FABBRONI, Giovanni
Fratello minore di Adamo, nacque a Firenze il 13 febbr. 1752 da Orazio e Rosalinda Werner. Dalla madre, originaria di Heidelberg, apprese in tenera età il tedesco e la buona disposizione per le lingue che fece di lui uno degli intellettuali più cosmopoliti del tardo Settecento toscano. Poco sappiamo sulle condizioni della famiglia, che appare comunque legata al mondo teatrale, dove anche il F. fece le sue prime prove. A queste esperienze dovette anzi la notevole esperienza musicale che gli guadagnò le simpatie di protettori influenti, dal marchese E. di Ligniville, direttore della musica di camera e cappella, che lo presentò al granduca di Toscana, Pietro Leopoldo, al futuro presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, che nell'autunno del 1773 gli offrì, tramite Filippo Mazzei, di trasferirsi presso di lui in Virginia.
La vera vocazione del F. era però per le scienze naturali. Preclusa da evidenti ristrettezze la via dell'università di Pisa, frequentò a Firenze l'accademia del disegno e l'arcispedale di S. Maria Nuova.
La prima, assai decaduta alla fine degli anni Sessanta, offriva un insegnamento tecnico-professionale subordinato alle esigenze delle arti cittadine, ma non escludeva, grazie alla presenza di Giuseppe Pigri, gli studi di meccanica e di chimica. A S. Maria Nuova era ìnvece vivo il ricordo di Antonio Cocchi e del suo magistero, svoltosi per più di un quindicennio nel segno di un ippocratismo rispettoso dei bisogni del malato e della ripresa della tradizione anatomico-sperimentale postgalileiana. Allievi del Cocchi furono infatti Angelo Nannoni, titolare dal 1751 della cattedra di istituzioni chirurgiche, Ranieri Maffei, professore di anatomia, e il suo successore, Michelangelo Gianetti: tutti uomini con cui il F. ebbe frequenti contatti. Attivo presso l'arcispedale era anche l'illustre clinico Alessandro Bicchierai, autore del trattato Dei bagni di Montecatini (Firenze 1788), che contribuì ad orientare gli interessi del giovane verso la ricerca chimica. L'influenza maggiore fu tuttavia quella di Giovanni Lapi, uno dei fondatori dell'Accademia dei Georgofili, amico del Cocchi e per trentasei anni, dal 1747 al 1783, "lettor pubblico di botanica" presso l'arcispedale. Da lui il F. trasse la volontà di razionale comprensione della natura in tutti i suoi aspetti e l'impegno educativo e civile nei confronti dei contadini, volto a contrastarne "l'amore del mirabile" e i "molti errori" nella pratica (G. Lapi, Discorso sull'esterminio del loglio e di altre piante nocive, Firenze 1767, p. 6). Più tardi metterà in campo le proprie ormai robuste competenze scientifiche a difesa di un opuscolo del Lapi, il Della caligine e della vigorosa vegetazione del corrente anno 1783 (Firenze 1783), duramente attaccato dai maggiori fisici toscani (Novelle letterarie, n.s., XIV [1783], coll. 753-758).
I contatti con i naturalisti fiorentini - da ricordare, tra gli altri, il direttore del giardino dei semplici, Saverio Manetti - furono probabilmente alle origini dei frequenti e mal documentati viaggi giovanili del F. nella penisola. Dopo un soggiorno ad Ancona sul finire del 1765, fu più volte a Venezia al principio degli anni Settanta con l'incarico di procurare prodotti naturali e strumenti scientifici, soprattutto vetri e apparecchiature ottiche, per i propri mentori in Toscana. Risalgono a questa data le prime esperienze microscopiche sulla tremella, un saprofita dalle spiccate qualità anabiotiche, condotte in collaborazione col Bicchierai, che attrassero l'attenzione del fisico di corte, Felice Fontana (Pistoia, Bibl. Forteguerriana, b. 173, lett. del F. a B. Vitoni, Venezia, 16 nov. 1772). Incaricato di organizzare il nuovo Museo di fisica e di storia naturale di Firenze, questi chiese ed ottenne di potersi giovare dell'aiuto del F., che nell'estate del 1773 entrò così stabilmente al servizio della Corona. Gran parte dell'attività successiva del F. si identificherà con questo istituto, uno dei maggiori in Europa, all'interno del quale, pur tra crescenti contrasti col Fontana, percorse le tappe di una carriera che lo portò a succedere al fisiologo trentìno il 19 marzo 1805. La rimozione dall'incarico, il 17 febbr. 1807, dovuta a manovre di corte e alla ostilità di una parte della comunità scientifica toscana, nulla toglie ai meriti del F. nella costruzione del Museo, che egli contribuì a radicare al centro della vita culturale fiorentina (Filadelfia, American Philosophical Society, Fabbroni Papers, BF 113 n. 1, Onorificenze, per le copie dei motupropri di nomina e revoca dalla direzione).
Le necessità di aggiornamento ed espansione dell'istituto furono alla base del viaggio che tra il luglio 1775 e il 9 genn. 1780 condusse il Fontana e il F. a soggiornare a Parigi e a Londra e a stabilire duraturi contatti con i maggiori scienziati del continente. A Rovereto. prima di lasciare l'Italia, il F. venne ascritto alla Accademia degli Agiati e strinse amicizia col giovane Clementino Vannetti, cui avrebbe inviato, tre anni dopo, una dissertazione latina De naturali scientia, oggi perduta.
In essa ripercorreva le origini e i progressi della storia naturale, che indicava come "il fonte principale della felicità umana", e ne mostrava le connessioni con lo sviluppo delle arti (Rovereto, Biblioteca comunale, Mss. 7.1 34-35, il F. al Vannetti, Parigi, 15 genn. 1778). A Parigi, tra la fine del 1775 e l'estate del 1778, entrò a far parte della grande loggia massonica Les Neuf Soeurs, erede spirituale di Helvétius, presieduta negli anni della rivoluzione americana dall'astronomo J.-J. Lalande e, dal 1779, da Benjamin Franklin. La partecipazione del F. alle attività del sodalizio andò certamente oltre l'adesione simbolica, se il suo nome figura in qualità di "adjoint" accanto a quello del segretario, A. Court de Gébelin, nel 1778, e se in questa veste egli si trovò a rendere omaggio a Voltaire, il 7 aprile di quell'anno, in una memorabile seduta il cui ricordo è conservato in una sua celebre lettera al Vannetti (T. Postinger, L'amicizia di C. Vannetti col fiorentino G. F., in Atti della R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati in Rovereto, s. 3, X [1904], pp. 219-246, in particolare pp. 240-243).
Se i rapporti con Franklin, incontrato nella primavera del '77, non furono mai particolarmente ravvicinati, essi bastarono però a propiziare i contatti con i circoli deisti e radicali britannici quando il F., nel luglio 1778, si trasferirà a Londra, dove rimarrà fino al novembre dell'anno successivo.
I sentimenti filoamericani erano del resto assai vivi nel piccolo gruppo di sudditi lorenesi raccolto attorno alla legazione toscana a Parigi, da Giorgio Santi, medico e amico personale di Mirabeau, all'abate Raimondo Niccoli. segretario di legazione e assai vicino a Turgot, che per anni, come ha dimostrato Mario Mirri, fu uno dei Migliori informatori del governo toscano a Parigi e che nel 1777-1778 si trovò impegnato, a Vienna e a Firenze, in uno sfortunato tentativo di avviare relazioni commerciali stabili tra il Granducato e le ex colonie. Direttamente o tramite il nipote, Francesco Favi, Niccoli fu anche l'ispiratore delle ricerche che il F. condusse in Francia e soprattutto in Inghilterra nel settore delle arti e manifatture, delle miniere e, in misura minore, dell'agricoltura.
"In questo paese in cui tutto si perfeziona, in cui nulla di ciò che è utile può sfuggire agli occhi degli speculatori", il F. ebbe modo, grazie agli appoggi di cui godeva - primo fra tutti quello dell'ambasciatore cesareo a Londra, Ludovico Barbiano di Belgioioso - di constatare de visu i progressi dell'attività industriale (Filadelfia, Am. Phil. Soc., Fabbroni Papers, BF 113, minuta a R. Niccoli, 24 giugno 1779). Tra il 26 giugno e il 15 luglio 1779 visitò le contee settentrionali dell'Inghilterra risalendo il bacino minerario del Derwent e spingendosi sino a Manchester e a Liverpool. A Matlock, Ashover, Wirksworth esplorò cave di carbone e giacimenti di metalli, acciaierie e coltellerie a Sheffield, fabbriche di cannoni a Rotherham, filatoi e tintorie a Manchester. Si occupò della fabbricazione dell'acciaio e della manifattura delle porcellane, della produzione dell'acido solforico e delle nuove macchine tessili. Di tutto questo resta traccia in tre dei cinque quaderni di appunti conservati a Filadelfia (Fabbroni Papers, BF 113), che l'estensore contava di utilizzare per una relazione complessiva da trasmettere al governo granducale e che finirono invece per costituire la riserva d'informazioni, spunti e suggerimenti cui il F. ricorrerà dopo il rientro in patria, nella sua opera di consulente tecnico-minerario dei Lorena. Una seconda esplorazione della realtà produttiva inglese ebbe luogo, sempre nel 1779, tra il 26 agosto e i primi di settembre e lo portò ad Oxford e a Birmingham, dove poté vedere all'opera, tra i primissimi italiani la nuova macchina a vapore a condensatore separato di Watt, che suggerì d'impiegare per il prosciugamento degli stagni maremmani e nello sfruttamento in profondità dei giacimenti minerari della Versilia. Fu proprio la "tromba a fuoco" di Boulton e Watt, "la più filosofica e la più utile di tutte le macchine conosciute", a rappresentare per il F. la cifra dell'epoca che andava schiudendosi in Inghilterra, e a consacrare definitivamente in lui la vocazione all'impiego pratico del sapere: vocazione in cui le premesse illuministe e utilitariste si congiungevano ad una marcata capacità di analisi dei problemi dell'economia e della produzione (minuta al Niccoli, 7 sett. 1779, in Fabbroni Papers, BF 113).
Un altro aspetto del soggiorno inglese destinato a influenzare la formazione del F. è rappresentato dai rapporti, cui si è accennato, con i circoli deisti e radicali vicini alla Royal Society.
In una lettera a Jefferson da Londra, il 1° nov. 1779, il F. esprimeva il proprio sostegno per la causa della libertà americana e parlava del "mio amico Pryce, vero profeta rispetto al successo delle imprudenti e infelici dispute attuali di questo paese", di Benjamin Vaughan, di John Paradise, di joseph Priestley: di tutto il nucleo dirigente, cioè, del radicalismo antiparlamentare e filoaniericano. E a questi nomi altri potremmo aggiungerne, da W. Petty, conte di Shelburne, principale oppositore, tra i Pari, della politica di repressione degli insorti, a R. E. Raspe, a Reinhold Forster, a Pasquale Paolì, all'agente americano Thomas Digges che alla vigilia del ritorno sul continente del F. gli affidò materiali per Franklin accompagnandoli con una commendatizia in cui si sottolineavano le "very liberal political opinions" del giovane (15 nov. 1779; Filadelfia, Van Pelt Library of the University of Pennsylvania, ms. Als. III-31).
Pure, radicale in senso proprio il F. non fu mai, perché non compì il passaggio ad una concezione liberale e partecipatoria del potere. Nella monarchia e in un saldo e dinamico potere di governo egli vide l'unica forza in grado di abolire particolarismi e privilegi, e in questo senso si mosse sempre all'interno del progetto politico dell'assolutismo, con una fiducia illimitata nella capacità del sovrano-filosofo di farsi interprete del benessere collettivo e della tutela dei diritti soggettivi. Dalla tradizione del dissenso religioso e del radicalismo - largamente riassumibile, per lui, nella figura di Priestley - il F. trasse piuttosto valori e insegnamenti di tipo etico: la stima per la cultura e le doti morali del clero unitario e delle sette, e la richiesta della tolleranza religiosa, che avrebbe dovuto applicarsi a quei protestanti che si fossero trasferiti in Maremma, accogliendo l'invito di Pietro Leopoldo, per cooperare al rilancio economico della regione. Soprattutto, fece propria la tesi radicale del distacco tra istituzioni e paese in Inghilterra, e appuntò le proprie critiche, in anni più tardi, sull'eccessiva pressione fiscale attuata dal governo britannico e sugli effetti negativi degli Atti di navigazione e dei premi all'esportazione dei cereali. L'esperienza inglese fu così determinante per orientare in senso liberista le sue vedute. Dal paese in cui "non si conosce mollezza", dal "maraviglioso spettacolo della più laboriosa industria", il F. trasse l'inunagine di una civiltà fondata sul lavoro e sul mercato, il talento individuale e l'espansione mondiale dei traffici: elementi di fondo della battaglia liberista condotta a partire dagli anni Ottanta e per oltre un trentennio (minuta a Niccoli, 7 sett. 1779, cit., a Vannetti, Milano, 29 nov. 1775; Rovereto, Bibl. comun., Mss. 7.1, cc. 18-20).
Il viaggio europeo si rivelò importante anche sul piano scientifico. A Parigi, negli anni della rivoluzione lavoisieriana, collaborò con Jean Darcet, professore al Collège de France, e con Hilaire-Marin Rouelle, "démonstrateur en chernie" al Jardin des plantes. Cooperò anche, sia pur con compiti secondari, alle numerose dissertazioni di chimica pneumatica e fisiologia pubblicate in quegli anni dal Fontana. In questo contesto nacquero la prima memoria stampata dei F., Sulla natura dell'arsenico e sulla maniera di preparar l'acido arsenicale, scritta a Londra nella primavera del 1779 e apparsa negli Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti, II, Milano 1779, pp. 153-171 (uscito nel 1780); e le note alla versione inglese del Försök til mineralogie di A.F. Cronstedt, (An Essay towards a system of mineralogy ... translated from the original Swedish ... by Gustav von Engstrom. The second edition greatly enlarged and improved by the addition of the modern discoveries and by a new arrangement of the articles, London 1788, 2 voll.). Si trattava di un testo fondamentale della tradizione mineralogica svedese, curato da J. Magellan, che vi incluse numerose osservazioni sperimentali del F., tradotte dall'originale francese da Richard Kirwan. Erano questioni affini a quelle trattate nell'opera geologico-mineraria maggiore, il Dell'antracite o carbone di cava (Firenze 1791), per la quale il F. aveva iniziato le indagini, dietro ordine del granduca, nella seconda metà degli anni Ottanta.
A Parigi, tra il 1777 e il 1778, nacquero anche le Réflexions sur l'état actuel de l'agriculture (Paris 1780), scritte per partecipare al concorso bandito nel gennaio 1777 dalla Società d'agricoltura di Amsterdam relativamente all'impiego della cenere come concime.
La parte più stimolante del lavoro, ripreso e aggiornato dopo il soggiorno inglese, consiste nella importanza attribuita alla formazione dell'humus in rapporto ad una corretta pratica colturale e nell'analisi del ciclo metabolico vegetale secondo i più recenti apporti della fitofisiologia e della chimica dei gas. Alle spalle delle Réflexions stavano infatti i volumi degli Experiments and observations on different kinds of airs di J. Priestley e le indagini da lui condotte sul ricambio delle piante palustri nell'estate del '79, comunicate al F. direttamente dallo scienziato inglese, che aveva incontrato a Londra. Presenti all'estensore erano anche gli Experiments upon vegetables di Jan Ingenhousz (London 1779), che aprivano la strada alla comprensione moderna dei processi di fotosintesi. Su queste basi il F. giungeva ad individuare, ad una data decisamente precoce rispetto alle conoscenze degli specialisti continentali, il nesso organico tra vegetazione, luce, ambiente atmosferico ed humus.
Bisognerà attendere le ricerche di Nicolas-Théodore de Saussure all'inizio del nuovo secolo per disporre di una teoria fitochimica in grado di individuare con chiarezza la funzione dell'azoto nella nutrizione delle piante. Ma al centro delle Réflexions stava comunque una salda concezione scientifica del metabolismo vegetale inteso come nodo preliminare da sciogliere per chi mirasse alla riforma delle pratiche d'ingrasso. A questo problema il F. dedicava cinque degli undici capitoli dell'opera, collocandosi lungo la linea maestra della fitofisiologia settecentesca, dalla Vegetable staticks di S. Hales alle indagini di H.-L. Duhamel e Ch. Bonnet sulla funzione delle foglie. Affermava, però, che il fattore primario dello sviluppo delle piante era costituito dall'equilibrio osmotico con l'ambiente, in particolare dall'assorbimento di aria fissa (CO2 ) e infiammabile (H2,) per effetto della luce e dalla produzione, durante il giorno, di ossigeno e aria "pura" (Réflexions, p. 88).
"Libro di scienza e non d'economia" (Venturi, Illum. ital., p. 1089), le Réflexions non rinunciavano però a dedurre da queste premesse una articolata e combattiva critica dei sistemi agronomici esistenti: in particolare, quello di J. Tull e Duhamel du Monceau che nella pratica delle arature ripetute e profonde vedeva un mezzo per riparare la cronica scarsità di concimi delle campagne europee. Per il F., invece, i lavori campestri andavano ridotti al minimo, proprio per non turbare gli spontanei processi di formazione dell'humus. Questo era, a sua volta, l'elemento costitutivo della fertilità naturale e di quella attitudine intrinseca dei terreni a produrre che sottende la prospettiva agronomica del volume, e che risulta in sintonia con le convinzioni espresse dal movimento fisiocratico. Immagine ottimistica e ideologizzata della natura, che molto deve alla letteratura sei-settecentesca di viaggi e al fascino dell'esotico che le recenti scoperte geografiche, da L. A. Bougainville a J. Cook, avevano immesso nel clima intellettuale del tempo. L'attenzione dello scrivente andava comunque a realtà specifiche e ben conosciute: all'appoderamento e alla piccola coltura promiscua dell'area mediterranea, ai vigneti del Tirolo e alle "délicieuses campagnes du Véronois" (Réflexions, p. 180), dove l'ingegnosità del coltivatore aveva trasformato la pratica agraria in orticoltura mediante l'accostamento di specie diverse e complementari su suoli e sovrasuoli. Appassionata difesa della piccola coltura e di una gestione oculata dei fondi che stimolasse l'impegno di lavoro del contadino richiedendo al contempo solo modeste integrazioni di capitale da parte dei proprietari, le Réflexions intendono valorizzare i margini di sviluppo consentiti dall'appoderamento e si collocano in posizione critica verso ogni trasformazione capitalistica dell'agricoltura. Per questo il F. poteva dissentire da F. Quesnay su questioni tecniche - quali l'impiego dei cavalli al posto dei buoi nell'aratura - che rivestivano però un significato più generale, mentre le Réflexions apparivano sostanzialmente adattabili al sistema agrario toscano.
La fortuna del volume nel Granducato fu subito notevole e guadagnò all'autore i consensi di Marco Lastri e di Giuseppe Bencivenni Pelli. Nel 1782 uscì a Berlino una traduzione tedesca dovuta a Johann Reinhold Forster (Versuch vom Ackerbaue).
I temi affrontati dal F. erano al centro del problema della fertilità dei suoli, che tanto occuperà gli specialisti nello scorcio finale del secolo ponendo le basi per la nascita della chimica agraria e per la sua pronta ricezione in Toscana. Al rientro in patria, il F. si sforzò di fare del suo libro il nucleo di un programma di rinnovamento dell'agricoltura. Il 5 febbr. 1783 fu eletto socio dell'Accademia dei Georgofili, di cui assunse un anno dopo la segreteria per le corrispondenze, incarico che mantenne sino agli inizi del 1789. In questa veste si fece promotore del tentativo di rilancio dell'Accademia negli anni Ottanta, incentrato sulla difesa del liberoscambismo per tutti i settori dell'economia e sulla riforma tecnico-scìentifica della pratica colturale. Si occupò così degli ingrassi vegetali e della diffusione di nuove piante, di problemi della vinificazione e delle applicazioni del calore nell'allevamento artificiale del pollame, di concimi e foraggere: tutto nell'intento di rafforzare la struttura tradizionale d'impiego dei suoli legata alla mezzadria. Il primato della cerealicoltura rimaneva intatto, anche se il F. si mostrava consapevole dell'importanza di un maggior carico di bestiame sui fondi in vista di un migliore apporto di concime e dell'incremento della presenza delle carni nell'alimentazione contadina e sul mercato urbano. Tra i numerosi interventi agronomici del F. particolare interesse rivestono la memoria Dell'utilità dei prati artificiali, e loro varietà, del 1784 (Atti d. Acc. d. Georgofili, II [1796], pp. 49-59), il rarissimo Metodo di conoscere alcune delle più dannose adulterazioni che si fanno ai vini (Firenze 1785) e il saggio sulla coltivazione delle rape come coltura intercalare da foraggio del 1798, che tentava di innestare nel sistema toscano un elemento tipico dei Norfolk e della rivoluzione agraria inglese.
Tra il 1786 e il 1788 il F. collaborò anche alle tre annate del Giornale fiorentino d'agricoltura, di cui fu cofondatore con Jacopo Ambrogio Tartini ed al quale parteciparono altri illustri georgofili, da Adamo Fabbroni a Giovanni Mariti al Lastri.
Grazie ai contatti internazionali del F. il periodico poté ospitare resoconti e discussioni delle esperienze di L. Daubenton, A.-A. Parmentier, A.-H. Tessier ed A. Young affiancandole ad una informazione bibliografica vasta e aggiornata. Quanto al direttore degli Annals of agriculture, è noto che durante il suo breve soggiorno in Toscana nel novembre dell'89 egli ebbe modo di discutere con il F. le caratteristiche dell'agricoltura locale, trovando in lui un deciso difensore della mezzadria (Young, Travels, II, pp. 255 s.). Il dissenso, garbato, ma fermo, nei confronti di Young, assertore della grande coltura e della conduzione capitalistica, riemerse nel Rapporto sull'agricoltura britannica che il F. redasse su richiesta dei Georgofili nel 1797 (Rapporto ... circa i due seguenti scritti pubblicati per la Camera d'Agricoltura stabilita in Londra, cioè: 1) General view of the agriculture of Berkshire ... by William Pearce, Londra, 1794; 2) Outlines of the general report upon the size of farms and upon the persons who cultivate farms ... by Thomas Robertson, Edimburgo, 1796, in Memorie per i curiosi di agricultura e di economia rurale, IV, Napoli [1801], pp. 104-137). Muovendo da due inchieste promosse dal Board of agriculture concernenti aree tra le più arretrate della Gran Bretagna, il F. affermava la superiorità del sistema agrario toscano fondato sulla precoce scomparsa dei maggesi e dei residui feudali, sulla compartecipazione dei lavoratori al prodotto e sulla perizia dei fattori nell'amministrazione e nella conduzione dei fondi. L'organizzazione poderale e la mezzadria tutelavano, a suo avviso, i contadini assai meglio delle varie forme di affittanza vigenti in Inghilterra, mentre durissima era la polemica contro la manodopera giornaliera, i "pigionali", cioè, "vera peste nell'ordine ed economia delle campagne" (Rapporto, p. 132), verso i quali l'estensore assume toni destinati a ricorrere di continuo nella pubblicistica del moderatismo. Il F. trasformava cosi un'occasione di confronto tecnico con l'agricoltura britannica nell'esaltazione fortemente ideologizzata della società toscana e della "costituzione materiale" del paese, quale era emersa dalle riforme leopoldine. In particolare, la rappresentanza degli interessi risultava garantita dalla riforma delle Comunità, culmine delle "savie leggi" leopoldine, unitamente alla libertà frumentaria cui si contrapponeva, in Inghilterra, l'esistenza di leggi tese a regolamentare il flusso dei cereali sul mercato.
Molti di questi motivi sono ripresi e sviluppati negli altri scritti del F. in difesa dell'eredità riformatrice, dal Saggio di un elogio storico di Americo Vespucci, redatto in collaborazione con il fratello Adamo tra il 1786 e il 1788 e presentato all'Accademia Etrusca di Cortona nel giugno di quell'anno, alla Lettera ad un amico intorno alla pena di morte del 1795 (Lugano 1830), vigorosa riproposizione di temi beccariani che l'involuzione politica del momento consigliò di non pubblicare, al Prospetto dello stato della legislazione toscana del 1797, inedito bilancio delle riforme illuminate preparato, d'accordo con il governo di Ferdinando III, per André Thouin, allora commissario direttoriale presso le truppe francesi in Italia (Forlì, Bibl. comunale, Autografi Piancastelli, 572-313; due lettere di Thouin al F. relative al Prospetto, in data 15 maggio e 29 luglio 1797, sono presso l'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, Fondo Fabbroni, I, ins. 19). Di notevole rilievo nel quadro della difesa degli ordinamenti politico-istituzionali del Granducato appaiono soprattutto l'Epicrisi della "Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo" (Modena 1798; 2 ed. "con aggiunte", Firenze 1798), dignitosa apologia del sovrano scomparso dai biliosi attacchi attribuiti a Francesco Becattini, e l'opuscolo De la Toscane pubblicato a Parigi agli inizi del 1799 (per la data di stampa, cfr. Arch. di Stato di Firenze, Carte Pelli, 6539, lettera del F. a G. Pelli, Parigi, 8 marzo 1799).
Nella capitale francese il F. si trovava dal 28 sett. 1798 quale rappresentante di Ferdinando III presso la Commissione internazionale per la riforma dei pesi e delle misure. Vi rimase sino al luglio 1799, rientrando a Firenze Solo il 25 agosto, grazie agli ottimi rapporti con i colleghi della commissione e alla richiesta ufficiale di Charles Reinhard, commissario direttoriale a Firenze dopo l'occupazione militare del marzo 1799 e la partenza del sovrano lorenese per Vienna. Il De la Toscane fu dunque composto alle soglie dell'invasione e rappresenta il tentativo estremo compiuto da un piccolo gruppo di intellettuali per scongiurare l'intervento facendo leva sull'opinione pubblica moderata e filoitaliana della capitale. Il F. si servì della collaborazione di Alberto Fortis, con cui strinse allora legami destinati a durare sino alla morte del naturalista padovano, mentre non è da escludere un apporto di Luigi Angiolini, che nella corrispondenza diplomatica di quei mesi riprenderà le tesi di fondo del testo fabbroniano. Grazie all'analisi dei risultati delle riforme, il De la Toscane presentava infatti un quadro dell'assetto socioistituzionale dei Granducato del tutto convergente con i fini della politica direttoriale. Il rispetto della neutralità discendeva dalla silenziosa rivoluzione compiuta da Leopoldo che "bravant la haine et la médisance des aristocrates" era giunto a "établir la libertè civile sur la base de l'égalité" (De la Toscane, p. 22). Quanto al clero, esso era certamente illuminato e i Toscani erano "d'autant plus à l'abri de la séduction ecclésiastique, que toute religion, sans exception, est tolérée dans le pays" (ibid., p. 16). L'autoripartizione delle imposte era garantita dalla riforma comunitativa, mentre la proprietà fondiaria appariva distribuita tra "sept cent mille propriétaires sur un million deux cent mille de population; fait absolument sans exemple chez les autres nations" (ibid., p. 14). Il De la Toscane si risolveva dunque in una proposta di accordo col Direttorio in funzione anti-anarchiste e in una lettura liberale non solo dell'assolutismo lorenese, ma anche della Rivoluzione francese, da cui risulta espunta la fraternité giacobina e terrorista.
A queste convinzioni, largamente condivise dal ceto colto toscano dell'epoca, il F. era giunto attraverso la lunga militanza liberista cui soprattutto resta associato il suo nome.
La centralità del mercato come luogo dell'autoregolazione degli scambi e di selezione degli interessi era già chiaramente affermata nel saggio Lega, valore e proporzione reciproca delle monete: idee... esposte all'Accademia dei Georgofili nella occasione che furono rifusi e alleggeriti i luigi d'oro in Francia, del 1786 (Scritti, I, pp. 1-20). In questo come negli altri scritti sull'argomento - segnatamente la Lettera circa il sistema monetario napoletano del 1794 (Scritti, I, pp. 21-47) - il F. si allineò alle conclusioni prevalenti nel pensiero monetario italiano del Settecento opponendosi a qualsiasi forma di alterazione dell'intrinseco o delle parità tra i metalli ad opera dello Stato. Tra il 1789 e il 1791 uscirono i due volumetti delle Lettere spagnuole, versioni italiane dei testi che l'economista basco Valentin Foronda veniva pubblicando nella stampa periodica madrilena (Della prosperità nazionale, dell'equilibrio del commercio e istituzione delle dogane. Lettere due. Traduzione libera dallo spagnuolo, Firenze 1789; Dei premi di incoraggimento che si retribuiscono alla mercatura, dei privilegi esclusivi che si accordano alle manifatture e della libertà che si concede al commercio dei grani. Lettere tre. Traduzione libera dallo spagnuolo, ibid. 1791, riprodotti in Scritti, I, pp. 83-110, 111-170). La paternità di questi lavori, a lungo attribuiti al F., è stata ricondotta al Foronda dal Venturi, che ha delineato anche la ripresa della polemica liberoscambista, sempre in vesti spagnole, ma con testi certamente ascrivibili al F., dopo l'inizio del secolo (F. Venturi, Economisti e riformatori spagnoli e italiani del '700, in Riv. stor. ital., LXXIV [1962], pp. 531-561, partic. pp. 552 ss.).
Le Lettere spagnuole vanno comunque lette sullo sfondo degli eventi politici contingenti, dalle difficoltà esperite dal liberoscambismo a partire almeno dalla crisi serica del 1787-1788, alla revisione della tariffa doganale del 1781, alla partenza di Pietro Leopoldo. Si ricollegano a questo contesto anche l'Esatta idea del libro col titolo 'Sentimento imparziale per la Toscana sopra la seta e lana, tanto come prodotti che come manifattura' del 1791 (riprodotto in Scritti, I, pp. 209-224) e la Lettera sugli effetti del libero commercio delle materie sode o gregge dello stesso anno (Scritti, I, pp. 171-208), che costituiscono un tentativo di influenzare in senso favorevole alla perfetta e totale libertà di commercio gli esiti del concorso bandito nel 1791 dall'Accademia dei Georgofili sul problema della libertà dell'economia. L'Esatta idea rappresenta infatti una replica - tra l'ironico e l'accusatorio - alle posizioni del Biffi Tolomei e del Gianni, favorevoli a moderate forme di protezione per il settore tessile. Nella Lettera sul libero commercio il F. ribadiva la decadenza ormai irreversibile delle manifatture urbane, proclamava l'esigenza di una riallocazione delle risorse tra città e campagna e ipotizzava un futuro rilancio delle attività di trasformazione tramite lo sviluppo di lavorazioni complementari alla produzione agricola - quali l'industria dei cappelli di paglia nel Pratese -, affidate esclusivamente all'interesse privato e ai meccanismi di mercato. Con ciò il F. identificava la via che gran parte del settore manifatturiero avrebbe percorso nel Granducato agli inizi dell'Ottocento.
Ai margini del concorso del 1791 si colloca anche il Discorso intorno ai mezzi d'incoraggiamento al matrimonio (Scritti, I, pp. 235-266; riprodotto in Illuministi italiani, III, pp. 1099-1129), letto in parte ai Georgofili il 7 marzo 1792 e redatto nei mesi precedenti. Il testo, tra i più felici del F., è in realtà ampiamente derivato dai capi III e IV del libro II della Scienza della legislazione del Filangieri, nonché dal saggio di P. Desforges, Della necessità ed utilità del matrimonio degli ecclesiastici (Firenze 1770). Esso rappresenta, però, una vivace ripresa della polemica antivincolista e delle preoccupazioni relative allo sviluppo demografico, assai dibattute nel corso del secolo e destinate a sfociare nell'Essayon the Principle of population Malthus. Ciò che più colpisce il lettore nel sapiente tessuto di riferimenti al pensiero dei lumi è comunque, in queste pagine, la volontà concreta, circoscritta, di riforma, che indicava nelle maremme toscane un terreno d'azione privilegiato per l'impegno del principe, e nella "libertà animatrice", nella "maggior libertà sociale", la premessa di un rilancio economico che fosse anche progressivo incivilimento.
Dopo l'occupazione militare dell'ottobre 1800 il F. svolse un'importante funzione di raccordo tra le esigenze della possidenza locale e le autorità francesi, adoperandosi per la conservazione degli istituti di cultura fiorentini e per la riduzione delle contribuzioni forzose alle armate gravanti, in particolare, sulla comunità della capitale. In seguito, dopo il trattato di Aranjuez del 21 marzo 1801, passò al servizio dei Borbone Parma nell'ambito istituzionale del nuovo Regno d'Etruria. I rapporti con la dinastia furono nel complesso buoni, almeno sino alla fine del 1805, e consentirono al F. di emergere come alto funzionario e notabile di rango nella vita del Regno. Il 27 ag. 1802 venne nominato professore onorario alla università di Pisa. Tre giorni dopo fu chiamato a riorganizzare, "secondo le più moderne teorie e scoperte", la Zecca di Firenze, l'istituto di cui diventerà direttore il 19 marzo 1805, conservando la carica sino alla morte (Filadelfia, Am. Phil. Soc., Fabbroni Papers, BF 113 n. 1, lettera di C. Corsi al F., con annessa copia parziale del motu proprio del 30 ag. 1802; Ibid., Onorificenze, per la nomina a Pisa e alla Zecca). Ma già dal 5 marzo 1801 era entrato a far parte, con G. Fierli, I. Venturi, A. Pontenani, F. Carcherelli, A. Corsi, del gruppo di funzionari che il 4 aprile dello stesso anno formò la prima deputazione economale del Regno d'Etruria (Forlì, Bibl. com., Autografi Piancastelli, 572.276, lett. del F. a J.-P.-F. Deleuze, Firenze, 5 marzo 1801). Abile sul piano personale, attento a non esporsi su quello politico, molto legato alla nuova dirigenza fiorentina raccolta attorno a Vittorio Fossombroni e a Neri Corsini, il F. fu l'unico tra i membri della deputazione a mantenere la propria posizione attraverso i successivi rimpasti che condussero, il 5 luglio 1804, alla seconda deputazione economale presieduta dal Fossombroni.
La partecipazione ai lavori per il riordino delle finanze toscane fa da sfondo alla ripresa della battaglia liberista. Già nella estate del 1800, in un delicato periodo di rialzo dei prezzi dei cereali e in un momento in cui vivo era il ricordo dell'insurrezione aretina dell'anno precedente, il F. aveva pubblicato Gli ozi dellà villeggiatura (Firenze), elegante dialogo a più voci in cui si divulgavano i principi del liberoscambismo. Seguirono, nel 1803, la Memoria sulla libera esportazione della seta greggia, nel 1805 La miniera dell'oro, apparsa sul Magazzino di letteratura di L. Targioni (VII, pp. 42-60), che riprendeva le argomentazioni antimercantiliste e antibullionìste di un saggio del 1792, pubblicato solo nel 1804, in cui si sconsigliavano investimenti nel settore minerario, invitando i proprietari a concentrare gli sforzi nel miglioramento della produzione agricola (Sopra la miniera di rame esistente nella Comunità di Arcidosso in Toscana, in Atti della Acc. dei Georgofili, V [1804], pp. 116-133). Il testo in cui con maggior chiarezza il F. individuava la funzione propulsiva della proprietà fondiaria, tanto sul piano economico che su quello civile, era però il Ragionamento sugli effetti della libertà e del vincolo sui boschi alpini (Scritti, II, pp. 357-453), teorizzazione dell'assoluta autonomia di conduzione dei fondi privati, letto ai Georgofili nella primavera-estate del 1806, ma già compiuto nelle sue linee di fondo quattro anni prima. Contestata per l'intransigenza dottrinaria dei suoi assunti da alcuni degli stessi filoliberisti fiorentini (L. Frullani), la proposta esprime comunque un progetto complessivo di commercializzazione dell'agricoltura che avrà nei "campagnoli" ottocenteschi gli interpreti più consapevoli. Era frattanto apparsa la Lettera di Diego Lopez a Valentin Foronda sui poveri questuanti (in Giorn. della ital. letter., IV [1803], pp. 171-183, 193-233; ed. in forma di opuscolo, Firenze 1804), che interveniva sul problema dell'assistenza negando la liceità e l'utilità dell'intervento statale, e stimolando cosi un importante dibattito con F. M. Gianni e Filippo Mazzei. Le tesi liberiste in discussione confluirono nel Dei provvedimenti annonari (ibid. 1804; 2 ed. ampliata, ibid. 1817), scritto per salvaguardare la libertà di circolazione dei generi frumentari nel Regno d'Etruria, dove da poco era stata ripristinata, in un contesto internazionale avverso alla deregolamentazione del settore.
Vera "somma" delle esperienze dell'età leopoldina (Venturi), l'opera sintetizzava un trentennio di riflessioni sul problema degli approvvigionamenti e riprendeva la tradizione antivincolista di Pompeo Neri, del quale pubblicava in appendice, in parte alterata nelle conclusioni, la memoria del 1767 Sopra la materia frumentaria. Il F. saldava così l'eredità delle riforme illuminate al laissez-faire di Vittorio Fossombroni (autore dell'anonima Lettera un professore dell'università di Pavia, anch'essa pubblicata in appendice) e consegnava al liberoscambismo ottocentesco un testo che sarebbe stato utilizzato quale attestazione dei meriti della scienza economica nella lotta per la libertà politica.
Quando scrisse il Dei provvedimenti annonari il F. aveva ormai abbandonato la ricerca scientifica, cui era peraltro legata la sua fama agli inizi del secolo. A Firenze, tra il 1787 e il 1790, aveva pubblicato in collaborazione con altri letterati e studiosi la traduzione italiana degli Opuscula physica et chemica di Torbern Bergman (2 voll., Firenze 1787-1788, più una dissertazione De' prodotti volcanici considerati chimicamente, con note di D. de Dolomieu, ibid. 1790). Nel 1790 i Chemische Annalen di Helmstädt pubblicarono una sua lettera sul basalto, e rendiconti dei suoi lavori apparvero nelle Annales de chimie, l'organo ufficioso dei lavoisieriani francesi. La definitiva consacrazione europea venne però con la pubblicazione sul Journal de physique, nel 1799 (pp. 348-357), di una versione parziale della memoria Dell'azione chimica dei metalli nuovamente avvertita presentata all'Accademia dei Georgofili nell'agosto del 1793. Il F. vi sosteneva una interpretazione chimica dei fenomeni elettrici originati dal contatto di metalli diversi in ambiente umido, intervenendo così con una concezione autonoma nella controversia sulla natura dell'elettricità tra Galvani e Volta. La memoria, che poneva le basi dell'elettrochimica ottocentesca, venne riproposta oltremanica dal Journal of natural philosophy, chemistry and the arts di W. Nicholson (III [1799], pp. 300-310; IV [1800], pp. 120-127) e dal Philosophical Magazine di A. Tilloch (V [1799], pp. 268-271), ed ebbe grande fortuna fra gli specialisti inglesi, soprattutto dopo la comunicazione alla Royal Society, nel marzo 1800, della scoperta della pila voltaica. L'anno seguente il testo italiano comparve negli Atti d. Acc. dei Georgofili (IV, pp. 349-370) e quattro anni dopo il F. rivendicò la scoperta in una celebre lettera a Luigi Canali, professore all'università di Perugia (Firenze, 6 ag. 1805, pubblicata in Lettere di vari illustri italiani dei secoli XVIII e XIX, I, Reggio 1841, pp. 243 s.). Membro della Società italiana dei XL, corrispondente dell'Institut de France e socio di numerosi corpi accademici in Italia e all'estero, il F. mantenne il proprio interesse verso le scienze sino alla morte, senza però produrre altri risultati di coniparabile rilievo.
Importante e fortunata fu anche la sua carriera in età napoleonica. Dopo l'annessione della Toscana, il 1º luglio 1809 venne nominato al Corpo legislativo, su segnalazione di Elisa Bonaparte e di Tommaso e Neri Corsini. Nel marzo dell'anno seguente fu insignito della Legion d'onore e dal 25 luglio 1810 diresse da Parigi, ma con frequenti e prolungati soggiorni nella penisola, il nuovo ufficio dei Ponts et Chaussées per i dipartimenti italiani. Si congedò dal servizio il 20 luglio 1814, rinunziando alla possibilità di restare stabilmente in Francia e, ripresi i contatti con Ferdinando III peraltro mai completamente interrotti -, ne ebbe, dopo il rientro a Firenze, la nomina alla commissione per la liquidazione dei crediti di guerra verso la Francia e la chiamata a partecipare ai lavori della deputazione istituita il 24 nov. 1817 per la conclusione del catasto geometrico-particellare toscano. Più significativo appare però l'incarico di commissario regio presso la Regìa mista per l'amministrazione delle miniere di ferro elbane e per il controllo della Magona toscana, sancito dal contratto istitutivo del 6 sett. 1816 su proposta del Consiglio di Stato. Il F. svolse in questa veste una rigorosa azione di tutela degli interessi del principe, ispirandosi tuttavia a criteri giuridico-formali che mal si adattavano alle esigenze di autonomia imprenditoriale dei soci privati. Nacquero di qui i continui attriti con le controparti, e in particolare con il direttore delle lavorazioni, Morel, che condussero sul finire del 1821 ad una proposta di dimissioni, poi rientrata.
Sposato dal settembre 1782 con Teresa Ciamagnini, figlia adottiva di Giuseppe Bencivenni Pelli, scomparsa nel 1811, e padre di un figlio, Leopoldo, nato nel 1783, il F. si spense a Firenze il 17 dic. 1822.
Ampie bibliografle degli scritti del F. si trovano negli elogi ottocenteschi: G. Gazzeri, Elogio del cav. G. F., in Atti d. Acc. dei Georgofili, s. 2, IV (1825), pp. 70-83, e A. Lombardi, Elogio del cav. G. F., in Memorie di matematica e di fisica della Soc. ital. delle scienze residente in Modena, 1828, parte di fisica, pp. IV-XXVIII. I principali interventi economici sono raccolti in Scritti dipubblica economia del cav. G. F., a cura di G. Pelli Fabbroni, I-II, Firenze 1847-1848. Cfr. inoltre G. Fabbroni, Dell'utilità dei prati artificiali, in Atti d. Acc. dei Georgofili, s. 1 (1796), pp. 49-59; Id., Coltivazione e utilitàdelle rape, Firenze 1800. La Bibl. comun. di Cortona, Accademia Etrusca, cod. 460, conserva l'originale dell'Elogio istorico di Amerigo Vespucci.
Fonti e Bibl.: Le fonti per la biografia del F. sono costituite in primo luogo dalle carte di famiglia ora disperse in vari nuclei documentari. In particolare: Filadelfia, American Philosophical Society, Fabbroni Papers, BF 113; BF 113 n. 1; Ibid., Mazzei Collection (le tre serie contengono la maggior parte della corrispondenza a lui diretta, e numerosi autografi alla moglie e al figlio, le minute e i diari del soggiorno inglese e lettere di scienziati); Archivio di Stato di Firenze, Carte Fabbroni, ff. 1-4; Ibid., Carte Pelli, 5458, 5563, 5776, 5828, 6139, 6248, 6430, 6433, 6481, 6490, 6492, 6494, 6500, 6509, 6517 s., 6522, 6526, 6530 s., 6539, 6544 s., 6555, 6558, 6651, 6653, 6661, 6664 s., 6669 s., 6675, 6677 s., 6681 s., 6686, 6690, 6971; Ibid., Archivio Fabbroni, cartt. 1-36; Firenze, Istituto e Museo di storia della scienza, Fondo Fabbroni, ff. 1-37; Ibid., ManoscrittiFabbroni, 10; G. Pelli, Efemeridi, s. 2, VIII e XVIII; Firenze, Bibl. naz., N. A. 1050: G. Pelli, Efemeridi, s. 1, XXV, XXX; s. 2, IX, XI, XV, XVI, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXI, XXXII; Bologna, Bibl. del Dipartimento di discipline storiche, Carte Fabbroni, ff. 1-2, relative all'attività della Magona del ferro.
I nuclei maggiori della corrispondenza inviata dal F. sono: Londra, British Library, Add. Mss. 8094-8099; 33982-323-324, regestate in The Banks Papers, a cura di W. Dawson, London 1958; Parigi, Institut de France, Fonds Cuvier, 3222/13-14; 3223/33-36; 3224/1; 3225/8; 3228/7; 3229/11-16; 3230/11; 3239/6; 3240/5; 3243/6; 3255/5; Ibid., Archives de l'Académie des sciences, Correspondances, ad nomen; Ibid., Musée d'histoire naturelle, ms. 607, I, c. 1; ms. 627, I, c. 108; Washington, The Library of Congress. The papers of T. Jefferson, lettere del F. a Jefferson (1776-1805); Archivio di Stato di Bologna, Archivio Malvezzi-Medici, libro 114; Bologna, Bibl. del Dipartimento di discipline storiche, Carte Mariti, cart. XIII; Ibid., Bibl. univers., ms. 2087; Ibid., Bibl. comun., Autografi Pallotti, XII, 685-686; Ibid., Coll. Aut., XXVII, 7429-7433; Forlì, Bibl. comun., Autografi Piancastelli, cod. 572; Modena, Bibl. Estense, Autografi Campori, adnomen; Reggio Emilia, Bibl. municip., Lettere a G. B. Venturi; Rovereto, Bibl. comun., Mss. 7-1 (14-36); 7-7 (114); 7.13 (108); 7.24 (5); 7.30 (103 e 154); 7.33 (103); Pistoia, Bibl. Forteguerriana, b. 173.
Di notevole interesse i giudizi sul F. in A. Young, Travels during the years 1787, 1788 and 1789. Bury St. Edmunds 1794. I, pp. 249 ss.; F. Re, Dizionario ragionato di libri d'agricoltura, Venezia 1808-1809, III, p. 295; G. Pecchio, Istoriadella economia pubblica in Italia, Lugano 1832, pp. 435-437; A. Morena, Le riforme e ledottrine economiche in Toscana, in La Rassegnanazionale, 16 apr. 1886, pp. 570-573.
Fondamentale rimane il profilo dedicato al F. da F. Venturi, in Illuministi italiani, III, Milano-Napoli 1958, pp. 1083-1093, con bibliografia. Da integrare con M. A. Timpanaro Morelli, Lettere a Giuseppe Pelli Bencivenni. Inventario e documenti, Roma 1976, pp. VII-XIV, pp. 676-680; P. Del Negro, Eruditi toscani e Nuova America in un concorso accademico del tardo Settecento, in Italia e America dal '700 all'età dell'imperialismo, a cura di A. M. Martellone e altri, Padova 1976, pp. 99-126; G. Costa, G. F. e i fratelli Humboldt, in Rassegna storica del Risorgimento, LVII (1970), pp. 520-577; Id., I rapporti del Sismondi con G. F. illustrati da un gruppo di lettere inedite, in Studi francesi, XIV (1970), pp. 260-275; G. Gioli, Gli albori dello smithianesimo in Italia, in Riv. di politica economica, LXV (1975), pp. 917-962; R. Pasta, La corrispondenza di G. F. da Londra (1778-1779), in Critica storica, XIX (1980), pp. 277-308; Id., Alle origini del liberismo toscano: il contributo di G. F. (1752-1822), in Annali della Fondazione L. Einaudi, XV (1891), pp. 179-243; Id., Tra politica e pubblica amministrazione: la carriera di G. F. in età napoleonica (1800-1814), in La Toscana nell età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di I. Tognarini, Napoli 1985, pp. 89-129, ora parzialmente rifusi in Id., Scienza, politica e rivoluzione. L'opera di G. F. (1752-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989; cfr. anche D. Outram, Storia naturale e politica nella corrispondenza tra Georges Cuvier e G. F., in Ricerche storiche, XII (1982), pp. 185-235.
Per i rapporti del F. col Gianni, cfr. F. Diaz, F. M. Gianni. Dalla burocrazia alla politica sotto Pietro Leopoldo di Toscana, Milano-Napoli 1966, passim; per i contatti con A. Young, cfr. M. Mirri, F. Paoletti. Agronomo, "georgofilo", riformatore nella Toscana del Settecento, Firenze 1967, partic. pp. 9 ss., nn. 15 s.
Per le funzioni di commissario regio, cfr. G. Mori, L'industria del ferro in Toscana dalla Restaurazione alla fine del Granducato (1815-1859), Torino 1966.
Sull'attività di ricerca del F. lo studio più esauriente è F. Abbri, Il misterioso "spiritus salis". Le ricerche di elettrochimica nella Toscana napoleonica, in Nuncius, II (1987), pp. 55-88; cfr. anche Id., Le terre, l'acqua, le arie, Bologna 1984; Id., L'equilibrio della natura. Una dissertazione inedita di G. F., in Boll. filosofico, VII (1987), sez. I, pp. 5-30. Le lettere di Priestley al F. sono parzialmente edite in R. E. Schofield, A scientific autobiography of J. Priestley, Cambridge, Mass., 1963.