FABBRINI, Giovanni
Nacque a Figline Valdarno (prov. Firenze) nel 1516 da Bernardo di Giuliano e da Bartolomea di Alessandro Altoviti, come egli stesso dichiarò in una lettera scritta nel 1547 all'amico e discepolo fiorentino Guido da Spicchio. Notizie biografiche relative alla vita del F. - peraltro assai scarse - si ricavano principalmente dalle lettere di dedica premesse ad alcune. sue opere. Si sa pertanto che il F. ebbe una sorella, Elisabetta, e tre fratelli: Niccolò, che prese gli ordini religiosi e divenne in seguito commissario della Camera apostolica a Tivoli; Francesco, che ebbe due figli, Barone e Raffaello, ai quali poi lo zio Niccolò lasciò in eredità alcuni suoi beni; e Giuliano, che non ebbe prole.
Giovanissimo, il F. si trasferi a Firenze, dove si dedicò agli studi letterari sotto la guida di illustri unianisti come Lorenzo Amadei e Gaspare Mariscotti da Marradi. Il soggiorno fiorentino fu, tuttavia, di breve durata; infatti, non si sa se in seguito alla morte dei genitori, il F. poco dopo si recò a Roma, dove si era già stabilito il fratello Niccolò. Qui, nel 1544, pubblicò la sua prima opera, Della interpretatione della lingua Latina per via della Toschana in tre libri, dedicata al cardinale Ippolito d'Este, arcivescovo di Milano. L'anno seguente, 1545, pubblicò a Venezia la traduzione dal latino dell'opera di Francesco Patrizi, De institutione reipublicae, intitolandola De discorsi del reverendo monsignor Francesco Patritii senese vescovo gaietano sopra le cose appartenenti ad una città libera e famiglia nobile e dedicandola ai figli del nobile romano Antonio Massimi, Domenico e Orazio, dei quali il F. era allora precettore. Anche a Roma, dove viveva impartendo lezioni private a giovani patrizi, il F. cercò soprattutto di affermarsi nell'ambiente letterario dell'epoca: tuttavia le sue speranze andarono deluse, poiché, dopo la pubblicazione della sua prima opera nel 1544, venne accusato di essersi appropriato del metodo seguito dai suoi maestri, l'Amadei e il Mariscotti: accusa dalla quale egli si difese in una lettera indirizzata a entrambi e inserita nella successiva edizione del 1548 della stessa opera. L'Amadei rispose rassicurando il suo antico discepolo ed esortandolo a non dare ascolto a tali calunnie, che colpivano inevitabilmente coloro che si distinguevano per la validità del loro ingegno. Deluso e amareggiato, nel 1546 il F. ritornò a Firenze; qui terminò la sua traduzione del trattato politico del Patrizi, De regno, poi edita a Venezia nel 1547 con il titolo Il sacro regno del gran' Patritio de 'l vero reggimento e de la vera felicità del principe e beatitudine humana, in nove libri (e ripubblicata sempre a Venezia nel 1559 con correzioni dello stesso F.), che ebbe un discreto successo, anche se non mancò ancora una volta un'accusa di plagio, secondo la quale il F. avrebbe sottratto il lavoro a un frate domenicano non meglio identificato.
Questa vicenda indusse il F. a stabilirsi nello stesso 1547 a Venezia, dove, peraltro, godeva già di una certa fama. Non si sa se il F. abbia avuto dal Senato veneto l'incarico di pubblico professore di eloquenza, come afferma il Pelli Bencivenni, il quale sostiene anche che egli esercitò tale ufficio per trent'anni, cioè fino al 1577, dal momento che manca la documentazione al riguardo. Né il F. può essere identificato con sicurezza con un certo Fabri a cui venne dato l'incarico di insegnante di umanità nei sestieri di Cannaregio e Dorsoduro con un decreto dei riformatori dello Studio di Padova del 7 giugno 1576 (Arch. di Stato di Venezia, Notariato [1575-1577], reg. 50, c. 80r). Si può verosimilmente supporre che il F. a Venezia sia stato incaricato, sin dal 1547, in uno dei sestieri, dell'insegnamento istituito dal Senato nel 1525 al fine di provvedere all'istruzione dei chierici. Sicuramente il F. si dedicò all'insegnamento privato e alla formazione umanisticoletteraria di giovani aristocratici, come Andrea Malipiero, a cui dedicò anche le Observationes in Terentium edite a Venezia nel 1556, e Francesco Colombi, che sotto la guida del maestro, a soli diciassette anni, tradusse in volgare il Liside di Platone suscitando l'ammirazione di Pietro Aretino, come risulta da una lettera che quest'ultimo indirizzò al F. da Venezia nel giugno 1548.
Anche se l'ambiente veneziano risultò favorevole al F., tuttavia egli non abbandonò l'idea di ritornare a Firenze, come testimonia una nuova lettera dell'Aretino (settembre 1550), che gli consiglia di insistere nella sua richiesta - forse di un ufficio - presso il duca Cosimo I. I contatti che il F. intrattenne con Cosimo de' Medici sono ampiamente testimoniati da varie lettere a lui indirizzate, fra cui una del 5 dic. 1550 (il cui originale è andato perduto), che trattava della decisione che era stata presa di far coniare a Venezia monete fiorentine di una lega più bassa. Inoltre, il legame del F. con la corte medicea risulta evidente dalle varie dediche che egli fece a Cosimo delle proprie opere, anche se lo scopo era soprattutto quello di ottenere sussidi per la stampa dei propri scritti, i cui proventi non gli consentivano di mantenersi adeguatamente. Per questa ragione, già intorno al 1550, il F. aveva deciso di intraprendere l'attività mercantile, appoggiandosi all'amico Guido da Spicchio, per garantirsi una base economica sufficiente a continuare i propri studi. Di ciò egli si giustifica nella lettera indirizzata al Malipiero il 3 ag. 1551, con la quale gli presenta le sue Observationes in Terentium a lui dedicate e, successivamente, nella lettera di dedica a Cosimo I della sua opera Teorica della lingua, completata il 30 sett. 1565, in cui lamenta gli scarsi profitti ricavati dall'attività letteraria e la necessità di cercare altrove la fonte del suo sostentamento. La modesta ricchezza accumulata con il commercio consentì al F. di intensificare la sua produzione letteraria con traduzioni, commenti, studi linguistici e grammaticali.
Il F. morì quasi sicuramente a Venezia intorno al 1580. L'anno seguente, 1581, uscì postuma la prima edizione del volgarizzamento dell'Eneide di Virgilio, di cui il F. aveva completato la versione dei primi sei libri già dal 1572, proseguendola poi fino al settimo compreso, e che fu terminato da Filippo Venuti da Cortona.
Il F. ebbe una solida formazione classica, basata su una profonda conoscenza delle lingue greca e latina, ed estesa anche alla cultura ellenistica, che ebbe modo di coltivare nei lunghi anni trascorsi a Venezia. Ma il maggior impegno del F. fu rivolto allo studio e all'approfondimento della lingua e della letteratura volgare. La sua cultura non fu semplice erudizione, bensì conoscenza linguistica, filosofica e scientifica: tra gli autori prediletti dal F. vi furono Platone, Aristotele (sembra che abbia tradotto anche l'Etica), i padri della Chiesa, Tommaso d'Aquino, Dante e Petrarca.
La produzione letteraria del F. si presenta ampia e articolata. Tra le prime opere, come si è visto, si hanno le traduzioni degli scritti politici del senese Francesco Patrizi, compiute non solo per esercizio linguistico-grammaticale, ma anche con un intento specificamente pedagogico perché considerate un modello di insegnamento morale e civile. Nel proemio al volgarizzamento del De institutione reipublicae e nel libro prinio che il F. aggiunse alla traduzione del De regno egli coglie l'occasione per esporre anche il proprio pensiero, fondato su una concezione teocratica dell'universo sociale e politico. Secondo il F., infatti, la natura imperfetta dell'uomo non gli consente di elevarsi con le proprie forze verso il fine supremo della beatitudine spirituale, né di raggiungere uno stato di virtù terrena. Il destino dell'uomo è regolato da una superiore volontà divina, da cui dipendono anche le istituzioni politiche, che vanno, quindi, studiate come espressioni della religione e della morale, e l'esistenza delle quali non è fine a se stessa ma rivolta al conseguimento della vita eterna. In questa prospettiva, la forma istituzionale preferita dal F. fu quella monarchica, nella quale il principe dipende direttamente da Dio e ha come missione quella di governare il popolo indirizzandolo verso il raggiungimento di uno stato di perfezione morale e sociale.
In questi volgarizzamenti e nei successivi risulta preminente nel F. l'interesse di carattere linguistico, con il quale si inserisce pienamente nel dibattito culturale in corso agli inizi del sec. XVI. La ricerca e lo studio del F. furono infatti rivolti, da un lato, a stabilire un metodo di insegnamento grammaticale che consentisse un più pratico apprendimento delle lingue classiche, al fine di una migliore comprensione e interpretazione degli stessi autori, e, dall'altro, a proseguire nel tentativo - già iniziato da Pietro Bembo - di elevare la lingua volgare alla dignità di quella latina attraverso lo studio e la codificazione delle relative regole sintattiche e grammaticali. Si tratta di due tradizioni distinte, ma in un certo senso complementari tra loro, facenti capo l'una ad Aldo Manuzio il Vecchio (ai criteri dei quale il F. si riallaccia nella pratica di insegnamento della lingua latina), l'altra alla nuova corrente, già ispirata anche dall'umanista Flavio Biondo, che considerava non solo la lingua volgare una continuazione della lingua latina, ma anche il migliore strumento di approfondimento di quest'ultima: proprio in tal senso il F. colse il nesso esistente tra le due lingue, non accettando le tesi di Benedetto Varchi e di Claudio Tolomei, che invece consideravano il volgare una lingua pienamente autonoma.
Su tali presupposti si fonda la concezione del F. secondo cui lingua, stile, grammatica e retorica sono elementi inseparabili per arrivare ad elaborare una elegante prosa latina e volgare, anche se tutta la costruzione deve essere basata su una grammatica destinata all'apprendimento di entrambe le lingue, e intesa come una solida scienza su cui fondare il relativo insegnamento. Queste teorie sono espresse soprattutto nella sopra ricordata opera del F. del 1544, intitolata Della interpretatione della lingua Latina per via della Toschana, divisa in tre libri, di cui il primo tratta di tutti i significati in volgare delle parole che in latino si trovano nel caso nominativo; il secondo riguarda i significati in volgare delle parole che in latino si trovano nel caso genitivo, ed è a sua volta diviso in tre sezioni, il terzo è relativo ai significati in volgare delle parole che in latino si trovano nel caso dativo, ed è suddiviso in quattro sezioni, che trattano delle forme verbali latine messe a confronto nella trasformazione in volgare e viceversa. Questa stessa opera venne ristampata, senza variazioni di rilievo, e inserita in appendice in un altro scritto del F., edito a Venezia nel 1548 e intitolato Il Terenzio latino commentato in lingua toscana e ridotto a la sua vera latinità. Successivamente, il F. riscrisse il D ella interpretatione ripubblicandolo a Venezia nel 1566 con il titolo De la teorica della lingua dove s'insegna con regole generali et infallibili a tramutare tutte le lingue ne la lingua Latina, dedicandolo a Pietro de' Medici, figlio di Cosimo I. In quest'ultima edizione il F. aggiunse una tavola di avverbi, interiezioni e congiunzioni - sotto forma di vocabolario italiano-latino - commentando ciascuna voce con esempi tratti da autori classici: opera che costituisce uno dei primi esempi di dizionario moderno.
Scopo principale del F. appare quello di insegnare la grammatica latina per mezzo di quella volgare, giungendo ad elaborare un sistema di regole generali e fisse. Questa scientificità non sempre viene raggiunta dal F., il cui insegnamento, pur mantenendo in prevalenza un carattere formale, ricorre alcune volte, nelja trattazione, al metodo pratico. Suo merito è comunque quello di aver sentito la necessità di elaborare un sistema grammaticale generale di fronte all'empiricità dell'insegnamento in questo campo; pur non riuscendo ad elaborare teorie originali, il risultato raggiunto dal F. è di aver rinnovato l'insegnamento classico, contribuendo a sviluppare nello stesso tempo quello della grammatica volgare.
Il F. si dedicò anche, con risultati apprezzabili, all'attività di traduttore di autori classici latini, che egli intese non come esercizio meramente linguistico, bensì come il mezzo per dimostrare - contro le tendenze opposte dell'epoca - la validità della lingua volgare e la possibilità dei relativi vocaboli a rendere adeguatamente i testi classici. Il F. si proponeva, inoltre, di diffondere la conoscenza di tali opere per coloro che ignoravano il latino, nonché, attraverso il relativo volgarizzamento, facilitare l'apprendìmento di questa stessa lingua. Per tale motivo lo stile delle sue traduzioni, pur essendo agile e scorrevole, non appare né elegante, né ricercato. Si può invece affermare che i volgarizzamenti del F. sono in realtà dei veri e propri commenti, dove, nella traduzione letterale, più che al vocabolo, l'attenzione si fissa sul significato della parola di cui è analizzato ed esposto il senso. Anche in questo caso, infatti, lo scopo del F. è di dimostrare l'assoluta interdipendenza delle due lingue: cioè che il volgare è commento del latino e il latino del volgare, tesi che viene ampiamente ribadita nella già ricordata traduzione di Terenzio, edita per la prima volta a Venezia nel 1548, con il titolo Il Terenzio Latino commentato in lingua Toscana e ridotto a la sua vera latinità a i generosi, magnanimi signori don Francesco e don Giovanni Medici. In quest'opera - che aveva iniziato sin dal 1544, come dichiara nella lettera di dedica a Cosimo I - il F. ricostruisce il testo di sei commedie di Terenzio, traducendo ogni parola latina in volgare ed esponendone i relativi significati, al fine di facilitare per chi conosce solo una delle due lingue l'esatto apprendimento dell'altra. Tutta la materia è divisa in tre rubriche dove rispettivamente vengono dati in breve l'argomento di ogni scena, la traduzione letterale parola per parola seguendo il testo, le annotazioni, con le quali il commentatore, riprendendo alcune parti ritenute più interessanti, espone osservazioni grammaticali e sintattiche. Nel 1556 Il Terenzio latino venne ristampato a Venezia, con l'aggiunta di un'ulteriore compilazione del F. dal titolo Observationum in Terentiumliber, dedicata ad Andrea Malipiero, consistente in una raccolta di voci e frasi in volgare disposte in ordine alfabetico, con accanto il richiamo ai relativi passi delle commedie dell'autore, per dimostrare la possibilità di trasferire le stesse voci in latino seguendo lo stile del poeta.
Nello stesso periodo in cui aveva intrapreso lo studio di Terenzio il F. effettuò anche la traduzione delle epistole familiari di Cicerone, lavoro che lo impegnò a lungo, tanto che venne pubblicato solo nel 1561 con il titolo Lettere familiari di Cicerone commentate in lingua volgare toscana. Dedicata ai figli di Cornelio Bentivoglio, l'opera si differenzia dalla precedente per la distribuzione della materia e per l'abbondanza delle osservazioni filologiche e linguistiche e delle spiegazioni etimologiche. Nella successiva edizione delle Familiari del 1576, sempre a Venezia, il F. aggiunse anche le Observationes alle stesse epistole che, tuttavia, vennero allora pubblicate sotto il nome di Filippo Venuti da Cortona. Che si tratti, invece, di un lavoro originale del F. è testimoniato dal fatto che, poco prima, gli era stata concessa dal Senato veneto la licenza di stampa per le "Osservazioni nelle epistole di Cicerone" (Arch. di Stato di Venezia, Senato. Terra, reg. 50 [1574-1575], c. 121v). Nel commento a Cicerone il F. espone in latino misto al volgare le diverse osservazioni grammaticali e sintattiche: ma a partire dal terzo libro il commento è esclusivamente latino. Alcune lettere sono prive di annotazioni, ma contengono glosse marginali di vario genere, soprattutto filologiche, che riguardano non solo la parte formale del testo, ma anche il pensiero e le qualità letterarie dell'autore.
Sempre a Venezia, nel 1566, fu pubblicata la prima edizione del volgarizzamento del F. alle opere di Orazio, che può considerarsi il migliore contributo in questo campo e che costituisce il primo commento a tutta la produzione oraziana edita sino ad allora, se si esclude quella di Ludovico Dolce relativa alla Poetica, alle Satire e alle Epistole.
Questo commento del F., intitolato Le opere di Orazio poeta lirico, è il primo studio che contiene la traduzione interlineare dei testi oraziani, ed è preceduto da un proemio consistente in una lettera a forma di dialogo tra il poeta e il Fabbrini. L'importanza di questo lavoro sta nel fatto che esso si differenzia dai precedenti - dove si riflette un evidente intento scolastico - poiché, mentre le osservazioni grammaticali e sintattiche sono alquanto ridotte, abbondano quelle di carattere storico e morale: Orazio è, infatti, considerato dal F. soprattutto un maestro di saggezza, la cui opera pertanto può essere destinata solo ad un pubblico maturo. Tutto il materiale è quindi raccolto sotto l'unica rubrica, dal titolo Esposizione, eccettuato l'argomento di ciascuna poesia il cui commento resta distinto. L'opera ebbe notevole successo fra i contemporanei, tanto che di essa furono fatte ben cinque edizioni, compresa la prima del 1566, fino al 1587; anche nel sec. XVIII Francesco Eugenio Guasco lodò il commento del Fabbrini.
Infine, effettuò la traduzione dei primi sette libri dell'Eneide, lavoro che tuttavia lasciò interrotto a causa della morte e che fu completato da Filippo Venuti da Cortona: l'opera venne pubblicata postuma a Venezia nel 1581 con il titolo L'Eneide di Virgilio mantuano commentata in lingua volgare toscana da Giovanni Fabbrini da Figline e Filippo Venuti da Cortona. Nella ristampa veneziana del 1588 e in tutte le successive edizioni, insieme con il commento al poema virgiliano vennero aggiunti anche quelli alle Bucoliche e alle Georgiche con il titolo: L'opere di Virgilio mantoano. Cioè la Bucolica, la Georgica e l'Eneide commentate in lingua toscana da Giovanni Fabrini da Figline, da Carlo Malatesta et da Filippo Venuti da Cortona. Nel dedicarsi allo studio dell'Eneide il F. si distacca dai precedenti volgarizzamenti: più che alla traduzione e al commento la sua attenzione è, infatti, rivolta a ricercare e interpretare il significato recondito del testo - visto prevalentemente sotto l'aspetto allegorico - facendo ampio sfoggio di tutte le proprie cognizioni in campo linguistico, retorico, morale e storico.
Le opere del F. ebbero una discreta fortuna a giudicare dalle numerose edizioni apparse nei tre secoli successivi, e furono apprezzate soprattutto per la diligenza e l'esattezza del metodo, al punto che conservano anche oggi - nonostante che alcune interpretazioni siano superate - piena validità propedeutica ai testi classici. A ulteriore testimonianza della fama raggiunta dal F. va ricordato il suo inserimento, insieme con altri illustri personaggi coevi, in alcuni Dialoghi anonimi di ambiente veneziano e, pure, nel Dialogo della pittura, intitolato l'Aretino (Venezia 1577) di Lodovico Dolce.
Fonti e Bibl.: Sul F., oltre ai già citati documenti dell'Archivio di Stato di Venezia, si veda: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, F. 417A, cc. 949, 1232; F. 447, cc. 751 s.; F. 450, c. 372; Gabelle-Testamenti (1552-1560), 2, 171; Firenze, Bibl. nazionale, Magl. IX, 66, pp. 735 s.; XXVI, 144; XL, 23; Carte Passerini 8, c. 91r; 171, I; Poligrafo Gargani, nn. 753-755. V. inoltre P. Aretino, Ilquinto libro delle lettere, Parigi 1609, nn. 178-567; I. Paitoni, Biblioteca degli autori antichi greci e latini volgarizzati, III, Venezia 1767, p. 112; IV, p. 158; F. Argelati, Biblioteca dei volgarizzatori, Milano 1767, III, pp. 219 s.; IV, P. 40; G. Pelli Bencivenni, Elogio di G. F., in Elogi degli uomini illustri toscani, III, Lucca 1772, pp. CCXXVI s.; F. Pananti, Ilpoeta di teatro. Romanzo poetico, I, Firenze 1824, p. 150; C. Tonini, La cultura letterario-scientifica in Rimini dal sec. XV ai primordi del XIX, I, Rimini 1884, pp. 357 s.; R. Sabbadini, Del tradurre i classici antichi in Italia, in Atene e Roma, III (1900), pp. 214 s.; C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Milano 1908, p. 272; G. Curcio, Q. Orazio Flacco studiato in Italia dal sec. XIII al XVIII, Catania 1913, pp. 166 s.; L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, Paris 1914, ad Indices; F. Sarri, Annibal Caro, Milano 1934, pp. 107 s.; F. Battaglia, Enea Silvio Piccolomini e Francesco Patrizi, due politici senesi del Quattrocento, Firenze 1936, p. 104; A. G. Magnani, G. F. da Figline Valdarno grammatico e traduttore del sec. XVI, tesi di laurea, Milano, Università cattolica del Sacro Cuore, a.a. 1937; F. Sarri, G.F. da Figline (1516-1580?), in La Rinascita, II (1939), pp. 617-640; III (1940), pp. 233-270; IV (1941), pp. 361-408 (con ult. bibl.); G. Toffanin, IlCinquecento, Milano 1965, p. 114; M. E. Cosenza, Biogr. and bibl. Dict. of the Ital. humanists, II, Boston 1962, pp. 1332 ss.