Villani, Giovanni e Matteo
Giovanni Villani, nato a Firenze intorno al 1280 da famiglia popolana, si dedicò fin dalla giovinezza alla mercatura. Partecipò attivamente alla vita politica fiorentina dal 1316 fino al 1330: fu più volte priore e magistrato con diversi incarichi, di ambito soprattutto economico-finanziario. Dal 1331 la sua attività pubblica subì un declino; coinvolto nel fallimento della compagnia dei Buonaccorsi nel 1346, fu per qualche tempo incarcerato. Morì nell’epidemia di peste del 1348.
Secondo quanto dichiara, V. concepì il progetto di scrivere la sua Cronica (titolo con il quale l’opera è nota secondo la vulgata; ora Nuova cronica, nell’edizione critica a cura di G. Porta, 3 voll., 1990-1992, da cui si cita) a seguito di un viaggio a Roma per il giubileo del 1300. Sollecitato dalla vista degli antichi monumenti e dall’esempio degli autori che tramandano le memorabili gesta dei Romani, decise di intraprendere un’opera ancora intentata: scrivere la storia della propria patria, Firenze, che di Roma era – secondo una già consolidata tradizione – «figliuola e fattura» (IX xxxvi). Firenze è dunque, anche sul piano dell’ideazione, l’epicentro dell’opera, che mantiene a ogni modo, pur nella novità di intenti, l’impianto della cronaca universale. La narrazione ha infatti inizio dalla torre di Babele e tratta i fatti del mondo fino alla contemporaneità dell’autore, in 13 libri (12 secondo la vulgata), frammentati in autonomi capitoli di vario numero. I primi sette libri (circa un quarto dell’intera opera) procedono dalla torre di Babele al 1264 (chiamata di Carlo d’Angiò in Italia); dal 1265 l’andamento annalistico si fa invece sistematico e la narrazione muta di proporzioni, con maggiore ampiezza e analiticità. Dalla seconda metà del libro VIII la Cronica riguarda la storia a V. contemporanea, fino a giungere alla stringente attualità, in cui assume ulteriore significato la diretta testimonianza.
La peculiare attenzione di V. agli aspetti economico-finanziari, statistico-demografici e amministrativi di Firenze (memorabili in particolare i capitoli xci-xciv del libro XII) conferisce alla Cronica – con le dovute cautele – un non trascurabile ruolo anche documentario. Per quanto riguarda i tempi della scrittura, l’operato di V. in rapporto alla precedente tradizione e la discussa questione redazionale, cfr. Green 1972 e Ragone 1998.
Come è detto nel prologo, la scrittura dell’opera in «piano volgare» intende arrecare «frutto» e «diletto» al pubblico dei non letterati, sia mediante il fare «memoria» delle cose notevoli di Firenze, di cui si esalta la nobiltà e la grandezza a partire dalle origini – in modo che non se ne perdano le testimonianze e l’impresa venga poi continuata dai successori –, sia tramite il dare «esemplo»: in chiave etico-morale e politico-civile, centrando la riflessione sul tema delle «mutazioni averse e filici». Causa di queste, con esiti diversi nel corso degli eventi, risultano le ripetute divisioni tra i cittadini, da V. legate in primo luogo allo stesso mito delle origini, nella duplice e antitetica matrice romana e fiesolana, e ai peccati degli uomini fomentati dall’intervento diabolico, cui – secondo la logica provvidenzialistica e tradizionalmente religiosa di V. – fanno seguito i «flagelli» mandati in punizione da Dio. Pur nella frammentazione del racconto cronachistico, V. fa emergere il progressivo costituirsi dell’assetto istituzionale che trasforma la fisionomia politico-civile e militare dell’antico Comune e ne pone il nuovo baricentro nel ‘popolo grasso’ e nelle Arti. Socialmente e politicamente legato ai «buoni uomini di Firenze», «mercatanti e artefici», V. esprime negli ultimi libri un crescente disagio e fastidio, con toni polemici, per i reggenti e il loro operato, anche a causa dell’aumentato potere dei popolani minuti nelle istituzioni.
Il successo e la diffusione della Cronica furono molto rilevanti, come attesta l’imponente tradizione manoscritta del testo. La monumentale opera di V. assunse un carattere quasi ufficiale, e divenne il caposaldo e il punto di partenza e confronto obbligato della successiva cronachistica e storiografia fiorentina. Sulla strada da lui indicata si pose subito il fratello Matteo (1285?-1363), la cui Cronica, pur non priva di un’autonoma diffusione, fu recepita, e poi utilizzata, come una continuazione di quella di Giovanni. Di intenti e prospettive in larga misura diverse, in cui prevalgono il tema della «novità» e un fine moralistico sostenuto da una visione cupa e sfiduciata, l’opera di Matteo è composta da undici libri, nei quali sono distesamente narrati gli avvenimenti dal 1348 al 1363. Il racconto relativo alla guerra dei fiorentini contro i pisani, rimasto interrotto a causa della morte dell’autore, fu concluso dal figlio Filippo (1325-1405), fino alla pace stipulata nel 1364.
Dell’opera di Matteo e Filippo non si riscontra alcuna presenza in Machiavelli. Molte e significative sono invece le tracce della Cronica di Giovanni nel secondo libro delle Istorie fiorentine, dove il nome è citato (insieme con quello di Dante) nel cap. ii in relazione a Fiesole, all’inizio delle considerazioni sulla fondazione di Firenze: segno esplicito della volontà di M. di non ignorare la tradizione cronachistica fiorentina messa in mora negli Historiarum Florentini populi libri XII di Leonardo Bruni (lo stesso avviene per la distruzione a opera di Totila, re degli Ostrogoti, e per il mito della riedificazione carolingia). A partire dal racconto della «prima divisione» del 1215, da cui la storia della città assume nella narrazione di M. significato autonomo e degno di memoria, la funzione della Cronica di V. – come di quella di Marchionne di Coppo Stefani (→), che è però meno rilevante nel II libro – è quella di offrire a M. viva materia per sostanziare «particularmente», e con i nomi dei protagonisti, la narrazione della vita politica cittadina e soprattutto delle divisioni e civili discordie. Nella complessa rielaborazione e nell’intarsio di fonti del II libro, tra la narrazione bruniana e i cronisti (per un esame analitico cfr. Cabrini 1985, anche per la pregressa bibliografia), tra i passi in cui è particolarmente significativo l’apporto di V. si segnalano la vendetta contro Buondelmonte Buondelmonti (ii), l’istituzione del priorato (xi), l’entrata di Corso Donati in Firenze nel 1301 (xix), la sua sconfitta e morte nel 1308 (xxiii), la condotta di Ramondo di Cardona (xxix), la congiura dei Bardi e dei Frescobaldi (xxxii), l’operato di Gualtieri di Brienne duca d’Atene in Firenze (xxxiv-xxxvii, con lo Stefani, in alcune parti prevalente); il tentativo di Andrea Strozzi (xl, sempre con Stefani, mentre l’episodio è del tutto ignorato da Bruni). Interessa anche rilevare, nella narrazione riguardante Castruccio Castracani, la presenza di passi della Cronica, da M. presumibilmente già considerati in relazione alla stesura della Vita del condottiero e signore lucchese.
Bibliografia: L.F. Green, Chronicle into history. An essay on the interpretation of history in Florentine fourteenth-century chronicles, Cambridge 1972; A.M. Cabrini, Per una valutazione delle Istorie fiorentine. Note sulle fonti del secondo libro, Firenze 1985; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 2° vol., La storiografia, Bologna 1993; F. Ragone, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache a Firenze nel Trecento, Roma 1998; A.M. Cabrini, Un’idea di Firenze. Da Villani a Guicciardini, Roma 2001.