DUPRÉ, Giovanni
Nacque a Siena il 1° marzo 1817 da Francesco, intagliatore in legno, e da Vittoria Lombardi. Nei suoi Ricordi autobiografici (Firenze 1879) il D. ricorderà come, a causa delle precarie condizioni economiche, la famiglia si fosse trasferita a Firenze verso il 1821 mentre il padre, operaio nella bottega di Paolo Sani - allora nota per la qualità dei lavori d'intaglio -, fosse costretto a lavorare fra Firenze, Pistoia, Prato e Siena, seguito dal D., ancora bambino, che presto cominciò ad aiutarlo. Per un breve periodo frequentò il corso d'ornato nell'istituto d'arte di Siena, alla scuola di V. Dei. Qui ebbe occasione di conoscere l'erudito Carlo Pini e, soprattutto, gli allora celebri intagliatori Angelo Barbetti e Antonio Manetti, presso le cui botteghe il D. lavorò per qualche tempo.
Nel 1826-27, stabilitosi definitivamente a Firenze, cominciò a lavorare regolarmente nella bottega Sani, alternando al lavoro quotidiano una pratica autodidattica di cui più tardi molto si vantò nei suoi scritti. All'interno della bottega Sani operò con molta abilità, se è vero che presto egli ebbe lavori sempre più complessi. Il 7 dic. 1836 sposò Maria Mecocci. In quel tempo strinse amicizia con il giovane scultore Luigi Magi, allora allievo di Stefano Ricci, che lo aiutò negli studi di disegno preliminari a quella attività di scultore in marmo che il D. voleva intraprendere.
Nei Ricordi del D. (1879) sono citate numerose opere delle quali non resta più traccia. La sua prùna opera, una S. Filomena in legno, gli venne appunto suggerita dal Magi e venne presentata all'esposizione accademica fiorentina del 1838, ove fu vista da L. Bartolini e da P. Benvenuti, e venne acquistata da un collezionista russo. Sempre verso il 1838 il D. intagliò anche un Crocefisso in legno per il ricco collezionista Emanuele Fenzi, che lo volle donare al figlio Orazio in occasione delle sue nozze con Emilia Della Gherardesca e che venne scambiato dal Bartolini per opera antica. Nel 1840 esegui una cassetta portagioielli, con intagli ispirati a quelli dei plutei della Biblioteca Laurenziana, ordinatagli dall'intagliatore Pacetti e poi acquistata, su consiglio di Bartolini, dalla marchesa Poldi.
La sua prima opera veramente impegnativa risale al 1840 ed è costituita da un bassorilievo in gesso raffigurante il Giudizio di Paride (perduto), con il quale partecipò al concorso accademico triennale - con l'aiuto di Ulisse Cambi - vincendolo a pari merito con Lodovico Caselli. Prima dell'ottobre 1841, infine, esegui anche delle Cariatidi in gesso per il teatro Rossini a Livorno (distrutto dalla guerra).
Queste le poche opere anteriori al suo capolavoro giovanile, il celeberrimo Abele morente, ilcui modello in gesso venne esposto all'Accademia fiorentina nel 1842, sollevando molto scandalo per il naturalismo con cui era trattato il nudo, tanto da spingere alcuni critici ad accusare il D. di aver eseguito un calco dal vero: accuse che costrinsero lo scultore a procedere pubblicamente al confronto delle misure del gesso con quelle del modello Tonino Liverani, detto Tria, che aveva posato per la statua.
Frattanto a Siena veniva aperta una sottoscrizione per consentire l'esecuzione in marino di quella statua già famosa: il marmo, appena abbozzato, venne acquistato dalla duchessa Maria di Leuchtenberg, figlia dello zar Nicola, che gli ordinò anche quello del Caino, a quell'epoca (dicembre 1842) appena iniziato in creta e che fu terminato solo nel 1847, mentre il marmo dell'Abele vennefinito nel 1845. Le due statue, di eccellenti qualità esecutive, sono ora nel museo dell'Ermitage a Leningrado, e di esse il D. esegui in vari tempi molte repliche, soprattutto in piccole dimensioni. Il granduca Leopoldo II, che mal si rassegnò alla partenza per la Russia dei due marmi, volle che di essi venissero gettate le versioni in bronzo, fuse da Clemente Papi nel 1850, oggi nella Galleria d'arte moderna di palazzo Pitti.
Lo scalpore provocato da. queste due opere (il gesso del Caino venne esposto all'Accademia nel 1843) va considerato in relazione con la polemica che animava la critica fiorentina agli inizi degli anni Quaranta a proposito del naturalismo, inaugurata con la celeberrima disputa sul "gobbo" dato a copiare da L. Bartolini ai suoi allievi. Polemiche che segnarono, nel loro complesso, una cesura decisa sia con l'estetica purista sia con quella più fieramente romantica in nome di una più assorta descrizione del naturale che prescindeva, sia pure relativamente, anche dalla convenienza con il soggetto e dai suoi impliciti valori contenutistici, morali ed edificanti.
Nel novembre 1842, subito dopo la esposizione del modello in gesso dell'Abele, ilD. ebbe dal granduca la commissione per la statua di Giotto per una delle nicchie del loggiato degli Uffizi che in quel tempo si andavano faticosamente riempiendo con le effigi degli uomini illustri toscani.
Nel '44 era terminato fi modello in gesso e nel maggio 1845 il marmo venne inaugurato raccogliendo, ancora una volta, molte critiche di "volgarità" e di eccesso di naturalismo.
Il grande clamore sollevato dalle sue opere, le critiche avverse al realismo delle sue sculture, i consigli di alcuni letterati e critici di orientamento classicista e purista (e soprattutto quelli di Giuseppe Arcangeli come scrive il D. nei suoi Ricordi), le esperienze ricavate da un suo viaggio a Roma nell'inverno 1844-45, in cui conobbe, oltre a Massimo d'Azeglio, anche i campioni del purismo alla nazarena Tommaso Minardi e Pietro Tenerani, influenzarono profondamente l'attività seguente del D. che si rivolse verso forme più meditate sull'esempio rinascimentale.
Questo si vede chiaramente nelle sue opere di quel periodo: dalle statuette di Dante e Beatrice del 1843 (replicate innumerevoli volte), al Sonno dell'innnocenza per il senese Alessandro Bichi Ruspoli (1844-45, oggi nel Museo dell'Opera del duomo di Siena), al monumento a Pio II per la chiesa di S. Agostino a Siena (1843-50); opere tutte segnate, pur con alcune differenze, da un evidente temperamento del naturalismo dei suoi primi lavori, corretto sia da una attenta meditazione sulle fonti storiche del purismo (soprattutto nel Pio II) sia da una accentuazione dei significati etici e didascalici espressi dalle sue sculture (in particolare nel Sonno dell'innocenza).
L'influenza purista ebbe comunque breve durata, come dimostrano tre lavori immediatamente successivi: l'Innocenza per il principe Costantino di Russia (1846-52); la Purità per Leopoldo II (1846-50), da questo donata più tardi al principe Metternich; e un Pescatore, modellato in gesso verso il 1849-49, ed eseguito in marmo anni più tardi in molte versioni.
Di queste opere si conoscono solo i modelli in gesso (coll. Ciardi Dupré a Firenze), che preannunciano quel mutamento di orientamenti che caratterizzerà l'attività del D. per quasi un decennio: una vocazione alla creazione di forme anatomiche dolcissime, molto lontane dalle astrazioni puriste e anzi cariche di sottintesi evocativi e sensuali.
Le vicende storiche del '48 contribuirono ad isolare il D., allora liberale moderato ma molto legato al granduca, dalle correnti democratiche che coinvolgevano molti artisti suoi amici, accentuando cosi quelle continue oscillazioni teoriche e quella instabilità di convinzioni che caratterizzarono i suoi anni dal 1849 al 1854, fino a culminare in una vera e propria crisi psicofisica nell'autunno 1853. Le opere di questo periodo mostrano evidenti i segni dell'aspirazione a saldi fondamenti su cui basare il proprio operato e delle incertezze sulla via da seguire.
Il grande piede di bronzo con le personificazioni delle quattro stagioni, ordinato dal granduca nel 1850 e terminato nel '52 per il Tavolo delle Muse (Firenze, galleria Palatina), ci appare opera fondamentalmente bartoliniana cosi come un omaggio a Bartolini (scomparso proprio nel 1850) sono i suoi lavori al completamento della Ninfa dello scorpione per lo zar (Leningrado, Ermitage) e della Ninfa del serpe per il marchese Ala Ponzone di Milano (Reggio Emilia, Fondazione Magnani), opere lasciate incomplete per la morte del Bartolini. E ancora bartoliniano è il bassorilievo marmoreo con la Tentazione di Adamo (1853) per Mario Bianchi di Siena (Milano, coll. priv.; ripr. in A G.D. Siena…, 1917, tav. IX), distinto anzi da un apparente ritorno a forme rigidamente puriste. Più complesso, invece, il tentativo operato dal D. nel S. Antonino per il loggiato degli Uffizi (1847-54), in cui le forme ascetiche e neoquattrocentesche del santo sono però distinte da forzature espressive di suggestione naturalistica.
Le critiche al S. Antonino, probabilmente, accentuarono la prostrazione fisica e mentale del D. che nell'ottobre 1853 interruppe il lavoro per recarsi a Napoli per un periodo di riposo.
Più che all'arte moderna locale il D. si interessò soprattutto alle grandi opere dell'antichità classica che ebbe modo di vedere nei musei napoletani e che lo impressionarono profondamente, come egli stesso rievoca appassionatamente nei suoi Ricordi e in alcune sue lettere in cui si dichiara ammiratore del "lusso pagano" che spirava da quei capolavori (vedi, ad esempio, una sua lettera ad A. Ciseri del 2 dic. 1851 in Scritti minori…, 1885, p. 148); accenno questo che si ricollega agevolmente alle contemporanee correnti estetiche che vedevano nella statuaria classica la massima espressione artistica della "sensazione" e della "forma", contrapposte al "bello spirituale" implicito nell'arte dell'era cristiana. E questa situazione critica trovava un interessante parallelo nel panorama artistico francese contemporaneo, in cui emergevano gli artisti ben presto chiamati "néo-grecs" e le correnti critiche di impronta parnassiana favorevoli a "l'art pour l'art", a un'arte insomma potentemente evocatrice di sensuale bellezza attraverso suggestioni emotive dall'antico e completamente svincolata dalla necessità utilitaristica di esprimere elevati contenuti morali.
Pur non potendo conoscere la situazione francese se non, forse, per il tramite dell'amico pittore purista Luigi Mussini - reduce appunto da un soggiorno parigino prolungato e che in varie sue lettere (1893) accenna alle posizioni critiche francesi di "l'art pour l'art" - è indubbio che il D., con le sue opere del periodo 1852-59, appare influenzato da questi orientamenti critici di origine francese e che comunque erano presenti - sia pure in modo confuso - anche nel dibattito culturale fiorentino in cui la critica conservatrice tentava di arginare i nuovi complessi indirizzi artistici - fra cui quello fautore di un'arte "senza soggetto" - che fermentavano nella Firenze del sesto decennio.
Al. suo rientro a Firenze nel '54 il D. condusse a termine in breve tempo tutte le opere lasciate in sospeso, fra cui una piccola Riconoscenza per la nobile senese Maria Ballati Nerli (ora a Siena, in coll. priv., ripr. in AG. D. Siena…, 1917, tav. X), che nella posa e nel tenerissimo trattamento del marmo preannuncia una delle sue opere più importanti di questo periodo, la Baccante stanca.
Questa statua (terminata nel 1857 e replicata almeno quattro volte) appare emblematica della via nuova perseguita dal D. in questo momento: la commistione fra il sensualismo insistito del trattamento delle forme anatomiche, rese con un modellato sensibilissimo, e le pose che suscitano colte e languide evocazioni dall'antico. Ancora di ispirazione "pagana" sono l'Amore in agguato, terminato in marmo nel '58 per la nobile senese Maria Bichi Borghesi (ripr. in Siena…, 1988, pp. 116 s.), e soprattutto il Bacchino della Crittogama, eseguito entro il 1857 per un principe russo, insieme col suo pendant che rappresenta il Bacchino festante (terminato nel '59 per il barone napoletano Vonwiller), opere notissime e più volte replicate (una versione di entrambe le statue si trova a Firenze, Gall. d'arte mod. di pal. Pitti), in cui l'ispirazione neogreca del D. si concretizza in un modellato sensibilissimo che esalta le forme di franca ispirazione ellenistica.
Di composizione grandiosa, ancora, la base cilindrica per la tazza in porfido di palazzo Pitti proveniente dalle terine di Caracalla, commissionata da Leopoldo II al D. nel 1854 e rimasta allo stadio di modello in gesso (ora collocato nel Museo dell'Accademia a Montecatini Terme); un'opera accolta dalla critica contemporanea come esemplare della nuova maniera del D., in questo caso direttamente riferita alle solenni cadenze delle Panatenee fidiache - come venne detto - sebbene risolta sul piano formale attraverso un eclettismo disinvolto nell'attingere a tradizioni figurative diverse per meglio caratterizzare le personificazioni delle varie civiltà storiche che ornano questa base.
Nell'estate del 1857 il D. si recò a Londra, per accompagnare il progetto con il quale partecipò - ma con scarsa fortuna - al concorso internazionale bandito per il monumento a Wellington. Ma, molto più che quelle londinesi, furono importanti le esperienze che egli poté trarre dalla sosta a Parigi compiuta in quell'occasione, di cui rimangono ampie tracce nei suoi scritti e nelle sue lettere dominate dalla forte impressione ricevuta dall'indipendenza degli artisti francesi e dalle opere dei "néo-grecs" che, come affermò in una sua lettera, gli "strapiacquero" (cfr. Scritti minori…, 1885, pp. 165 s.). E proprio in relazione con le esperienze compiute in questo viaggio andrà esaminata la Saffo (1857-61), opera conclusiva del suo momento neogreco (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), caratterizzata da sontuose e intense forme trattate con un patetico stile neoellenistico o, se si preferisce, neopergameno.
Subito dopo il D. si impegnò in un'opera di vasto respiro, il Monumento funebre a Berta Moltke Ferrari Corbelli (1857-64) per la fiorentina basilica di S. Lorenzo, in cui lo scultore mostra una grande padronanza delle fonti figurative storiche (classiche, ellenistiche, rinascimentali, michelangiolesche, berniniane) da lui mescolate e impiegate in funzione di evocazioni sentimentali più complesse rispetto al vagheggiamento della bellezza colta e sensuale perseguito nelle sue opere neogreche. Proprio questa eterogeneità delle fonti di ispirazione, che spesso gli venne rimproverata, utilizzate in chiave squisitamente evocativa, costituirà la caratteristica fondamentale di questo nuovo periodo della sua attività, fino agli anni Settanta inoltrati, denso di opere e di capolavori, a partire proprio dal monumento laurenziano. Nel 1863 terminò la grande lunetta con l'Esaltazione della Croce per il portale mediano della nuova facciata di S. Croce (per la quale esegui anche la Madonna addolorata della cuspide e diresse i lavori di T. Sarrocchi e di C. Zocchi alle due lunette dei portali laterali), in cui appare evidentissimo il riferimento stilistico a epoche diverse della storia dell'arte per caratterizzare i passaggi della complessa allegoria cristologica.
Ma l'opera cardine di questo periodo è certamente la Pietà, commissionata al D. nel 1862 da Alessandro Bichi Ruspoli per la sua cappella di famiglia nel cimitero della Misericordia a Siena, ove venne collocata nel 1868 dopo essere stata presentata all'Esposizione universale del 1867 a Parigi, in cui ottenne la gran medaglia d'onore.
La critica del tempo pose in risalto soprattutto il contrasto fortemente suggestivo fra la perfezione "quasi pagana" del corpo di Cristo e l'espressione turbata della Madonna "secentisticamente cattolica" (Fiesole, villa Dupré, Archivio, Pacco Miscellaneo: lettera di A. Aleardi al D., Brescia, 12 ag. 1864), tanto che l'opera divenne ben presto esemplare per una moderna arte religiosa intessuta, come affermò l'Aleardi, di "forma antica e sentimento moderno, anima cristiana con in mano scarpello greco" (sull'opera si veda anche G. Gavotti in La Nazione, 28 genn. 1867; C. Guasti [1867], in Belle arti. Opuscoli…, Firenze 1874, pp. 165-176; O. Lacroix, in L'Esposiz. universale … illustrata, Milano-Firenze-Venezia 1867, III, n. 97; P. Mantz, in Gazette des beaux-arts, XXIII [1867], pp. 225 s.; D. Martelli, in Gazzettino delle arti del disegno, 2 febbraio e 1° giugno 1867; Spalletti, 1974, pp. 565-569).
Altre opere di questi anni-furono il monumento a OttavianoFabrizio Mossotti per il Camposanto di Pisa (1863-67), con la bellissima personificazione dell'Astronomia, e il Cristo risorto (1865-67 c.) per la cappella della villa del marchese Ferdinando Filippi, poi Mignani, a Buti (Pisa), spiritualissima e patetica rielaborazione del celebre Redentore di Thorvaldsen.
In occasione dell'Esposizione universale del 1867 il D. si recò una seconda volta a Parigi, ma la sua attività posteriore a quel viaggio non rivela che scarse tracce di quel soggiorno francese. L'opera più impegnativa a cui il D. si dedicò in questo periodo fu certamente il Monumento a Cavour per Torino (1865-73) che, sostanzialmente, si risolse in un insuccesso.
Nonostante l'indiscutibile fascino dei quattro gruppi allegorici del basamento - spesso riconosciuto anche dai detrattori del monumento - l'opera, nel suo complesso, fu al centro di fierissime polemiche animate soprattutto da parte di quei settori della critica che non concepivano la chiave allegorica proposta dal D. per la celebrazione di uno degli artefici del Risorgimento e che avrebbero invece preferito una rappresentazione più evidente, meno soggetta a mediazioni colte, cosi come del resto avveniva proprio in quegli anni per i numerosi monumenti a uomini illustri che andavano popolando le piazze di tante città italiane (cfr. L'Arte in Italia, II [1873], p. 176; Nuova Illustraz. univers., 21 dic. 1873; A. Asquini, in Firenze artistica, 20 apr. 1873; A. Bertacchi, in La Nazione, 3-4 ag. 1873; C. Boito, in Nuova Antologia, novembre 1873, pp. 914-926; P. D'Ambra, in La Nazione, 24 apr. 1873; V. Mikelli, in La Gazzetta di Venezia, 8-10 nov. 1873; G. E. Saltini, Sulmonumento…, Firenze 1873; Spalletti, 1974, pp. 576-584).
Soluzioni analoghe (commistione fra allegorie e rappresentazioni di personaggi reali) il D. adottò anche nel Monumento funebre per la famiglia Monga, nel cimitero di Verona (1868-1871), con l'Angelo della morte che consola l'unica superstite della famiglia, e ancora per l'importante Monumento funebre a Silvestro Camerini, per la cappella della villa Camerini a Piazzola sul Brenta; mentre più accentuatamente spirituale è l'Angelo della preghiera per la stele funebre a Caterina Corridi nel cimitero delle Porte Sante a Firenze (1867), con forme di un gusto quasi neoprimitivo.
Nell'ultimo decennio della sua attività il D., spinto anche da una forte accentuazione dei sentimento religioso evidente soprattutto dopo la morte della figlia Luisina (1872) e della moglie (1875), rallentò la sua produzione, spesso rivolgendosi verso forme sempre più lontane da riferimenti alla bellezza sensuale, in accordo con le contemporanee tendenze critiche spiritualiste di impronta inglese e francese.
Da questo atteggiamento distaccato, riflessivo, nacquero i Pensierisull'arte e ricordi autobiografici (Firenze 1879) che ebbero larghissimo successo (e divennero perfino testo scolastico fino ai primi decenni dei nostro secolo) e che dimostrano anche quanto, in quest'ultimo periodo della sua vita, il D. fosse legato agli ambienti della cultura e della politica fiorentina d'ispirazione cattolica, anche sotto l'influenza di N. Tommaseo e dell'amico C. Guasti. Commissario per la sezione italiana all'Esposizione universale di Vienna, scrisse anche una Relazione sulle Belle Arti quali erano rappresentate… (Firenze 1873), sulla situazione artistica internazionale.
Fra le opere più importanti dell'ultimo periodo andrà ricordato il Monumento a Girolamo Savonarola, eretto nel convento di S. Marco a Firenze (1873), con il busto del frate che riprende i lineamenti del ritratto eseguito da fra' Bartolomeo; l'opera venne sostenuta da un comitato promotore di intellettuali cattolici che la contrapposero al programma, giudicato troppo "laico", a sostegno del monumento a Savonarola di E. Pazzi, allora in elaborazione. Ma il capolavoro tardo dell'artista e certamente il Monumento funebre alla baronessa Fiorella Favard de l'Anglade, nella cappella della villa Favard a Rovezzano (1877), in cui l'invenzione dell'angelo che solleva dal sarcofago la defunta è resa in uno stile neorinascimentale asciutto e denso di commossa spiritualità.
Altre opere tarde da ricordare sono il Monumento al conte Antonio Pallavicini, maresciallo di Maria Teresa d'Austria, per il cimitero della certosa a Bologna (1876); il Monumento a Pio IX sul fianco sinistro dei duomo di Piacenza (1878-80); il Monumento a Vittorio Emanuele II a Trapani (1878-82); la statua di S. Zanobi per una nicchia nell'intradosso del portale centrale del duomo di Firenze, commissionata nel 1876e tradotta in marmo dalla figlia Amalia sulla base del modello in gesso già completato alla morte del D.; il bassorilievo con l'Annunciazione per la chiesa di S. Sebastiano a Livorno (1879-80); il bassorilievo con il profilo di Cristo per l'istituto dei sordomuti a Siena (1879), oggi nelle Collezioni civiche senesi; la statua di Raimondo Lullo per una cappella della Finca Mirarnar dell'arciduca Luigi Salvatore di Asburgo-Lorena a Palma di Maiorca; la statua di S. Francesco per la piazza di S. Ruffino ad Assisi (1880-1881), poi collocata all'intemo della chiesa.Il D. mori a Firenze il 10 genn. 1882; i suoi funerali furono accompagnati da onori e celebrazioni ufficiali.
Il nucleo più importante dei modelli in gesso lasciati nel suo studio di via degli Artisti è ora nella gipsoteca Dupré, donata (1974) dai discendenti alla Galleria d'arte moderna di palazzo Pitti e collocata nella limonaia della villa Dupré a Fiesole, che comprende anche un buon numero di modelli per alcuni dei numerosi ritratti che il D. esegui nel corso della sua carriera; una ricca collezione di bozzetti e documenti del D., di proprietà degli eredi, si trova nella stessa villa. Altri nuclei consistenti di gessi, sempre provenienti dallo studio del D. e poi divisi, sono nel Museo della contrada dell'Onda a Siena, nella collezione fiorentina di alcuni discendenti dell'artista, nel Museo dell'Accademia a Montecatini Terme.
Oltre a quelli citati all'interno della voce, tra gli scritti del D. si ricordano: Della scultura alla Espos…. di Parigi, Firenze 1867; Dei sepolcri Medicei in S. Lorenzo, in M. Buonarroti. Ricordo al popolo italiano, Firenze 1875, pp. 69-74; Discorso per le feste centenarie di Michelangelo, in Relazione del centenario di Michelangelo…, Firenze 1875, pp. 144-148; Scritti minori e lettere…, Firenze 1885; Lettere familiari di G. Dupré a T. Sarocchi, Siena 1917.
Fonti e Bibl.: Oltre agli scritti del D. e ali'arch. Dupré conservato a Fiesole presso gli eredi, cfr. i necrologi in: La Nazione, 11 genn. 1882; ibid., 12 genn. 1882; L'Illustr. ital., 15 genn. 1882, p. 49; L'Arte, 27 genn. 1882; A. Ciardi, In morte del Prof. G. D., Firenze 1882. Per la bibl. cfr. A. M. Inzunnia, Sui principali oggetti di pittura e scultura esposti alle Belle Arti, in Giorn. di commercio (Firenze), 28 ott. 1840; Id., Cenni descrittivi degli oggetti di pittura e scultura esposti nella I. e R. Accademia di belle arti, ibid., 26 ott. 1842; L'Abele di G. D., in Gazzetta di Firenze, 13 ott. 1842; E. Montazio, Cenni sulla Esposiz. nella I. e R. Accademia di belle arti di Firenze, in Ricoglitore fiorentino, 22 ott. 1842; M. Ridolfi, Belle arti, in Il Messaggero delle donne ital., 17 ott. 1842; Notizie artistiche, in Il Messaggero delle dame, 27 maggio-7 giugno 1843; F. De Boni, Dell'esposizione fiorentina nell'Accademia delle belle arti, in IlRicoglitore fiorentino, 4 nov. 1843; A. M. Inzunnia, Sopra l'esposizione di oggetti pittorici e di statuaria alla fiorentina Accademia delle belle arti, in Giornale di commercio, 18 ott. 1843; O. Turchetti, Corrispondenza dal granducato di Toscana, in Rivista europea, n. 14, luglio 1843, pp. 120 s.; G. La Farina, L'Abele moribondo statua di G. D., ibid., n. 21, 15 nov. 1843, pp. 133-142; Id., G. D., Firenze 1843; Id., Belle arti, in Il Ricoglitore fiorentino, 19 ott. 1844; Notizie artistiche, in La Rivista, 11 febbr. 1845; Notizie artistiche, in La Gazz. di Firenze, 1° marzo e 1° luglio 1845; F. De Boni, Esposizione fiorentina nella I. e R. Accademia di belle arti, in IlMessaggero delle donne italiane, 31 genn. 1845; E. Montazio, Corse a zig-zag. Prima corsa, in La Rivista, 1° luglio 1845; Id., Le belle arti a Firenze, ibid., 21 ott. 1845; C. Pucci, Lettere sulle accademie di belle arti in Italia, ibid., 29 ott. 1847; L. Venturi, Caino. Statua di G. D. [1847], in Versi e prose…, Firenze 1871, p. 213; F. Palermo, Pio II già Enea Silvio Piccolomini. Nella inaugurazione della sua statua in Siena…, Firenze 1850; H. Delaborde, Fra Angelico da Fiesole. Ses nouveaux biographes et ses disciples en Toscane, in Revue des deux mondes, 15 dic. 1853, p. 1147; Rettificazione, in Bullett. delle arti del disegno, 27 apr. 1854; S. Antonino arcivescovo. Statua in marmo dei prof. D., in Le Arti del disegno, 10 genn. 1855; H. Delaborde, Sculpteurs modernes. Lorenzo Bartolini, in Revue des deux mondes, 15 sett. 1855, pp. 1263 s.; F. Martinori, A G. D. scultore, in L'Arte, 6 giugno 1855, p. 178; G. Benericetti Talenti, L'inaugurazione delle XXVIII statue di illustri toscani…, Firenze 1856; T. Pendola, Di due dipinti del prof. Luigi Mussini… e di una statua del prof. G. D. esistenti presso Maria de' marchesi Ballati Nerli…, Siena 1857; S.A., Monum. a Wellington. Descrizione dei modelli premati dei proff. Falcim, Cambi e D., in Riv. di Firenze e Bullett. delle arti del disegno, I (1857), 2, pp. 141-145; Saffo, statua modellata dal prof. G. D., ibid., II (1858), 3, pp. 230 s.; C. Rovani, Storia delle lettere e delle arti in Italia, IV, Milano 1858, pp. 531 s. Per la bibl. sulle opere del D. posteriore al 1859 cfr. Spalletti, 1974. Fra le voci più importanti vedi comunque: C. J. Cavallucci, Delle opere esposte dal professore G. D., in L'Esposizione italiana del 1861, 30 apr. 1862; G. Ghivizzani, Ilmonumento della contessa Berta Ferrari Corbelli scolpito da G. D., Firenze 1864; C. Guasti, La malattia e la guarikione dell'uva simboleggiata in due putti del prof. G. D. [1864], in Opere…, IV, Prato 1897, pp. 197 s.; P. E. Selvatico, Di un monumento sepolcrale scolpito dal cav. G. D., in La Nazione, 10ag. 1864; H. Semper, G. D. Biographische Skizze, in Zeitschrift für bildende Kunst, IV (1869), pp. 1-4, 43-47; P. L. Cecchi, Studi sull'arte contemporanea. Il Vela e il D. ..., in La Riv. europea, IV, settembre e novembre 1873; F. Dall'Ongaro, Scritti d'arte…, Milano-Napoli 1873, pp. 292, 305.310; C. Guasti, Monumento a Girolamo Savonarola posto in S. Marco [1873], in Opere…, IV, Prato 1897, pp. 301-304; A. Cecioni, Gli uomini celebri. Il D., in Giorn. artistico, 31 dic. 1873; 20 genn. 1874; P. E. Selvatico, Una visita allo studio di G. D., Padova 1874; Ch. Blanc, Les artistes de mon temps. …, Paris 1876, pp. 455-460; L. Mussini, Scritti d'arte, Firenze 1880, passim; G. L. Patuzzi, A proposito dei pensieri sull'arte… di G. D., Verona 1880; Notizie artistiche, in La Nazione, 23 dic. 1881; Il VII centenario di s. Francesco d'Assisi, in L'Illustr. ital., 8 ott. 1882, p. 236; R. Bonghi, G. D. scrittore, in IlFanfulla della domenica, 12 febbr. 1882; Id., Francesco d'Assisi e G. D., in La Domenica letteraria, 22 ott. 1882; A. L. Brogialdi, Elogio di G. D., Roma 1882; C. M. Carli, Per il VII centenario di s. Francesco d'Assisi…, in L'Arte, X (1882), n. 8; G. Carocci, Di G.D., in L'Illustr. ital., 26 marzo 1882, pp. 221-225; A. Marconi, Un inedito su D., ibidem, p. 225; E. Cecchi, G. D. artista, in IlFanfulla della domenica, 19 febbr. 1882; C. Guasti, Pensieri su L. Bartolini e G.D. [1882], in Opere…, IV, Prato 1897, pp. 504-507; Iris, La statua del beato Raimondo Lullo…, in La Nazione, 16 apr. 1882; F. Martini, A proposito di uno sproposito, in La Domenica letteraria, 12 marzo 1882; L. Venturi, Un'altra parola sulla statua di s. Francesco…, ibid., 16 nov. 1882; B. Soster, Dei principi tradizionali delle arti figurative…, Milano 1883, pp. 73 s., 86, 203 ss.; A. Galassini, G. D. ne' suoi scritti minori, Torino 1883; G. M. Zampini, G. D. e i suoi ricordi autobiografici, Torino 1885; H. S. Frieze, G. D . …. London 1886; E. Pazzi, Ricordi d'arte…, Firenze 1887, passim; L. Mussini, Epistolario artistico…, Siena 1893, passim; F. Bartalini, G.D. Discorso commemorativo…, Siena 1895; O. Bacci, I pensieri sull'arte…, Siena 1896; L. Pannunzio, Ilbuon cuore nell'arte di G. D., Agnone 1900; C. Corsi, Descrizione di alcune opere originali del prof. G. D…., Firenze 1902; M. A. Bonacci Brunamonti, Ricordi di viaggio…, Firenze 1905, passim; N. Mengozzi, Lettere intime di artisti senesi, Siena 1908, ad Ind.; P. Dotti, Di G. D. e dell'arte cristiana, Milano 1908; L. Callari, G. D., in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon…, X, Leipzig 194, pp. 172 s.; Per G. D. Onoranze nella ricorrenza…, in Bull. senese di storia patria, XXIX (1917), p. 92; A G. D. Siena nel centenario della sua nascita, Siena 1917; G.D. scultore…, Milano 1917; F. Sapori, G.D. scultore, Milano 1918; A. Pacini, Le onoranze a B. Peruzzi, in Rass. d'arte senese, XVI (1923), 1-2, pp. 53-58; M. Guerrisi, Discorsi sulla scultura, Torino 1931, p. 175; P. Misciattelli, G. D. e il monumento a Wellington, in La Diana, VI (1931), pp. 261-266; M. Cavallini, G. D. e L. Bartolini. Alcune lettere del Bartolini, in Rass. volterrana, VI (1932), 2, pp. 96 s.; L. Marri Martini, G. D., commemorazione tenuta…, in Bull. senese di storia patria, III (1932), pp. 49-64; S. Vigezzi, La scultura ital. dell'Ottocento, Milano 1932, pp. 47-52; G. Nicodemi-F. M. Duffloc, Le arti italiane nel XIX e XX secolo…, Milano 1935, pp. 104 s.; N. Tarchiani, La scultura ital. dell'Ottocento, Firenze 1936, pp. 28-33; A.M. B rizio, Ottocento e Novecento, Torino 1939, pp. 441, 464; F. Sapori, Scultura ital. moderna, Roma 1949, pp. 128-136, 451; D. Ferri, Sentire e soffrire nell'arte, in Terra di Siena, IX (1955), 3, p. 23; E. Lavagnino, L'arte moderna. Dai neoclassici ai contemporanei, Torino 1956, pp. 380-384; C. Maltese, Storia dell'arte in Italia, 1875-1943, Torino 1960, pp. 129-135; G. Marchiori, Scultura ital. dell'Ottocento, Milano 1960, pp. 51-60; A. Cairola, La gipsoteca G. D., in Terra di Siena, XVI (1962), 2, pp. 23-26; E. Beltrame Quattrocchi-S. Lazzaro Morrica, Disegni dell'Ottocento (catal.), Roma 1969, pp. 46 s.; Z. Zaretskaja-N. Kossareva, La scuipture de l'Europe occidentale…, Leningrad 1970, pp. 62 s.; C. Del Bravo, Disegni ital. del XIX secolo (catal.), Firenze 1971, pp. 78-81; P. Barocchi, Testimonianze e polemiche figurative in Italia. L'Ottocento, Messina-Firenze 1972, ad Ind.; F. Mannu, in Cultura neoclassica e romantica nella Toscana granducale (catal.), Firenze 1972, pp. 145 ss., 196; C. Del Bravo, Il bozzetto dell'Abele di G. D., in Paragone, XXIII (1972), 271, pp. 69-78; E. Spalletti, Note su alcuni inediti di G. D., ibid., pp. 78-88; M. Rheims, La scuipture au XIX siècle, Paris 1972, pp. 19, 46, 139, 334; E. Spalletti, Il secondo ventennio di attività di G. D., in Annali della Scuola normale super. di Pisa, IV (1974), 2, pp. 537-612; Id., Per Antonio Ciseri…, ibid., V (1975), 2, ad Indicem; Fantasmi di bronzo…, Torino 1976, pp. II s., 22, 102-107; F. Bellonzi, Architettura, pittura, scultura dal Neoclassicismo al Liberty, Roma 1978, pp. 135 s.; E. Spalletti, in Lorenzo Bartolini… (catal.), Firenze 1978, pp. 54-57; Da Antonio Canova a Medardo Rosso (catal.), Roma 1982, pp. 39-45; S. Pinto, La promozione delle arti negli Stati italiani, in Storia dell'arte italiana (Einaudi), VI, 2, Torino 1982, ad Indicem; E. Spalletti, Gli anni del Caffè Michelangelo…, Roma 1985, pp. 10, 20; S. Croce nell'Ottocento (catal.), Firenze 1986, ad Ind.; L'Ottocento di Andrea Maffei (catal.), Riva del Garda 1987, ad Indicem; P. Ciardi Dupré-R. Marcucci, G. D., Taccuino di viaggio e disegni inediti, Firenze 1988; Siena tra purismo e liberty (catal.), Siena 1988, pp. 106-118.
E. Spalletti