FALDELLA, Giovanni
Nacque a Saluggia, all'epoca in provincia di Novara (oggi Vercelli), il 26 apr. 1846, da Francesco e da Benedetta Barberis.
Il padre, proprietario terriero e medico condotto, che fu sindaco del paese per diversi anni, è raffigurato in modo indiretto ma trasparente nel personaggio del comm. Sergrandi in Madonna di fuoco e Madonna di neve, del medico in Un serpe e in altri racconti.
Il F. frequentò il liceo classico a Vercelli, quindi la facoltà di giurisprudenza a Torino, dove si laureò il 10 giugno 1868, cominciando anche la professione di avvocato, che esercitò per qualche tempo presso lo studio dell'avv. Luigi Ferraris, futuro deputato e sindaco di Torino. Risalgono agli anni universitari la collaborazione alla rivista Novelliere della domenica (1865), dove pubblicò, tra l'altro, il discorso La festa di Dante, in occasione del prossimo centenario del poeta; come anche la stesura di commedie: Gli studenti giornalisti e la Concordia in miniatura (atto unico, agosto 1864), Una disfida (1866), La festa di Dante (quattro atti, gennaio-aprile 1865), Un bacan spiritual (tre atti in dialetto torinese), tutte inedite, salvo l'ultima, pubblicata nel 1974 a cura di C. Benazzo (Torino); nonché le poesie raccolte in Trucoli di versi, anch'esse inedite.
In questo stesso periodo si iscrisse alla società letteraria "Dante Alighieri", fondata a Torino nel '65 su iniziativa studentesca, che raccoglieva, tra gli altri, quel gruppo di giovani intellettuali torinesi, G. Giacosa, R. Sacchetti, G. C. Molineri, F. Camerana, A. Galateo, ecc., identificati più tardi da G. Contini come "scapigliatura piemontese". Con L. Muggio e G. Coggiola, anche loro avvocati, il F. fondò il 3 genn. 1869 Il Velocipede (solo il primo numero aveva sottotitolo: Scorrerie settimanali nel campo scientifico letterario ed artistico. Gazzettino del giovane popolo, poi ridotto a Gazzettino del giovane popolo), di cui tenne la direzione insieme col Muggio per il primo quadrimestre e sul quale scrisse molti pezzi di cronaca politica e letteraria con lo pseudonimo "Spartivento".
Il giornale cessò ben presto le pubblicazioni (luglio '70), dopo essere incorso nella censura per la polemica contro il papa, il re e il governo, nonostante che la direzione di L. E. Nicetti avesse corretto decisamente la rotta in direzione moderata. Intanto il F. partecipava all'attività della Società democratica "L'avvenire dell'operaio" con lezioni e discorsi che furono poi pubblicati nelle Dicerie popolari (su Serate italiane).
Cessate le pubblicazioni del Velocipede, fu, a Torino, sostituto procuratore per un anno; quindi nel '71 si ritirò a Saluggia a esercitare autonomamente la professione forense; l'anno successivo fu eletto al Consiglio provinciale di Novara, di cui fu anche vicepresidente (come consigliere rimase in carica fino al 1908); ebbe l'incarico di delegato scolastico del mandamento di Limone Piemonte e promosse l'istituzione di una società artigiana con annessa biblioteca circolante.
La passione già manifestata per il giornalismo si rinfocolò quando, all'apertura dell'Esposizione internazionale di Vienna, fu inviato dalla Gazzetta piemontese a seguire la manifestazione per il giornale. Nel viaggio alla volta di Vienna passò per Milano, dove ebbe occasione di conoscere S. Farina, E. Praga, A. Boito, L. Gualdo. Le corrispondenze apparse sulla Gazzetta piemontese (31 luglio-31 dic. 1873) furono raccolte e stampate l'anno successivo con il titolo A Vienna. Gita con il lapis (Torino) e gli procurarono buona fama e apprezzamenti positivi.
Tra gli elogi quello di G. Carducci che ammirava la sua tensione verso il rinnovamento linguistico e letterario, pure esprimendo qualche riserva sulle sue intemperanze stilistiche: "Ella ha (dolce e invidiabile colpa) difetti di giovane: aggruppa, condensa, epigrammeggia un po' troppo: certe sue pagine paiono cataloghi di bei motti, o di eleganze classiche, o di ardiri popolareschi. Ma molte altre sono miniate, disegnate, scolpite, tornite, finite, come io vorrei che fosse sempre la imaginosa e giovenil prosa italiana" (lettera del 29 marzo '74, in Epist., IX, p. 69). Il programma, per così dire, della scrittura faldelliana era dichiarato in chiusura di volume in un ultimo capitolo dal titolo Autobibliografia, in cui l'autore, con la buona dose di ironia che percorre abitualmente le sue costruzioni verbali, elenca le caratteristiche del libro appena licenziato: "Vocaboli del Trecento, del Cinquecento, della parlata toscana e piemontesismi; sulle rive del patetico piantato uno sghignazzo da buffone: tormentato il dizionario come un cadavere, con la disperazione di dargli vita mediante il canto, il pianoforte, la elettricità e il reobarbaro... Così seguiterò finché avrò carta e fiato. Tale il mio stile, come venne ridotto dal mondo piccino e dai libri grossi" (p. 246). Dunque, mescolanza di stili, patetico e comico, invenzioni lessicali, esuberanze linguistiche di ogni genere: questi i tratti distintivi di un modo di praticare la letteratura che caratterizza il F. e con lui una certa vena antimanzoniana e antiromantica che animò in Piemonte e in Lombardia zone significative della scapigliatura, tanto che Contini ha potuto identificare nel F. un "rappresentante importante di quella eterna "funzione Gadda" che va da Folengo e gli altri macaronici, così efficaci su Rabelais, al Joyce di Finnegan's Wake" (Intr. ai Racconti della Scapigliaturapiemontese, p. 539).
Sulla scia del successo delle corrispondenze da Vienna, l'attività giornalistica del F. si intensificava con la collaborazione alla Rivista minima di S. Farina (dal dicembre '73), sulla quale firmò con gli pseudonimi "Apostolo Zero" (che compare pure sulla Gazzetta letteraria) e "Dino Sgorbi"; a L'arte in Italia, Caffaro, Movimento e sopratutto Serate italiane. Letture per le famiglie, da lui fondata nel '74 con Muggio, Molineri, Galateo, che riprendeva in qualche modo le intenzioni del Velocipede su posizioni decisamente più caute e prudenti.
Andava intanto pubblicando in opuscolo diversi racconti: Il male dell'arte (Torino 1874), la storia di un artista morbosamente estetizzante, costruita sul filo di motivi tipici del clima scapigliato, con uno sfoggio spesso manieristico di inventiva linguistica non sempre aderente alla materia trattata. Ancora Unamore in composta (ibid. 1874), Gentilina (ibid. 1874), che, uniti a quelli comparsi sulle riviste a cui collaborava, furono stampati con il titolo Figurine (ibid. 1875), mentre altri comparvero riuniti in volume l'anno successivo: Le conquiste del male. Il maledell'arte. Variazioni sul tema (Milano).
La misura calibrata del racconto e del bozzetto tipica di Figurine è nell'ambientazione e nella caratterizzazione paesana, "corretta" e come volutamente deformata dalla creatività linguistica fino al preziosismo e alla maniera, come rilevava ancora Carducci (lettera 19 apr. '77, p. 81): "Io credo che Ella sia il più potente e vero rappresentatore del vero nella odierna prosa narrativa, descrittiva e di fantasia. Sol che volesse guardarsi da certe esagerazioni di maniera, certe peregrinità preziose, ecc.!".
Sulla medesima linea si collocano i volumi successivi di narrativa: Rovine, Degna di morire, La laurea dell'amore (Milano 1879), dove è da segnalare la singolare vicenda di Rovine, ispirata alla vita precocemente conclusa di un amico scapigliato, tormentato dalla preferenza accordata dalla sua famiglia al cane Glafiz; la trilogia Un serpe. Storielle in giro (I: Idillio a tavola, Torino 1881; II: Un consulto medico, ibid. 1882; III: La giustizia del mondo, ibid. 1884), fondata su una tematica di rilievo sociale.
Si tratta infatti della storia di un bastardo che, in odio all'ostilità dell'ambiente che lo circonda e lo irride, progetta e realizza innumerevoli crimini, finché, in preda al rimorso, torna al paese di origine e si toglie la vita. Fra i tre volumi sono facilmente identificabili rimandi e incroci tali da accreditare la unitarietà del progetto complessivo. Nuoce tuttavia alla felice riuscita della narrazione, a giudizio di molti critici, la non equilibrata miscela di bozzettismo (fino alla caricatura) e di romanzesco (fino al feuilleton, ma con trasparenti intenzionalità morali), miscela realizzata con gli strumenti più virtuosistici del parossismo linguistico.
Dello stesso anno dell'ultimo volume della trilogia è Una serenata ai morti (Roma), interessante soprattutto per la dedica a N. Pettinati premessa al libro, in cui il F. sembra voler aderire, sia pure a suo modo, a quell'intenzione di verismo che era ampiamente diffusa nel clima letterario dell'epoca.
"Se io tento di escuotere con la mia penna ogni angolo di vita sociale fino al tanfo delle osterie, e proseguo la sinfonia di una sbornia fino all'orazione o al sacrilegio, gli è perché credo che a conoscere e a riferire che cosa sia e che voglia la società presente (scopo d'ogni arte non sfaccendata) bisogni proprio affondare il bisturi nei tumori sociali ed osservarne con paziente microscopia gli sgorghi e le squarciature. A raggiungere questo scopo di conoscenza artistica e di ragguagli scientifici, ritengo non basti rendere con le solite frasi le usuali virtù dei libri scolastici, che non fanno più presa ... Forse i germi della nuova vita sociale si trovano nelle terre vergini, nelle plebi". Il compito degli scrittori in questo senso sta nel "dovere che Giuseppe Mazzini assegnava ad ogni artista di "interrogare la vita latente, addormentata, inconscia del popolo". Si trovano qui sintetizzati gli elementi essenziali della ispirazione culturale e letteraria del F. che sono alla base di tutta la sua attività e di tutta la sua produzione, di carattere letterario, giornalistico, memorialistico, ecc.; nel senso che per un verso risulta sempre attivo e presente il fondo moralistico che lo congiunge strettamente a una definita tradizione culturale piemontese e, d'altro canto e insieme, opera la forza di una diversa tradizione, questa di carattere specificamente letterario e linguistico che ricerca la efficacia della comunicazione fondamentalmente nella novità, nell'invenzione, fino al paradosso e che comunque privilegia l'espressività soggettiva su qualunque intenzionalità comunicativa. Non sempre queste due componenti si fondono con successo e tuttavia a questo plafond comune va fatta sempre attenzione per riportare sotto un unico segno manifestazioni pure molto diverse di esercizio di scrittura.
In modo parallelo alla produzione narrativa procedeva l'attività giornalistica che lo vide nel '74 corrispondente da Roma per il Fanfulla sul quale comparvero i pezzi raccolti sotto il titolo Un viaggio a Roma senza vedere il papa (in volume, Torino 1880), che inseriva notazioni e immagini della città sul filo della narrazione del viaggio che Geronimo, sindaco di un immaginario paese piemontese, aveva dovuto compiere nella capitale per esigenze d'ufficio. Analogo soggetto, ma impianto diverso, in Roma borghese, pubblicato dall'ed. Sommartiga (Roma 1882), in cui la città e le sue manifestazioni istituzionali, sociali e quotidiane sono filtrate dall'occhio distante eppure affascinato del piemontese di tutt'altra cultura e tradizione, calandosi questa duplicità di piani in una miscela linguistica felicemente inventiva, su quel tono impressionistico che spesso la critica riconosce come tratto stilistico pregnante del Faldella.
Aveva continuato intanto a scrivere sul Fanfulla firmando anche con lo pseudonimo "Pofere Maurizie"; qui aveva cominciato a comparire anche Un serpe (1876), la cui pubblicazione dovette essere sospesa dopo le prime tre puntate per le proteste delle lettrici. Nel maggio 1878 la Gazzetta piemontese gli affidò l'incarico di corrispondente fisso da Roma: i suoi resoconti parlamentari e note politiche erano firmati con lo pseudonimo "Cimbro". I pezzi furono poi raccolti in Salita a Montecitorio (1878-82) (Torino 1882-84), che in cinque volumi (I: Il paese di Montecitorio. Guida alpina; II: I pezzi grossi. Scarpellate; III: Caporioni. Profili; IV: Dai fratelli Bandiera alla dissidenza. Cronaca; V: I partiti. Osservazioni) tendeva a delineare le vicende parlamentari in un periodo particolarmente delicato segnato dal "trapasso della rappresentanza nazionale per suffragio ristretto e uninominale a quella per suffragio allargato e scrutinio di lista" (pp. 3 s.).
Naturalmente essendo il F. (Cimbro) l'osservatore e il descrittore, la cronaca veniva continuamente spezzata e come deformata da notazioni di colore, ritratti più o meno ironici di personaggi e situazioni, divagazioni di vario genere su un filo teso di scetticismo e di pacato umorismo. È stato notato che qui, come negli altri scritti del F., l'oggetto della narrazione o della cronaca risulta essere poco più che un pretesto per lo scintillio espressivo della scrittura, senza che il progetto essenzialmente linguistico risulti in qualche modo condizionato o appesantito da fondate e precise pregiudiziali ideologiche e politiche. Come ha rilevato Contini (e vale per tutti i suoi prodotti, narrativi e paranarrativi), quando il F. costruisce il racconto "le leggi del suo sviluppo interno gli saranno dettate dall'impianto linguistico" (Varianti, p. 583). Elemento, questo, valutato, a seconda dell'orientamento e del gusto dei critici, come il segno di una robusta tempra letteraria seriamente innovativa, ovvero come la manifestazione di un temperamento sostanzialmente superficiale e incapace perciò di raggiungere i livelli artisticamente significativi di altri scrittori "scapigliati".
Nell'agosto 1878, all'apertura della Esposizione internazionale di Parigi, il F. vi fu inviato dalla Gazzetta piemontese che quindi pubblicò le relative corrispondenze (5 settembre-20 novembre), raccolte più tardi nel volume dal titolo A Parigi. Viaggio di Geronimo e C. (Torino 1887; gli ultimi capitoli erano stati pubblicati nel '79 sulla Rivista minima). Come risulta dal sottotitolo, torna qui il personaggio del sindaco di Monticella, già filo conduttore del Viaggio a Roma; in A Parigi gli si affiancano altri personaggi, Pino Galdi, segretario comunale, e le rispettive mogli, irrobustendo l'impianto narrativo a scapito però almeno in parte della vivacità e della brillantezza di altri suoi libri.
Nel 1876, proseguendo nell'impegno pubblico istituzionale, si era presentato candidato alle elezioni politiche nel collegio di Crescentino, ma era stato battuto dal candidato di destra, gen. E. Bertolè Viale; battuto di nuovo alle elezioni del 1880 sempre da Bertolè Viale, dopo il passaggio di quest'ultimo al Senato (1881), gli subentrò come deputato e lasciò l'incarico di notista sulla Gazzetta piemontese (gli successe R. Sacchetti). Non venne rieletto l'anno successivo, ma rientrò in Parlamento nella XVI legislatura e vi rimase fino al 1896, quando (25 ottobre) fu nominato senatore del Regno. Alla Camera si collocò a sinistra, caratterizzandosi tuttavia per le posizioni sempre più moderate, ispirate a una visione sostanzialmente statica dello sviluppo sociale e politico, nel riferimento ideologicamente fondante al passato Risorgimento e alle tradizioni nazionali, come risulterà benissimo dagli scritti celebrativi degli ultimi anni. Dall'83 prese a collaborare al nuovo giornale d'opposizione diretto da O. Roux (già direttore della Gazzetta piemontese), La Tribuna, su cui scrisse di politica, ma sopratutto di arte, letteratura e questioni sociali.
Ancora per tutti gli anni Ottanta il F., nonostante gli impegni pubblici e giornalistici, dedicò molte energie alla narrativa, un tipo di produzione che terminò sostanzialmente nel 1888, lasciando il campo a una ben diversa scrittura e intenzionalità comunicativa. Alla trilogia Un serpe segue Amore architetto (Torino 1883), Una serenata ai morti, già ricordato, Le litanie della mamma (ibid. 1886) e una nuova trilogia Capricci per pianoforte. Terzetto romantico, I: Tota Nerina, Torino-Napoli 1887; II: La contessa De Ritz, scritto nell'85, pubblicato nel '91, Milano; III: Nemesi (Donna perduta), scritto tra il 1906 e il 1909, rimasto a lungo inedito, pubblicato con il titolo del manoscritto Nemesi o Donna Folgore. Romanzo verista scritto da Spartivento (non per innocentine), a cura di M. Masoero, Torino 1974.
Il romanzo racconta di Nerina, una donna incarnazione di tutti i vizi, in una storia fitta di eventi, di ambientazioni diverse, di espedienti e accidenti tipici del romanzo d'appendice, secondo un'attitudine parodistica che smentisce intenzionalmente la credibilità del sottotitolo, "romanzo verista", e rimanda ancora una volta al gusto faldelliano per il pastiche linguistico, una lingua che trascorre dai toscanismi ai termini arcaici, dai preziosismi al dialetto; il gusto dunque per una scrittura segnata dai "tratti parodistici (e di autoparodia), citazioni, recuperi, e utilizzi del patrimonio linguistico spregiudicati fino all'insolenza e allo sperpero: risultato di incursioni libertine nello spazio - e nel tempo - letterario" (Mortara Garavelli, p. 17); per una vocazione che rimane la più costantemente, se non sempre felicemente, perseguita. Ne è efficace testimonianza lo Zibaldone, una sorta di repertorio lessicale e tematico costruito dal F. tra il '64 e l'80, dove si verificano direttamente le sue propensioni letterarie per i trecentisti e i cinquecentisti, il riferimento canonico di ogni purismo linguistico, insieme a classici latini e greci, scrittori risorgimentali, con particolare predilezione per il Giusti, ecc. Dello Zibaldone, rimasto inedito fino al 1980, il F. pubblicò solo la raccolta di citazioni sotto la lettera "a", Ammaestramenti dei moderni raccolti da un romito di libreria: Amore-Amicizia-Arte (Torino 1885), in cui il fondo moralistico della sua visione del mondo veniva tendenzialmente calato nell'abituale gioco linguistico.
Con Madonna di fuoco e Madonna di neve, scritto nell'87 e pubblicato l'anno successivo (Milano), siamo alla prova giudicata da molti critici la più interessante e riuscita della vena narrativa faldelliana; si tratta di un racconto lungo, di struttura compatta e omogenea, centrato su due caratteri o tensioni opposti, manifestazioni complementari di un caso di "patologia nevrosica" (è il termine faldelliano che introduce in appendice un trattatello I nervi in campagna), che sostiene, come sempre, l'esercizio espressivo dello scrittore con un'aderenza alla materia trattata, una pregnanza altrove scaduta a gratuità e manierismo. Da questo racconto in poi si attenua sensibilmente l'ispirazione narrativa del F. che verrà ora sostituita quasi completamente dagli accenti del memorialista, del poligrafo, è stato anche detto, che affronta, in forma saggistica, trattatistica o rievocativa, temi sociali, politici, di costume, senza più essere tentato, se non occasionalmente, dal versante narrativo. Contemporaneo a Madonna di fuoco e Madonna di neve è I nuovi Gracchi che ha per materia la crisi agraria, analogamente al lavoro di più ampio respiro, Sant'Isidoro. Commentarii di guerra rustica, iniziato nel 1889 e concluso nel '92 (una parte fu pubblicata su L'Illustrazione italiana del 1900; completo, Torino 1909).
Nella forma del romanzo o del bozzetto rusticale dilatato, vi trovano posto, accanto ai ritratti che compongono il quadro provinciale e campagnolo che fa da sostegno alla narrazione, episodi di lotte contadine, di manifestazioni socialiste, sicché qualcuno ha potuto concludere che "è raro trovare una più vigorosa rappresentazione del sorgere delle agitazioni socialiste nelle campagne italiane nell'ultimo decennio del secolo scorso" (G. Bàrberi Squarotti, p. 507); va aggiunto, da un punto di vista nettamente conservatore; rimanendo elemento caratteristico "l'espressività" "convulsa nel disegno e deformante nella cromaticità, così che non è improprio ... parlare di espressionismo" (G. Contini, Letter. dell'Italia unita, p. 218). Sulla pura linea narrativa, dopo, ritroviamo solo Cullata dalle acque (farfalla angelica), una tarda "figurina" comparsa sulla Gazzetta del popolo della domenica (18 maggio 1913), lo stesso anno stampata in volume (Piacenza).
Appartengono invece alla sua più intima vocazione giornalistica Ai nostri monti (Roma 1886; uno dei pezzi era comparso sul Velocipede nel '69), Clericali. Note (Torino 1886), Verbanine (Lettere di Apostolo Zero pellegrino di commercio e amore trovate da G. Faldella) (Milano 1892; in parte già apparse sulla Gazzetta letteraria, 1878, e su Rivista minima, 1878), Il medaglione del nonno. Cristoforo Baggiolini (Vercelli 1895), Franchezza. Dicerie popolari (Torino 1902), Piemonte ed Italia. Rapsodia di storia patriottica (ibid. 1910-11, 12 fascicoli). Quest'ultimo si colloca tra le opere di più decisa ispirazione storico-patriottica e latamente politica come Il tempio del Risorgimento italiano (ibid. 1886); Per la giustizia giusta. Discorsi parlamentari (Milano 1889); I fratelli Ruffini. Storia della Giovine Italia (Torino 1895-97, 7 fascicoli), Il genio politico di Vincenzo Gioberti (ibid. 1901), Realtà e speranze. Dalla Crimea alla Libia (ancora ricordi del nonno) (Roma 1912), Galleria piemontese (Torino 1928-30, 3 voll.).
Va aggiunta la Prefazione alla pubblicazione del carteggio inedito Massimo D'Azeglio e Diomede Pantaleoni (ibid. 1888), nonché i discorsi (tra gli altri: La giovinezza dì Camillo Cavour conf. popolare, Milano 1889; Vittorio Alfieri precursore politico, Torino 1898; Cenni civili e religiosi: piccola campagna oratoria, Firenze 1900; L'anima e l'arte di Giuseppe Maffei, Biella 1903; I Lamarmora e Quintino Sella, Torino 1911; Per l'alfabeto e le donne, Roma 1912) e le commemorazioni (tra cui: Commemorazione del principe Amedeo di Savoia duca d'Aosta, Torino 1890; Commemorazione di Medoro Savini, Roma 1894; Curtatone e Montanara, Pisa 1899; Ricordo di Giovanni Boglietti, Biella 1901; Felice Carelli, Mondovì 1906; Giuseppe Garibaldi, Torino 1907). Prevale in questo tipo di produzione faldelliana l'angolazione moralistico-didascalica, con non poche sbavature retoriche, alquanto distante dal tono dello scrittore, a suo modo, "scapigliato".
Il F. dalla nomina a senatore alternò soggiorni a Roma con la residenza a Saluggia; qui morì il 14 apr. 1928.
Sono rimasti inediti, oltre i testi già citati, il Diario e una storia del Risorgimento in latino, Epitome de Redemptione Italica (1911; pubblicato parzialmente Excerpta Epitome de Redemptione Italica, Tripoli 1917).
La figura del F. continua ad essere oggetto di analisi e di valutazioni critiche anche molto diverse, da chi riduce decisamente il suo ruolo a quello di un abile manipolatore della lingua, privo tuttavia di spessore intellettuale e artistico, a chi trova apprezzabile esclusivamente la sua scrittura giornalistica, riconoscendovi caratteri di originalità in connessione con il quadro della letteratura scapigliata; a chi, infine, pure non sopravvalutando la modestia della sua presenza nella vicenda letteraria italiana, ha creduto di individuare nei suoi lavori (alcuni dei quali, come si è visto, rimasti sconosciuti fino a pochi anni fa) uno spirito di autentica passione innovativa, se non propriamente sperimentale, nel percorso attraverso i generi, attraverso una selezionatissima tradizione letteraria e attraverso lo spirito di una fase della vita intellettuale piemontese e nazionale che tentava di corrispondere alle esigenze e alle realtà postrisorgimentali con nuove proposte di ordine letterario e culturale, tutte, comunque, condizionate dalle linee pesanti e provinciali della società umbertina. In questo senso, la dicotomia instaurata da alcuni critici nell'andamento della scrittura faldelliana tra un primo periodo (fino alla fine degli anni Ottanta) innovativo e sostanzialmente apprezzabile e un secondo periodo segnato dal declino non sembra convincente dal momento che i motivi e i caratteri dell'intellettuale e della sua vocazione letteraria appaiono sostanzialmente omogenei e pervasivi; d'altra parte è indubbio che molta della produzione del F. si presenta oggi discontinua, squilibrata, manierata e sovrabbondante. Dunque un tipico scrittore da antologizzare, senza dimenticare per ciò il quadro unitario che volle comporre trascorrendo con la penna per le più varie occasioni espressive.
Fonti e Bibl.: Gli inediti, oltre i citati, e le lettere sono conservati nel Fondo Faldella della Bibl. civica e nell'Archivio di Stato di Torino. Di questo materiale sono stati pubblicati le lettere di G. Camerana (M. Dillon Wanke, Tra le carte di F.: le lettere inedite di Camerana, in Studi piemontesi, XI [1982], I, pp. 166-80) e di F. Momigliano (A. Cavaglio, Lettere di F. Momigliano a G. F. (1895-1912), ibid., XVII [1988], pp. 471-480; tre lettere sono conservate nel Museo del Risorgimento di Torino); il carteggio con Turati (E Monetti, Carteggio Faldella-Turati, in Gli occhi dello Stupa, 1, ott. 1982, pp. 107-13). Di altri inediti, tra le carte conservate presso la Bibl. nazion. di Roma, sono state pubblicate le lettere a G. De Rossi (F. Imbornone, Teorie sul romanzo in un carteggio inedito di G.F., in Filologia e critica, V [1980], 2-3, pp. 344-79). Cfr. inoltre L. Capuana, Studi sulla letteratura contemporanea, s. 2, Catania 1882, pp. 37-50; C. Rolfi, Prefazione a Una serenata ai morti, Roma 1884 (con bibl. fino al 1884); B. Croce, G. F., in Letteratura della nuova Italia, V, Bari 1939, pp. 160-74; G. Carducci, Epistolario, in Ediz. naz. d. opere, IX, pp. 68 ss.; XI, p. 81; G. Ferrata, Primo incontro con G. F., introd. a Figurine, Milano 1942, pp. V-XXIV; G. Contini, Pretesto novecentesco sull'ottocentista G. F., in La Rassegna d'Italia, apr. 1947, pp. 18-31, poi Prefazione a Madonna di fuoco e Madonna di neve, Milano-Napoli 1969, pp. IX-XXXVI, quindi in Varianti e altra linguistica, Torino 1970, pp. 567-86; M. M. Berrini, Torino a sole alto, Torino 1950, pp. 14, 18, 24, 29 s., 32, 34, 46, 48, 50, 56, 60, 73, 115, 131 s., 139, 144, 249, 253, 263, 333; G. Contini, Prefazione a Racconti della scapigliatura piemontese, Milano 1953 (poi in Varianti, cit.), pp. 533-66; G. Mariani, Aria di Roma per G. F., introd. a Roma borghese, Bologna 1957, pp. 5-14; T. Sarasso, G. F. scapigliato vercellese, Vercelli 1959; A. Borlenghi, Narratori dell'Ottocento e del primo Novecento, II, Milano-Napoli 1962, pp. 1139-1232; C. Segre, Polemica linguistica e espressionismo dialettale, in Lingua, stile e società, Milano 1963, pp. 383-412; G. Mariani, Storia della scapigliatura, Caltanissetta-Roma 1967, pp. 65 s., 521-35, 537 s., 708, 825 ss.; A. Balduino, Letteratura romantica dal Prati al Carducci, Bologna 1967, pp. 133-137; G. Cattanco, Prosatori e critici dalla scapigliatura al verismo, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, VIII, Milano 1968, pp. 316-19; G. Contini, G. F., in Letteratura dell'Italia unita, Firenze 1968, pp. 218-22; R. Bigazzi, I colori del vero, Pisa 1969, pp. 275 s.; G. De Rienzo, Camerana, Cena e altri studi piemontesi, Bologna 1972, pp. 147-83; A. Briganti, Il Parlamento nel romanzo italiano del secondo Ottocento, Firenze 1972, pp. 31-37; Id., Introd. a Tota Nerina, Bologna 1972, pp. 7-43; C. Cappuccio, Memorialisti dell'Ottocento, III, Milano-Napoli 1972, pp. XIX s., 835-70; G. Luti Introduzione a Sant'Isidoro, Firenze 1972, p. 5-23; G. Zaccaria, Introd. a Nemesi o Donna Folgore, Torino 1974, pp. VII-XXXIV, con bibl. completa a cura di M. Masocro; S. Scotti Morgana, La lingua di G. F., Firenze 1974; G. Catalano, Introd. a Donna Folgore, Milano 1974, pp. IX-XXXIV; G. Ragazzini, Lo Zibaldone di G. F., in Paragone; XXV (1974), 292, pp. 60-76; E. Sanguineti, Giornalino 1973-1975, Torino 1976, pp. 139-42; C. Marazzini, L'archivio segreto di G. F., in Lettere italiane, XXVII (1975), 2, pp. 140-69; G. Zaccaria, La "giovane letteratura torinese" degli anni '67-70, in Civiltà del Piemonte. Studi in onore di R. Gandolfo nel suo settantacinquesimo compleanno, Torino 1975, pp. 489-513 (ora in Tra storia e ironia, "Regione" e "Nazione" nella narrativa piemontese postunitaria, Roma 1981, pp. 7-34); G. Ragazzini, G. F. viaggiatore e giornalista, Milano 1976; F. Spera, Il principio dell'antiletteratura: Dossi-F-Imbriani, Napoli 1976, passim; G. Ragazzini, Introd. a L'Europa in provincia. Pagine di viaggio e di costume (antologia faldelliana), Milano 1976, pp. 8-19; Ricordando G. F. nel 500 anniversario della morte, Torino 1978; C. Marazzini, Introd. a Zibaldone, Torino 1980, pp. IX-XX; D. Aristodemo 't Hart, Serate italiane o la misura del vero. Introd. a Serate italiane (1874-78), Roma 1981, pp. 15-64; B. Mortara Garavelli, Introd. a Una serenata ai morti, Milano 1982, pp. 11-23; E. Filippini, Il lapis e l'Avana, Presentaz. a A Vienna. Gita con il lapis, Genova 1983, pp. 5-16; M. Dillon Wanke, Introd., ibid., pp. 17-34; S. Vassalli, Il cappello del lustrino, Presentaz. a A Parigi, Genova 1983, pp. 5-12; L. Surdich, Introd., ibid., pp. 13-32.