magistratura dei Trenta regolatori, che dovevano essere eletti tra i cittadini più nobili della città e che dovevano affiancare fl Consiglio degli anziani nella gestione del pubblico interesse. Il 28 gennaio, il pontefice ratificò i ventitré capitoli dello statuto del Comune di Civitanova, che erano stati promulgati a Macerata, anche con la sottoscrizione del D., il 23 maggio dell'anno precedente. Sempre nel 1490 fl D. è inoltre ricordato per aver consacrato un altare dedicato a S. Maria della Consolazione nella chiesa di S. Francesco a Fabriano. Ultimo atto della sua luogotenenza, terminata - come si è detto - nel marzo del 1491, fu il definitivo trasferimento della Curia della provincia a Macerata, forse anche per le pressioni e i doni dei Maceratesi.
li D. figura nuovamente a Roma l'i i ag. 1491, ma già l'anno successivo egli era tornato a Brescia, dove rimase probabilmente fino alla morte, occupandosi in particolar modo delle sue cappellanie e dei lavori alla chiesa dei Ss. Nazzaro e Celso, della quale aveva continuato ad essere preposito e nella quale introdusse in questo periodo per la prima volta la dignità primiceriale.
Morì, quasi certamente a Brescia, il 21 genn. 1496 (e non il 21 febbraio, come dice erroneamente il Guerrini, p.25), secondo quanto è testimoniato da una nota scritta dal sacerdote Giovanni Battista Brageri del Grado, amico dei D., alla fine del già menzionato pontificale queriniano (e. 232v).
Il 12 apr. 1496 Alessandro VI riconobbe la successione a tutte le prebende del D. ai suoi fratelli e ai loro successori, Luca, Tonino, Ludovico, Tommaso, Giuliano e Francesco Ducco (nonché al Brageri, ora ricordato). Il pontefice, inoltre, accoglieva le loro suppliche di poter celebrare nei canonicati avuti dal loro familiare.
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