ENRIQUES, Giovanni
Nacque a Bologna il 24 genn. 1905 da Federigo e Luisa Miranda Coen, terzogenito, dopo le sorelle Alma e Adriana.
Il padre - appartenente ad una famiglia ebraica benestante, di ceppo sefardita, trasferitasi da Tunisi in Toscana -, matematico, epistemologo, storico della scienza, grande organizzatore culturale, fu, soprattutto negli anni del suo insegnamento nell'università bolognese (1894-1922), una figura centrale di quella cultura italiana di orientamento filosofico-scientifico rimasta, infine, in sottordine rispetto all'idealismo di Croce e di Gentile. La madre, che si definiva atea e libera pensatrice, era figlia di Achille Coen, bibliotecario dell'Ambrosiana, quindi professore di storia all'università di Firenze.
L'E. frequentò a Bologna il liceo-ginnasio "Galvani", poi, nel 1922, si trasferi a Roma al seguito del padre - qui chiamato alla cattedra di matematiche superiori presso la facoltà di scienze - per frequentare la terza liceale al "Tasso", dove si inseri con facilità nel nuovo ambiente, secondo un tratto caratteriale di notevole adattabilità che lo contraddistinse tutta la vita.
Aveva iniziato fin dall'infanzia ad andare in montagna e l'alpinismo fu un hobby che praticò con grande passione e a livelli notevoli (nel 1930, ad e s., partecipò alla prima ascensione senza guide della parete nord della Tour Ronde), anche se "senza fanatismi e preoccupazioni agonistiche", fino al 1962, quando un incidente lo costrinse ad interrompere del tutto questa attività che aveva peraltro già rallentato (Enriques, p. 28).
Nel 1923 si iscrisse al biennio di fisica e matematica, dove ebbe compagni di studi, fra gli altri, E. Maiorana e E. Segrè, e quindi alla Scuola di ingegneria. Chiamato alle armi, prestò servizio militare, dal 1º ag. 1928, presso la compagnia alpina della Scuola allievi ufficiali di complemento di Bra (Cuneo). Congedato nel gennaio 1929, si laureò nell'ottobre in ingegneria elettrotecnica.
Verso la fine di quello stesso anno l'E. sostenne, a Napoli, l'esame di stato, quindi entrò in contatto con Adriano Olivetti e, dal 2 febbr. 1930, fu assunto nella fabbrica di macchine da scrivere di Ivrea come apprendista, in officina, a partire dai livelli più bassi. Nell'autunno del 1930 passò allo studio di particolari test riguardanti il montaggio della nuova M40; nel maggio 1931 l'E. chiese un periodo di aspettativa e, fino al luglio 1932, Compi un viaggio di studio e di lavoro negli Stati Uniti, durante il quale visitò fabbriche, università e biblioteche e si impiegò per alcuni mesi alla Bellanca Aircraft Corporation. Ritornato in Italia, accettò l'offerta della Olivetti di entrare nell'Ufficio organizzazione, appena aperto a Milano al fine di costituire i nuovi quadri amministrativi e commerciali dell'azienda.
In un periodo in cui l'industria meccanica italiana, da livelli ancora quasi artigianali, andava evolvendo verso un modello più progredito e razionale, l'E. si trovò dunque impegnato alla Olivetti al fianco di Adriano - che proprio allora stava assumendo la responsabilità organizzativa della sua impresa - fra quei laureati, tutti di fresca assunzione, destinati a formare la nuova dirigenza in base alle loro capacità e tendenze, secondo un progetto all'epoca quanto mai avanzato, che prevedeva organismi decentrati e direzione per funzioni.
In questo quadro, nel 1936, PE. fu chiamato a dirigere, con la più estesa procura, l'Ufficio esportazioni, ed ottenne l'incarico in una congiuntura favorevole che seppe mettere a buon frutto. Infatti con la fine delle sanzioni e la svalutazione della lira l'Olivetti era allora in grado di cogliere al meglio tutte le possibilità offerte dalla politica e dalle alleanze del regime fascista. Ai tradizionali mercati sudamericani si aggiungevano quelli dell'Europa centrale e balcanica e della stessa Germania, le cui fabbriche erano state in gran parte riconvertite alla produzione bellica. Alla fine degli anni Trenta l'Italia era al terzo posto in Europa fra i paesi esportatori di macchine da scrivere; le esportazioni si avvicinavano a coprire un terzo del fatturato Olivetti e rivestivano un ruolo centrale nella strategia dell'azienda sia come linea di tendenza, sia come risultati economici.
La carriera dell'E. non risenti neppure dell'emanazione delle leggi razziali nel 1938; alla Olivetti, dove la presenza di personale ebraico era'notevole, si ricorse all'escamotage ditrasferire per breve tempo all'estero i dipendenti ebrei che cosi evitavano di ottemperare alla prescritta denuncia di razza. L'E. passò un certo periodo a Parigi, dove infatti nel 1939 costitui una consociata per l'importazione e vendita, la SAMPO-Olivetti. In piena guerra l'azienda poté espandersi anche sui mercati dell'Europa occupata dai nazisti, cosicché nel 1942 vennero esportate oltre 14.000 macchine da scrivere.
La situazione dovevw evidentemente precipitare con il 25 luglio 1943 e più ancora l'8 settembre; pochi giorni dopo quella data si costituiva alla Olivetti la commissione interna, quindi il Comitato di liberazione nazionale (CLN) di cui l'E. entrò a far parte come esponente del partito liberale. Pur senza essersi precedentemente impegnato nella politica attiva, l'E. si era d'altronde già avvicinato agli ambienti dell'antifascismo torinese dopo il 1934, quando alcuni suoi colleghi e amici erano stati arrestati dalla polizia fascista; il matrimonio con Emma Cosattini, figlia di un esponente socialista (avvenuto nel 1936), e le leggi razziali lo avevano ulteriormente confermato su queste posizioni.
Nei primi mesi del 1944, quando Adriano Olivetti passò in Svizzera, l'E., cui nell'ottobre 1943 era morta di tifo la moglie lasciandogli due figli piccoli (Lorenzo, nato nel 1939, e Federico. nato nel 1941), preferi rimanere ad Ivrea; per tutelarsi si procurò un falso attestato del ministero della razza che lo dichiarava ariano. Si costitui allora di fatto un triumvirato, formato dall'E., da Gino (Levi) Martinoli e da G. Pero, che resse l'azienda fino alla Liberazione.
Riuscendo a mantenere un delicato e sempre precario equilibrio fra le varie forze in gioco, nel triennio 1943-45 questo triunivirato persegui il fine, fondamentalmente raggiunto, di preservare la fabbrica, tenere unita la compagine aziendale e contemporaneamente fornire aiuto ai propri dipendenti, collaborando anche con la Resistenza. Nel gennaio 1945, tuttavia, nonostante la Olivetti fosse stata dichiaratà azienda protetta, in quanto produceva materiale utile al Reich, il comando tedesco di Vercelli dette ordine che fosse minata; l'E., con grande presenza di spirito e improntitudine, riusci a rinviare l'operazione e a guadagnare tempo, offrendo a uno degli ufficiali incaricati del danaro e un impiego in Argentina a guerra conclusa (cfr. Conversando…, p. 57). Il 25 aprile e nei giorni immediatamente successivi egli si trovò ancora personalmente coinvolto negli avvenimenti che portarono alla resa dell'ultimo ridotto tedesco - raccoltosi intorno ad Ivrea dalle zone circostanti e composto di un contingente di circa 70.000 uomini - in quanto le trattative con gli Alleati furono condotte proprio dalla sua casa di Montenavale, dove si era installato il comando di piazza partigiano che fece da tramite fra i due eserciti regolari.
Al suo rientro ad Ivrea, nel maggio del '45, Adriano Olivetti, probabilmente per riprendere saldamente in mano la gestione aziendale, procedette ad un drastico rinnovo della dirigenza; l'E. venne trasferito alla filiale di Roma, trasferimento che egli accettò tranquillamente, anche perché gli permetteva di occuparsi più da vicino, degli affari della sua famiglia, che li risiedeva. Questo accantonamento fu comunque di brevissima durata; nel 1946, quando la Olivetti riprese l'iniziativa sui mercati esteri, l'E. ricominciò a viaggiare, ricoprendo, ben presto, il ruolo di direttore commerciale.
Si apri un periodo di intensa attività: mercato interno e mercato estero si compensavano vicendevolmente e la contrazione di vendite in Italia fu fronteggiata con l'esportazione verso il Sudamerica e quindi su tutti i mercati, approfittando della scomparsa della Germania e della riconversione dei colossi americani. All'estero venne ampliata la rete di distribuzione, furono creati autonomi organismi di vendita, assistenza tecnica e montaggio. Fu una fase di continui viaggi per l'E.: nel 1946 fu in Inghilterra, poi in Sudamerica, India, Sudafrica, USA; nel 1947 fu costituita la British Olivetti Ltd. a Glasgow, nel 1949 la Olivetti Africa Ltd. a Johannesburg, nel 1950 la Olivetti Corporation of America a New York, nel 1952 la Olivetti Australia di Sidnry; a quest'ultima data più di metà dell'intera produzione veniva esportata.
Nel 1952 l'E. riusci a battere la Remington sul mercato brasiliano, ottenendo una commessa di 12.000 macchine da scrivere francovaluta; in cambio dovette impegnarsi con il governo di quel paese, e, senza avere precedentemente consultato Adriano Olivetti, ad installare in loco uno stabilimento di montaggio. Da Ivrea arrivò una secca sconfessione che spinse l'E. a presentare le dimissioni, accettate a partire dal gennaio 1953. In realtà la divergenza di opinioni fra l'E. e Adriano Olivetti, e il successivo divorzio, avevano motivazioni più profonde, concernenti la strategia globale dell'azienda: nel corso del '52 la Olivetti si era trovata a dover affrontare una recessione dell'economia internazionale, e, nel contempo, i problemi indotti dall'incipiente mutamento della produzione da meccanica in elettromeccanica e dell'azienda da nazionale in multinazionale. In queste circostanze Olivetti intendeva attuare una politica di rilancio, cercando di forzare il mercato, politica osteggiata dall'E. che riteneva si agisse, quantomeno su alcuni mercati, senza alcuna garanzia di continuità.
Il distacco dalla Olivetti, pur se abbastanza traumatico, non trovò l'E. privo di risorse e di prospettive. Fin dal 1946 la famiglia Enriques, e quindi anche l'E., aveva partecipato alla divisione dell'asse ereditario del sen. Isaia Levi (marito di Nella Coen, sorella della madre dell'E.), industriale torinese con interessi in campo tessile, in quello delle penne stilografiche e nell'editoria, da cui erano venute all'E. partecipazioni azionarie nella casa editrice Zanichelli di Bologna e nella fabbrica di penne Aurora. Nel contempo, sempre a partire dall'immediato dopoguerra, attraverso la pur breve partecipazione nel 1946 al CIAI (Consiglio industriale Alta Italia) e il suo stesso status di alto dirigente Olivetti, l'E. aveva stabilito una serie di utili relazioni e di conoscenze nel mondo dell'industria e dei grands commis del parastato. Mentre l'appartenenza al partito liberale (l'E. usci dal partito nel 1953, dopo la svolta conservatrice della segreteria Malagodi) e i suoi personali interessi nel campo dell'organizzazione del lavoro e della formazione manageriale lo avevano avvicinato all'ambiente del liberalismo progressista che faceva capo al Mondo di M. Pannunzio (l'E. svolse anche attività pubblicistica collaborando, sia pure sporadicamente, al Mondo - di cui fu anche sottoscrittore -, a Risorgimento liberale e, più tardi, alla pagina scientifica del Corriere della sera).
Questo habitat culturale e professionale, unito alle specifiche competenze manageriali, portò l'E. ad impegnarsi, dall'uscita dalla Olivetti fino ai primi anni Sessanta, in una intensa attività di consulenza industriale, ma anche in attività didattiche mirate alla modernizzazione del management in Italia, mentre non perdeva di vista gli interessi collegati alle proprietà della sua famiglia. Accettò, quindi, la direzione della Scuola di management di Torino, sorta per iniziativa dell'Unione industriali torinese e in particolare della Fiat e della stessa Olivetti; nel medesimo periodo divenne consulente dell'IMI (Istituto mobiliare italiano).
Alla Scuola di management, poi IPSOA (Istituto postuniversitario di studi e organizzazione aziendale), l'E. restò dal 1953 al 1955, senza percepire alcun emolumento; ne trasse un approfondito aggiornamento sugli sviluppi del management in USA (la scuola era sorta sotto gli auspici del National Management of the USA) ed infatti la organizzò sul modello della Harvard Business School, come centro di studio e di ricerca ma soprattutto mirando ad un nuovo tipo di formazione professionale della dirigenza industriale, diversa da quella costruita in modo empirico, sul campo, quale ancora si riscontrava in Italia. Anche quando ebbe lasciato la direzione, l'E. rimase legato all'IPSOA per molti anni, come membro del consiglio direttivo e come conferenziere.
Per quanto concerne la consulenza IMI, l'E. si inseri nella branca dell'Istituto indirizzata allo sviluppo di iniziative turistiche nel Mezzogiorno e isole, si occupò in particolare della zona di Porto Conte, in Sardegna, presso Alghero, seguendo un ampio programma che prevedeva opere di rimboschimento e accesso, mutui alberghieri e insieme la messa in opera delle necessarie infrastrutture: acquedotti, fogne, trasporti, telecomunicazioni. In rapporto con questo indirizzo di sviluppo, fu vicepresidente di una finanziaria, l'ISAP (Istituto per lo sviluppo delle attività produttive) cui partecipavano l'IMI, Mediobanca e la Banca nazionale del lavoro. Nei primi anni Sessanta l'E. fu anche presidente della SOMEA (Società di matematica ed economia applicate), costituita dall'IMI, dalla Banque de Paris e des Pays-Bas, e dalla Société de mathématique appliquée de Paris, come società di consulenza e alta direzione per l'informatizzazione della gestione aziendale; progetto quest'ultimo che non ebbe sul momento particolare successo, probabilmente perché in anticipo sui tempi, soprattutto in Italia.
In questo stesso periodo, a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, l'E. ebbe il controllo della Società Aurora, che produceva penne stilografiche, e ne fu amministratore delegato. La società, già proprietà del sen. Levi, era stata a lungo diretta, in periodo anteguerra, da Rodolfò De Benedetti, a sua volta imparentato con la sorella dell'E., Adriana. Negli anni della sua direzione l'E. la riorganizzò e la rilanciò, puntando soprattutto, per sollecitare il mercato, sull'industrial design, secondo un indirizzo che gli veniva dalla tradizione olivettiana. L'E. cedette la sua partecipazione nell'Aurora all'inizio degli anni Sessanta quando decise di orientarsi in maniera definitiva sull'altro settore in cui aveva proprietà e interessi, la casa editrice Zanichelli.
Il rapporto dell'E. con la Zanichelli - che sarà da allora al centro della sua attività lavorativa - si costitui in tempi lunghi, ma aveva radici ben lontane. Si può dire che la casa editrice bolognese aveva costantemente fatto parte dell'ambiente familiare dell'E., da quando, nel 1906, un anno dopo la sua nascita, Federigo Enriques, che proprio allora aveva pubblicato da Zanichelli i suoi Problemi della scienza, figura (con 50 azioni) fra i fondatori della Società anonima Nicola Zanichelli, al momento della trasformazione in tal senso dell'antica azienda bolognese.
Più tardi, nel 1930, in un momento di grossa crisi per la casa editrice il padre dell'E. fu sicuramente fra i protagonisti dell'operazione che portò al salvataggio della società, con il passaggio della proprietà ad Isaia Levi, auspice il governo fascista. Ma soprattutto fu lui a determinare, fin dai primi del Novecento, i parametri culturali, l'impronta "genetica" che la Zanichelli mantenne, e che, in certo modo, la qualificano e la caratterizzano ancor oggi. F. Enriques, infatti, nell'ambito della battaglia che combatté per affermare la centralità della scienza nel quadro culturale italiano, come ascoltato consigliere editoriale, affiancò alla tradizionale produzione zanichelliana, letteraria e umanistica, di carducciana memoria, una rilevante, e quindi preponderante, produzione scientifica, in contatto con i maggiori centri internazionali, e ne orientò gli approdi divulgativi a livello universitario e scolastico.
L'E. fu eletto consigliere d'amministrazione della Zanichelli nell'ottobre 1946, alla morte del padre, quindi presidente nel 1948, dopo una sorta di sistemazione in vita degli interessi successori del seri. Levi, deceduto nel marzo 1949. In ogni caso egli non s'inseri attivamente nella gestione della società neppure dopo l'uscita dalla Olivetti; ciò fu almeno in parte dovuto alla sua volontà di non intervenire traumaticamente su una situazione interna che si era affermata, e via via consolidata, fin dal riassetto societario del 1930.
A quella data era stato chiamato come direttore generale Ezio Della Monica, proveniente dalla Barbera di Firenze, un capace tecnico del settore più che un direttore editoriale puro (dirigerà la Zanichelli fino al 1963). Questi aveva modernizzato le strutture organizzative della società, istituendo un moderno ufficio vendite; potenziato decisamente il settore scolastico, pur senza trascurare la produzione scientifica; stabilito contatti commerciali più intensi col mondo della scuola; ridefinito il catalogo abbandonando le pubblicazioni occasionali. Negli ultimi anni di guerra, fra il '43 e il '45, Della Monica aveva retto e tutelato la società, rimanendo come capo impresa anche durante la nazionalizzazione repubblichina.
Al momento di decidere la sua posizione in rapporto alla Zanichelli, nei primi anni '50, l'E. non volle turbarne gli equilibri saldamente costituiti, sovrapponendosi in quanto nuovo manager dell'impresa, e preferi agire sui tempi lunghi. Fin dal 1952 cominciò ad occuparsi di editoria, ma impiantando quasi una struttura a latere, una piccolissima editrice, poco più di una redazione con sede a Torino, la Editoriale Aurora Zanichelli (in cui avevano investito ambedue le società maggiori), al fine di pubblicare una enciclopedia monografica, la AZPanorama, ideata personalmente dall'E. (un volume, edito nel 1956, L'uomo e la tecnica, fu curato quasi per intero da lui) e da un altro olivettiano, Geno Pampaloni, e diretta da E. Macorini. L'E. cosi ebbe modo sia di "far pratica" del mestiere di editore, sia di crearsi una rete di collaborazioni e di conoscenze che utilizzò più tardi a Bologna.
Presa la decisione di concentrarsi sulla Zanichelli, verso la metà degli anni Sessanta, l'E., che nel frattempo aveva ottenuto il controllo della maggioranza azionaria della società, si adoperò alla svecchiamento e alla riorganizzazione delle strutture. Si mosse secondo un approccio all'epoca ancora poco comune nell'editoria italiana, mostrando di considerare "il lavoro culturale … un lavoro come un altro anche se con sue peculiarità che andavano riconosciute e rispettate" (Sofri, 1991, p. 13). Procedette ad un iniziale rinnovamento dei quadri, affidando la direzione editoriale ad un ex docente dell'IPSOA, Delfino Insolera (dal 1970 all'87 consulente editoriale), ingegnere, filosofo, interessato alle scienze della terra, alla didattica e alla divulgazione scientifica, che mantenne gli indirizzi culturali del catalogo nell'ambito della tradizione zanichelliana, potenziando i rapporti con i centri di produzione scientifica mondiale, con traduzioni delle opere dei maggiori scienziati stranieri e di testi didattici americani di fisica, chimica, biologia.
L'E. impegnò notevoli investimenti nella informatizzazione della gestione aziendale e nell'automazione dei magazzini, strumenti di prima necessità, soprattutto per l'editoria scolastica, onde garantire il rapido approntamento e la distribuzione di grandi quantità di libri in tempo utile e con breve preavviso. Particolare peso acquistarono nell'ambito del catalogo Zanichelli la linguistica e le opere di consultazione, enciclopedie e dizionari, a seguire il fortunatissimo Zingarelli i cui diritti erano stati acquisiti dalla Bietti fin dal 1941. In tal modo l'E. riusci a consolidare ed espandere la sua casa editrice in un periodo in cui le linee di tendenza del mercato editoriale portavano alla concentrazione nelle mani dei grandi imprenditori.
Le competenze in materia di organizzazione industriale, l'impostazione ideologica, che si fondava sul liberalismo progressista del suo primo impegno politico, avvicinarono l'E., nonostante il divario di età, ai "giovani industriali" che fra la fine degli anni Sessanta e i Settanta espressero un proprio programma di riforma della Confindustria, poi confluito nel "documento Pirelli" del 1970. L'E. fu consigliere ascoltato del gruppo e il riscontro pratico del ruolo da lui rivestito fu la nomina, dopo la riforma dello statuto, a consigliere responsabile del nuovo Centro studi confindustriale, avvenuta durante la presidenza di Renato Lombardi, di cui l'E. era amico.
Il Centro studi, che l'E. presiedette dall'aprile 1971 all'aprile 1976, con sede inizialmente a Milano, faceva parte delle strutture di staff destinate ad affiancare il Consiglio direttivo della Confindustria - in cui automaticamente il consigliere delegato al Centro studi veniva inserito - e doveva statutariamente svolgere attività di ricerca su fenomeni generali, a medio e lungo termine, interessanti per l'organizzazione. L'E., nell'intento di approfondire alcuni aspetti utili per l'evoluzione del sistema economico nazionale, patrocinò uno studio teorico di fattibilità, detto MASTERLI (Modello di assetto territoriale e localizzazione industriale), in pratica una sorta di banca dati che permettesse la programmazione di strategie industriali a medio termine, in rapporto a scelte territoriali e settoriali. La prima fase del progetto prevedeva la predisposizione di atlanti delle condizioni insediative industriali, e di questi si realizzò l'approntamento sembra con un'utilità operativa abbastanza dubbia (Speroni, p. 130).
Nei suoi ultimi anni, per sopraggiunti problemi di salute, l'E. visse appartato a Milano - vi si era trasferito dopo il secondo matrimonio, avvenuto nel 1956, con Jose Bozzi, vedova Biscaretti di Ruffia - dove mori il 21 maggio 1990.
Fonti e Bibl.: Necr.: A. Colombo, E.: editore per un impegno civile, in Corriere d. sera, 27 maggio 1990; A. Gnoli, Èmorto E. Il padre della Zanichelli aveva 85 anni, in La Repubblica, 22 maggio 1990; Olivetti 1908-1958, a cura di R. Musatti-L. Bigiaretti-G. Soavi, Zurich 1958, ad Ind.; B. Caizzi, Gli Oliveiti, Torino 1962, ad Ind.; D. Speroni, Il romanzo della Confindustria, Milano 1975, ad Ind. e p. 130; G. Enriques, Via d'Azeglio 57, Bologna 1983; Le edizioni Zanichelli1859-1939, Bologna 1984; V. Ochetto, A. Olivetti, Milano 1985, ad Ind.; G. Sofri, Università ed editoria dall'Unità ai giorni nostri, in L'Università di Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo, Milano 1988, pp. 133-140 (in partic. pp. 136, 140); R. De Benedetti, Nato ad Asti, Torino 1988 (per le vicende della società Aurora); G. Sofri, G. E.: un ricordo, Bologna 1991; Editoria e università a Bologna tra Ottocento e Novecento, Atti del V Convegno, Bologna 26-27 genn. 1990, a cura di A. Berselli, Bologna 1991, ad Ind. (siveda in partic. i contributi: B. Della Casa, La società anonima N. Zanichelli: un'impresa editoriale fra le due guerre, pp. 89-117, e A. M. Tagliavini, Intellettuali e scelte editoriali: il catalogo fra le due guerre, pp. 119-139); Conversando con Gino Martinoli, a cura di C. D'Amicis-M. Fulvi, Città di Castello 1991, pp. 56 ss., 65, 72, 104 s.; Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, s. v. Ivrea.