FABRI, Giovanni (Jean)
Nacque ad Aosta, probabilmente attorno al 1530, da una famiglia del patriziato cittadino, che sin dal XIV secolo ricopriva cariche nell'amministrazione urbana e in quella dei duchi di Savoia.
Fra i suoi avi, Girard e jacques Fabri furono, nel Quattrocento, vicebalivi di Aosta (vicari, cioè, dell'ufficiale che amministrava la giustizia in nome del duca), e François figurò tra i segretari di Amedeo VIII. Il padre del F., Pierre (o Pietro), fu più volte sindaco della città e partecipò affivamente alla vita politica del ducato di Aosta nei difficili anni in cui quest'ultirno dovette salvaguardare le proprie tradizionali franchigie nel conflitto tra Carlo II di Savoia e Francesco I di Francia, che aveva occupato gran parte dei domini sabaudi. Durante il ventennio francese (1536-59) il ceto dirigente aostano si mantenne fedele ai Savoia e continuò a fornire ai loro sempre più esigui apparati militari e burocratici un non trascurabile apporto di uomini, provenienti sia dalle file della grande e piccola aristocrazia feudale, sia da quelle famiglie cittadine, intermedie fra nobiltà e borghesia e dotate di cultura giuridica e di capacità amministrativa, che proprio dai Fabri erano ottimamente rappresentate.
Il F. fu avviato al servizio ducale da Pierre-Hercule Vuillet, primo segretario di Carlo II, che lo introdusse nella Cancelleria sabauda secondo i metodi di cooptazione regionale e clientelare che presiedevano, allora come in seguito, al reclutamento del personale addetto alla spedizione delle lettere e degli ordini sovrani.
Il Vuillet, anch'egli valdostano, aveva infatti ereditato la carica dal padre Jean; e la presenza di aostani al vertice della segreteria ducale rispondeva, negli intendimenti di Carlo II, all'esigenza di superare gli annosi contrasti fra Piemontesi e Savoiardi per la preminenza in un organo che veniva assumendo sempre maggior rilievo politico e amministrativo e a cui lo stesso Carlo II aveva dato un ordinamento razionale ed organico con la riforma del 1521. Mentre il Vuillet, coadiuvato da vari subalterni, rimase al diretto servizio del duca fino alla morte di lui (agosto 1553), un altro nucleo di segretari seguì invece le sorti del figlio Emanuele Filiberto sin da quando, al compimento del quattordicesimo anno d'età, il padre gli affidò l'amministrazione del contado d'Asti e del marchesato di Ceva.
In questo gruppo, nel quale emerse per autorevolezza Hugues Michaud, il F. fece il suo apprendistato, accompagnando Emanuele Filiberto attraverso l'Europa nelle campagne militari da lui condotte agli ordini di Carlo V. Fra le lettere di Emanuele Filiberto conservate nell'Archivio di Stato di Torino, la prima che rechi la sottoscrizione del F. è datata 16 sett. 1554. L'attività del giovane segretario si andò intensificando negli anni successivi, allorché Emanuele Filiberto fu chiamato da Filippo II alla carica di governatore dei Paesi Bassi (1556). Non soltanto il suo nome comparve sempre più di frequente in calce alle missive del vincitore di San Quintino, ma egli cominciò ad essere impiegato in delicate missioni diplomatiche: il 30 nov. 1558 venne così incaricato da Emanuele Filiberto, interessato ad avviare trattative dirette coi Francesi per il recupero dei suoi Stati, di prendere contatto col conestabile Anne de Montmorency.
Con le trattative di Cateau-Cambrésis (aprile 1559) e le successive operazioni per il ritorno in possesso del Ducato sabaudo, il F. assunse definitivamente la direzione della segreteria. Il Michaud, infatti, che ancora il 5 aprile veniva ufficialmente confermato nella dignità di "secretarius primarius noster", di lì a poco fu destinaio ad altri incarichi nella sua nuova veste di mastro auditore della Camera dei conti. Già in una lettera del 25 nov. 1561 Emanuele Filiberto si rivolgeva al F. chiamandolo "primo secretaro nostro di stato et secretaro di finanze"; e il 10 apr. 1562, nel quadro di una "nuova et generale reformatione" degli stipendi di tutti i propri ufficiali, lo designava col titolo di "primo secretaro di Stato e di finanze", che fino al 1717 avrebbe contraddistinto i capi della segreteria ducale.
Proprio in occasione dei trattati di Cateau-Cambrésis, i primi segretari delle due grandi monarchie continentali, la francese e la spagnola, avevano adottato la nuova denominazione di "segretari di Stato", che poneva in risalto il prestigio del loro ruolo e delle funzioni che svolgevano alle immediate dipendenze dei rispettivi sovrani: anche sotto questo aspetto, dunque, con la restaurazione filibertiana si introducevano nell'ordinamento degli Stati sabaudi forme e strutture del tutto analoghe a quelle delle maggiori realtà politiche europee. Si può dire, in effetti, che col F. si affermino, per l'essenziale, quelle che per un secolo e mezzo saranno le caratteristiche istituzionali e sociali della carica, fondata su uno stretto rapporto di fedeltà personale nei confronti del principe e sull'esercizio dei poteri derivanti dalla vicinanza alla sua persona e dalle conseguenti (e per larga parte non ufficialmente formalizzate) opportunità di mediare fra la corte e le più varie realtà interne ed esterne allo Stato.
Già agli ambasciatori veneti non sfuggì la particolarissima confidenza che il duca riponeva nel primo segretario: nel 1561 Andrea Boldù osservava come egli si servisse quasi soltanto del F., "per essere in vero il meglio di tutti", mentre secondo Sigismondo Cavalli (1564), in quanto "segretario molto favorito", egli era partecipe delle più delicate questioni politiche, lasciando nell'ombra i segretari subalterni. Era indicativo, in tal senso, il vero e proprio attestato di fiducia rilasciato al F. da Emanuele Filiberto nel novembre 1561, allorché, dopo averlo inviato a Lione a trattare coi Francesi la restituzione delle cinque piazzeforti - fra cui Torino - che essi continuavano a occupare in Piemonte, affiancandolo ad alti magistrati e prelati, lo autorizzava, in considerazione della sua "fedeltà, longa servitù, diligenza e sufficienza", a riferire personalmente circa gli sviluppi dei negoziati, rintuzzando in tal modo i probabili malumori dei delegati sabaudi di rango più elevato. Del credito accordato dal duca al suo ministro restano peraltro non poche testimonianze nel carteggio di Emanuele Filiberto: sono infatti ricorrenti le esplicite allusioni alla necessità, o addirittura all'indispensabilità, della sua presenza e della sua opera in molte e svariate occasioni di rilievo.
A loro volta, poi, coloro che ricercavano il favore ducale o miravano a condizionare o a orientare le decisioni del sovrano cercavano di conseguire i propri fini attraverso i buoni uffici del primo segretario. Nel 1569, ad esempio, il nunzio pontificio Vincenzo Lauro ricorreva al F., in quanto "più intrinseco al duca di ciascun altro suo ministro", per sondare la possibilità di giungere a "qualche buona e santa risolutione" contro i cortigiani notoriamente ugonotti protetti dalla duchessa Margherita di Francia.
Il rilievo istituzionale della figura del primo segretario di Stato fu sancito da Emanuele Filiberto con l'emanazione, il 12 sett. 1568, di un regolamento organico della segreteria, che ne definiva con precisione i compiti e le competenze, distinguendoli in particolare da quelli del gran cancelliere, e ne subordinava l'attività alla diretta e capillare sorveglianza del primo segretario stesso, personalmente responsabile della "spedizione" dei provvedimenti sovrani e del disbrigo della corrispondenza ducale.
Anche le fortune patrimoniali e l'ascesa sociale del F. furono pienamente consone alla sua estrazione e alla sua collocazione nel sistema degli uffici e degli onori di corte, che gli consentiva un fruttuoso scambio di favori col principe. Nel settembre 1562 egli acquistò dal duca, per 8.000 scudi d'oro, la signoria valdostana di Cly, che veniva così smembrata dal Demanio. Il prezzo da lui pagato veniva utilizzato per far fronte alle pesanti necessità finanziarie derivanti dalla cessione delle piazzeforti già occupate dai Francesi; e, analogamente, in cambio di 5.500 scudi impiegati dal duca nelle fortificazioni di varie piazze, nel luglio 1567 il F. si faceva cedere i redditi e i censi ducali dipendenti dal balivaggio di Aosta. Si trattava, come appare evidente, di una strategia volta a consolidare il prestigio e l'autorevolezza del funzionario e della sua famiglia nella zona d'origine - in questo caso la valle d'Aosta - secondo schemi largamente praticati dagli ufficiali sabaudi della prima età moderna. I perduranti legami con l'ambiente aostano furono del resto ulteriormente rafforzati dalla nomina a balivo (novembre 1567), con la facoltà di farsi sostituire da un vicebalivo di propria scelta a causa dell'impossibilità di lasciare il servizio del duca, nonché dall'edificazione, nel capoluogo della Valle, di una sontuosa residenza familiare. Alla carica segretariale vennero poi ad aggiungersi anche, almeno sin dal 1563, quella di mastro auditore della Camera dei conti, e, dall'agosto 1568, quella di segretario del Supremo Ordine dell'Annunziata. Fino alla morte, il F. continuò tuttavia a dedicarsi, con instancabile diligenza, soprattutto ai doveri di segretario, accompagnando Emanuele Filiberto nei suoi frequenti spostamenti all'interno del ducato e impegnandosi in missioni politicodiplomatiche di rilievo, come le trattative del 1569, presto fallite, per appianare la contesa fra i Savoia e Ginevra.
La precisa data di morte del F. non è conosciuta; risulta tuttavia che, con un ordine datato 15 dic. 1575, il duca dispose che alla vedova fosse versato lo stipendio che gli sarebbe spettato sino alla fine di quell'anno.
Il F. aveva sposato Lucia di Bozel, appartenente a una famiglia della piccola nobiltà savoiarda. Da essa ebbe tre figli maschi, Louis, Pierre e Charles-Emmanuel, e una femmina, Cassandre, che vissero sui beni paterni senza saper incrementare le fortune familiari, tanto che, nel giro di mezzo secolo, il casato si estinse dopo aver alienato il feudo ad altre famiglie della nobiltà valdostana.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Lettere particolari, F, mazzo 6; Lettere di principi, duchi e sovrani, mazzi 8, 9, 10, 11; Protocolli ducali, serie rossa, reg. 226 bis, ff. 15, 232, 379; Camerale, Patenti Piemonte e Patenti controllo finanze, ad Indicem; Nunziature di Savoia, I, (1569-1573), a cura di F. Fonzi, Roma 1960, pp. 160, 174, 202; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, XI, Savoia (1496-1797), Torino 1983, pp. 43 ss., 91, 221; P. G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti…, III, Torino 1798, pp. 28 s.; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, II, Firenze 1861, pp. 208, 211, 271; G. Claretta, La successione di Emanuele Filiberto al trono sabaudo e la prima ristorazione della casa di Savoia, Torino 1884, pp. 339, 418; L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, II, Paris 1914, pp. 321, 439; C. De Antonio, La Valle d'Aosta ed Emanuele Filiberto, in Lo Stato sabaudo al tempo di Emanuele Filiberto, a cura di C. Patrucco, I, Torino 1928, pp. 210, 217, 239; J. B. de Tillier, Nobiliaire du duché d'Aoste, a cura di A. Zanotto, Aosta 1970, pp. 248-254; E. Bollati, Le Congregazioni dei tre stati della Valle d'Aosta, I, Aosta 1988, pp. 463, 707; C. Rosso, Una burocrazia di antico regime: i segretari di Stato dei duchi di Savoia, I, (1559-1637), Torino 1992, pp. 31-45, 378.