ELIA, Giovanni Emanuele
Nato a Torino il 15 marzo 1866 da Luigi e da Albina Orsi, ad undici anni ebbe la prima esperienza marinara, prestando servizio su un veliero che da Genova fece rotta per Gibilterra, doppiò il capo di Buona Speranza, toccò l'India e l'Indonesia fino a raggiungere il Nordamerica. Nel 1880 entrò come allievo nella scuola di marina di Napoli per poi passare, l'anno successivo, al primo corso della neocostituita Accademia navale di Livorno. Guardiamarina nel 1885, sottotenente di vascello nel 1887, fu promosso nel giugno 1890 tenente di vascello: Già nel 1889 aveva ideato un modello di torpedine a funzionamento semplificato; l'anno seguente presentava un progetto definitivo per un'arma ad ancoramento automatico (brevetto n. 28.655 del 27 dic. 1890) e abbandonava la marina per potersi dedicare interamente agli studi tecnici.
La torpedine, già usata in diversi conflitti, presentava l'inconveniente, per la messa in opera, di operazioni lunghe, laboriose e costose. Il modello dell'E. del 1890, al contrario, faceva registrare un'estrema facilità di posa in opera anche su alti fondali: diventava perciò proponibile l'uso cosiddetto "offensivo" dell'arma (cioè teso a colpire gli spostamenti del nemico e non solo a difendere le proprie coste o piazzeforti), come già ipotizzato dall'ammiraglio S. Pacoret di Saint-Bon diversi anni prima, e ora riproposto dallo stesso E. e dall'ammiraglio G. Bettolo.
Per controllare i risultati in modo metodico e razionale l'E. progettò una vasca, che venne realizzata in due esemplari: a bordo del piroscafo "Washington" e presso le officine Pignone di Firenze. Seguirono altri studi sulla spinta di galleggiamento, sull'impermeabilità, sull'equilibrio, sulla discesa in fase di posa, sull'oscillazione delle armi ancorate. Nel 1913 venne costruita, sempre su suo progetto, una seconda vasca di 30 metri verticali, per studiare altri problemi di ancoramento delle torpedini ed anche l'uso degli apparecchi da palombaro. L'arma trovò vasta applicazione da parte delle potenze dell'Intesa durante il primo conflitto mondiale. Se ne servì prima di tutto la Gran Bretagna (Vickers-Elia); l'Italia realizzò con essa la parte fissa dello sbarramento del canale d'Otranto. Ancora alla fine degli anni Venti l'E. venne contattato dall'allora sottocapo di stato maggiore della marina, ammiraglio R. Bernotti, per studiare la possibilità di uno sbarramento per gli altissimi fondali del canale di Sicilia e, seppure ormai superata da ordigni più potenti, la torpedine rimase in dotazione alla marina italiana anche durante la seconda guerra mondiale.
Nei primi anni del sec. XX, e di nuovo dopo la guerra mondiale, l'E. si era dedicato a numerosi viaggi all'estero, soprattutto nelle Americhe, durante i quali aveva allacciato rapporti con diverse comunità nazionali e fatto opera di propaganda italiana. Divenuto consigliere (1924-26), poi vicepresidente (1926-28) benemerito della Società geografica italiana, promosse viaggi, esplorazioni e studi; nel 1926, con la cospicua donazione di L. 2.000.000, permise alla Società di rilanciare l'attività scientifica, ritrovare una sede adatta e riprendere la regolare pubblicazione del bollettino. Lo stesso anno ricevette per meriti scientifici da Vittorio Emanuele III il titolo di conte di San Valentino.
Colpito da una grave malattia, trascorse gli ultimi anni a Quiesa, frazione del Comune di Massarosa (Lucca), morendo a Roma il 17 dic. 1935.
La "torpedine da blocco", in seguito denominata "mina subacquea ad ancoramento automatico", era formata da un involucro metallico di forma cilindrica (materiali suggeriti: acciaio, rame o ottone) contenente nella parte inferiore la carica esplosiva (145 kg di tritolo) e nella parte superiore il congegno per l'innesco dell'esplosione (una serie di sporgenze dette "urtanti"; all'impatto provocavano la rottura di una fialetta di elettrolita che imbeveva e faceva funzionare una pila elettrica; la corrente di questa, arroventando un sottile filo di platino, determinava l'accensione del detonatore al fulmicotone). Nella parte centrale dell'involucro della torpedine una cavità piena d'aria assicurava una spinta verso l'alto tale da permettere il galleggiamento dell'ordigno, non appena lanciato in mare.
L'innovazione fondamentale dell'E. consisteva nei meccanismi di posizionamento automatico della torpedine alla profondità voluta. Dopo il lancio in mare, non appena l'asse della torpedine assumeva all'incirca una posizione verticale, da questa si staccava uno scandaglio, e il suo cavo, collegato ad un'ancora, si sfilava per una lunghezza prefissata, che corrispondeva alla profondità cui si voleva collocare la torpedine. A questo punto, automaticamente, cominciava a svolgersi il cavo (lunghezza fino a 1.000 m) dell'ancora della torpedine. L'ancora, costituita da un involucro metallico vuoto internamente, di forma grosso modo cilindrica, veniva trascinata verso il fondo dallo scandaglio, il cui peso in acqua era superiore alla spinta di Archimede dell'ancora. L'urto dello scandaglio sul fondo faceva bloccare lo svolgimento del cavo dell'ancora e aprire in questa una valvola che provocava l'allagamento della camera interna. Per il conseguente appesantimento, l'ancora scendeva sul fondo trascinando la torpedine alla quota subacquea desiderata. Grazie a questi automatismi, la velocità di posa aumentava sensibilmente: nel 1895 una nave posamine riusciva a collocare 200 torpedini "Elia" in due ore con l'impiego di 100 marinai, mentre prima la posa dello stesso quantitativo richiedeva due mesi e un migliaio di marinai. La torpedine era provvista di un dispositivo di sicurezza, denominato "piatto idrostatico", che impediva l'innesco della carica esplosiva in caso di rottura della fialetta di elettrolita per un urto accidentale sul ponte della nave posamine.
La torpedine fu adottata ufficialmente dalla marina militare italiana nel 1893 e nel 1899 l'E. fu insignito di medaglia d'oro di prima classe al valore di marina per il progresso delle scienze navali. Nel corso degli anni l'arma subì alcune modifiche studiate dall'E. o suggerite dalle prove fatte dalla stessa marina. Fu quasi subito sostituito l'innesco chimico-elettrico con uno meccanico a percussione detto "revolver", perché più sicuro; l'involucro fu realizzato in alluminio; fu aumentata la possibilità offensiva dell'arma rendendola efficace anche contro i sommergibili (1914); nel corso della prima guerra mondiale fu realizzata una versione più potente, con carica esplosiva tripla.
Durante la prima guerra mondiale la torpedine "Elia", adottata dalle marine militari francese, inglese, spagnola e statunitense, fu costruita in oltre 500.000 esemplari; ben 400.000 di questi furono utilizzati da Inghilterra e Stati Uniti. Degni di menzione gli impieghi per sbarramenti antisommergibili: si pensi a quello fatto tra Dover e Calais per consentire lo sbarco senza danni in Francia dell'esercito inglese e che portò alla distruzione di 27 sommergibili tedeschi, nonché all'altro, fatto nel Mare del Nord con 62.000 torpedini tra Scozia e Norvegia e con un'estensione di circa 450 km, per permettere l'arrivo in Europa delle navi che trasportavano l'esercito statunitense.
Tra il 1905 e il 1920 l'E. ottenne molti altri brevetti relativi al perfezionamento della torpedine ("Ancora di sicurezza per torpedini", "Sistema d'ancoraggio con scandaglio", "Sistemi di accensione per torpedini", ecc.) e ad altri dispositivi aventi sempre per obbiettivo la difesa e l'offesa verso attacchi bellici via mare ("Protezione di navi per mezzo di camere speciali laterali", "Sistema di segnalazione radio-telegrafico di sommergibili impigliati nelle reti alle navi di guardia"). Quest'ultima invenzione, che permetteva di individuare con facilità i sommergibili nemici impigliati in reti subacquee di protezione, presupponeva la numerazione di ogni maglia delle reti e la possibilità, da parte della singola maglia, di emettere un particolare segnale radio che poteva essere captato fino a 20 miglia di distanza dalle navi della guardia costiera. Questo dispositivo, brevettato nel 1917 e giudicato non idoneo dalla marina italiana, fu ceduto alla marina degli Stati Uniti che lo sperimentò positivamente negli anni successivi.
Pochi sono gli scritti dell'E.: si possono ricordare l'articolo L'Unione internazionale di soccorso e le Società di geografia (in La Nuova Antologia, 16 sett. 1928, pp. 238-250), in cui illustra i compiti dell'ente e suggerisce proposte per meglio fissarne i compiti e accelerarne la fase operativa, e quello Spagna (in Realtà, mensile del Rotary Clubs d'Italia, V, [1932], 9, pp. 252-270), in cui espone delle considerazioni politico-economiche sulla Spagna. Un suo libro sulle torpedini, scritto verso la fine del 1890, non fu pubblicato per motivi di segretezza militare.
U. D'Aquino
Fonti e Bibl.: Roma, Ministero della Difesa, Ufficio storico della marina militare, Fasc. personale; L. Fea, Sommergibili e torpedini, in La Nuova Antologia, 16 marzo 1915, pp. 293-315; E. Bravetta, Sottomarini, sommergibili, torpedini, Milano 1915, p. 179; Roma, Ministero della Marina, Direz. delle torpedini e del munizionamento, Prontuario indice delle torpedini, La Spezia 1925, pp. 12-15; Atti della Società, in Bollettino della Società geografica italiana, s. 6, LX (1926), pp. 61 s., 111, 200 s., 599 s., 741 s.; E. Simion, L'adozione e l'evoluzione delle armi subacquee nella marina italiana, in Riv. marittima, LX (1927), pp. 460-463, 482 s.; Id., La vasca Etilia per le prove di funzionamento delle torpedini e degli apparecchi subacquei, ibid., LXI (1928), pp. 85-93; necrologio in Bollettino della Società geografica italiana, s. 7, LXX (1936), p. 75; Ufficio storico della marina militare, La marina italiana nella seconda guerra mondiale, XVIII, La guerra di mine, Roma 1960, pp. 8, 14; R. Bernotti, Cinquant'anni nella marina militare, Milano 1971, p. 244; G. Galuppini, L'Accademia navale, Roma 1981, p. 339; Encicl. Ital., ad vocem.
W. Polastro-U. D'Aquino