FANTONI, Giovanni (Labindo)
Poeta, nato a Fivizzano il 28 gennaio 1755, morto ivi il 1 novembre 1807. Per qualche tempo appartenne, a Firenze, alla segreteria di stato; poi fu iscritto alla milizia del re di Sardegna. Messo in arresto per debiti, fu richiamato in famiglia nel 1779, e si diede tutto alla poesia. Fin dal 1776 era stato ammesso in Arcadia col nome di Labindo; nel 1784. pubblicò a Firenze le Odi; nel 1785, a Livorno, Poesie e prose varie La regina Carolina, di passaggio in Toscana, lo condusse con sé a Napoli (1785), dove stette tre anni; ma caduto in disgrazia dell'Acton, si recò a Roma. Anche qui non ebbe fortuna; e nel 1789 tornò in patria. Era già allora di tendenze repubblicane; dopo il 1791, divenne apertamente democratico. Incominciati i moti politici, vi prese parte; e fu il Rouget de l'Isle dei nostri fanciulli: a Modena li armava di fucili di legno, e li raccoglieva in ischiera, l'Esercito della Speranza, per il quale compose l'inno Ora siam piccoli, ma cresceremo. A Reggio nel'96 fu, col Lamberti e col Paradisi, dei più ardenti fautori delle idee repubblicane, e promotore dell'impresa di Montechiarugolo. Per la libertà delle sue parole, fu imprigionato a Modena e a Milano dai Francesi; e quando, nel 1799, si oppose all'unione del Piemonte con la Francia, vagheggiando una federazione di repubbliche italiane, fu chiuso nella cittadella di Torino, e poi trasferito a Grenoble. Ma tornò in Italia, aggregato allo stato maggiore del generale Joubert, e si trovò a Genova durante l'assedio che vi sostenne il Massena. Nel 1800 fu eletto dal governo provvisorio toscano professore di eloquenza a Pisa, ma appena pochi mesi dopo la nomina fu dispensato dall'insegnamento; nel 1805 ebbe l'ufficio di segretario, e nel 1807 di presidente dell'Accademia di Carrara.
Il Fantoni fu poeta molto fecondo; ma, più che per le canzonette gli Scherzi, gl'Idillii gessneriani, le Noiti younghiane, gli Sciolti, è degno di studio per un centinaio di Odi divise in due libri, nelle quali penetra talvolta la vena erotica, ma predomina l'intento morale e civile, senza però sopraffare la poesia. Il F. è poeta vigoroso, dotato d'immaginazione viva e di calore d'affetto. Se le sue poesie sono ineguali di forma e non abbastanza limate, ora turgide, ora troppo sentenziose, sono sempre un notevole segno dei tempi, nei quali si tentavano nuove forme, desunte dall'antico, ma animate di spiriti nuovi. Il F. si sforzò di dare ai suoi pensieri impronta oraziana, riuscendo assai lontano dal suo modello e nella vivezza delle immagini e nel temperato uso degli epiteti, ma riproducendone felicemente i metri.
Bibl.: Memorie scritte dal nipote Agostino F., premesse all'ed. delle Opere, italia (Firenze) 1823, voll. 3; E. Pranzetti, Della lirica di G. F., Roma 1895; G. Carducci, Un giacobino in formazione e Un poeta giacobino in formazione, in Opere, XIX; G. Sforza, Contributo alla vita di G. F., in Giorn. stor. lett. d. Liguria, 1907; id., Labindo, in Rassegna nazionale, XXIX (1907), pp. 617-29; A. Ottolini, La varia fortuna di G. F., in Rivista d'Italia, X (1907), pp. 601-15; I. Del Lungo, Il 1° centenario di Labindo a Fivizzano, in Rassegna nazionale, XXIX (1907), pp. 614-16, e in Patria italiana, Bologna 1912, II; G. Lazzeri, Carducci e Fantoni, in Saggi di varia letteratura, Firenze 1921.