FANTUZZI, Giovanni
Nacque a Bologna il 2 dic. 1718 da Scipione e da Orsina del conte Prospero Castelli, quinto di tredici fratelli, ma primo dei maschi effettivamente sopravvissuti: Prospero (1724-1766), che sarà canonico di S. Pietro dal 1743 al 1766, Gian Paolo (1733-1779) a cui rinuncerà il senatorato ma che gli premorirà. Sopravviveranno anche due sorelle sposate, due monacate e una nubile.
La famiglia era antica e patrizia bolognese e aveva origine comune alla non meno importante famiglia riminese-ravennate, ma lo specifico ramo, dopo aver ottenuto con Bonifacio il senatorato da Giulio II nel 1506, lo aveva perso nel 1511 ed era poi notevolmente decaduto anche perché discendente da Scipione di Gerolamo, un naturale legittimato nel '500. Nobiltà minore e un po' controversa dunque (erano contraddistinti infatti dai rami maggiori come "Fantuzzini"), imparentata con nobili minori (da cui una recente eredità Manzini e Caccianemici), con pochi beni: un podere e un casino suburbano a Croce del Biacco; un podere con palazzina nel suburbio a San Donino; beni più vasti e fidecommissori ma montani e di poca rendita a Badalo e Battidizzo; qualche podere sparso e qualche casa urbana; un modesto palazzo cittadino sotto la parrocchia di S. Procolo, presso S. Domenico, da cui anche la designazione di Fantuzzi di S. Domenico. Della passata grandezza erano però testimonianza alcune cappelle urbane e alcuni giuspatronati comitatini ed il controllo della commenda di S. Giacomo dell'Idice, per la quale in genere i cadetti avevano il titolo di abate. L'effettiva ristrettezza del ramo agli inizi del '700 è testimoniata dal fatto che il padre dovette rinunciare a Scipione la quasi totalità del patrimonio per permettergli di sposarsi nel 1713 e dal livello tutto sommato modesto della dote portata dalla Castelli: i numerosi figli e la crescita degli impegni sociali e rappresentativi non faranno che aumentare nei decenni successivi il processo d'indebitamento, fin quasi ai limiti del fallimento. Ma i principali rami senatori si erano estinti ripetutamente: uno in Cesare di Carlo Antonio nel 1591; uno, trasferitosi nel palazzo di piazza S. Martino, in Camilla di Alfonso, che trasmise il palazzo e un cospicuo capitale agli Spada; infine un ultimo ramo senatorio di S. Vitale o dei conti di Obizzo si avviò alla decadenza sul finire del '600 per le attività facinorose e criminali del sen. Carlo Rodolfo (m. 1698), i cui eredi accentuarono la decadenza per continuate controversie e ripetute nozze non nobili.
Così, quando il sen. Filippo Gaetano morì nel 1729, lasciando infante il figlio Francesco e per di più nato fuori Bologna dalle nozze con una comitatina, Scipione Fantuzzi, padre del F., fu chiamato a succedergli nel senatorato, in un contesto di crisi generalizzata del patriziato maggiore e della grande aristocrazia libertina, coincidente con un intenso ricambio in Senato, dove cominciavano a subentrare membri abbastanza numerosi della nobiltà minore, dai patrimoni indeboliti e dalla frequente necessità di riqualificare una nobiltà divenuta dubbia col servizio estero e nuovi titoli o con gli studi; nobili che pertanto, più che sui titoli e le ricchezze, dovevano ancorare il proprio prestigio al valore personale, assecondando le contemporanee tesi del Maffei e invero le pressioni al riequilibrio sociale e alla valorizzazione degli intellettuali che anche in Bologna contavano ormai almeno un cinquantennio di intensi dibattiti ed anche di recenti sommovimenti politici. Anche il provvisorio ritorno del senatorato al ramo maggiore col conte Francesco di Filippo Gaetano (n. 1725, senatore dal 1747) e il tentativo di rinobilitare e riqualificare tale ramo attraverso le nozze di lui con una Aldrovandi fallirono. Francesco morì tisico alcuni anni dopo, nel 1749, e in lui anche il ramo senatorio di S. Vitale si estingueva definitivamente.
Nel 1749, per breve di Benedetto XIV del 5 dicembre, letto in Senato il 17, il F. conseguiva dunque, trentunenne, col senatorato anche il titolo comitale e il prestigioso palazzo di via S. Vitale, ma un'eredità fidecommissoria ridotta e controversa, incapace di fidare vero smalto alla famiglia che sopravviveva in Bologna ormai solo in un altro ramo naturale e immiserito (esercente il mestiere di sellai), neppure più riconosciuto tra la nobiltà. Aveva compiuto studi (sui quali siamo poco informati) nella stessa città natale e aveva sostenuto il suo primo incarico pubblico nel 1740, appena ventiduenne, con la podestaria di Casalfiumanese, per altro un semplice "ufficio utile". Nel 1747, alla morte del padre, aveva dovuto fronteggiare una situazione difficile per il dissesto patrimoniale della famiglia.
La madre, disponendo di una dote modesta ma sicura e di una piccola eredità, aveva rivendicato la separazione dei beni, e il F., come maggiore dei maschi, era divenuto capofamiglia, assumendo anche la tutela del fratello minore Giovan Paolo e dovendo entrare in nuovi esborsi per la monacazione di una sorella e per dotare la sorella Ginevra, che nel 1750 sposava il conte Pietro d'Arcano di Cesena, con la modesta dote di lire 15.000 che per lire 13.000 furono coperte con l'assegnazione di un palazzo cittadino. Per tali doti e spese si dovettero vendere due predii alla Longara, per circa lire 50.000 accollando per quasi 40.000 lire ai compratori borghesi altri debiti consolidati. L'eredità del ramo senatorio di S. Vitale portò agli inizi solo un sollievo modesto, data la necessità di restituire la dote dell'Aldrovandi e separare il libero dai fidecommessi, tra inevitabili controversie.
Per questo il primo gonfalonierato il F. dovette sostenerlo ancora dal palazzo di S. Domenico e solo nel 1752 poté trasferirsi coi fratelli nel palazzo di S. Vitale. Solo nel 1763 egli sarebbe subentrato nel pieno possesso dell'eredità fidecommissoria del ramo senatorio, per il momento soggetta all'amministrazione di un economo. Ma la stessa sicurezza di tale eredità gli permetteva di avviare un primo risanamento patrimoniale, con la vendita di beni del patrimonio avito e una prima divisione dello stesso coi due fratelli (1755) sebbene con Giovan Paolo, che aveva assunto il titolo abaziale e nello stesso 1755 fu erede della madre, continuasse la gestione unitaria di fatto. Verso il 1757 un certo numero di debiti era già liquidato, ma che le difficoltà fossero state gravi era dimostrato dal sostanziale fallimento del canonico Prospero, che nel 1763 sarà sottoposto dall'arcivescovo V. Malvezzi ad amministrazione fiduciaria, dopo che aveva gia rinunciato al fratello Giovan Paolo l'eventuale successione nella primogenitura. Nella seconda metà degli anni Sessanta, morto anche Prospero (1766), il processo di risanamento del patrimonio fu completato anche attraverso la vendita di diverse case urbane e soprattutto dell'antico palazzo familiare di S. Domenico. Le tenute ormai ereditate dal ramo senatorio (della Pegola e di Gandazzolo soprattutto e del Medicinese) davano alla famiglia una base patrimoniale più solida e soprattutto la cointeressavano anche direttamente nel contemporaneo dibattito idraulico, di cui il F. era diventato il protagonista.
La posizione del F. in Senato si era consolidata parallelamente a quella del patrimonio. Per la modesta origine socio-patrimoniale e per il carattere rigoristico della formazione, la sua collocazione tra il gruppo dei riformatori lambertiniani, prossimi alle istanze dottorali e borghesi e fautori di un ritorno alle origini comunali e rinascimentali per rilanciare il prestigio della città e la sua economia e società, era stata ovvia ed in particolare immediata la collaborazione coi più anziano e più esperto ed autorevole Carlo Grassi, che proprio nel 1749 stava tentando una organica riforma politica del Senato e avviava con l'appoggio del pontefice, del legato G. Doria e più tardi del maresciallo G. L. Pallavicini, trasferitosi in Bologna, una non meno organica riforma finanziaria ed economico-sociale, mirante però anche a salvaguardare le ragioni del giurisdizionalismo senatorio e della autonomia "repubblicana" della città dallo Stato pontificio e dalla Curia, orientamento anche questo che Benedetto XIV condivideva e favoriva. Il palazzo senatorio del F., di recente acquisito dal ramo maggiore, divenne il centro delle conversazioni del partito riformatore: fu infatti durante una di queste che avvenne l'episodio del tentato omicidio da parte del marchese C. Bevilacqua di Olimpia Pepoli Grassi, moglie di Carlo, da cui il partito conservatore doveva trarre occasione per una violenta campagna diffamatoria che contribuì a bloccare nel 1752 il primo slancio riformatore ed in particolare a restaurare l'antica prassi senatoria delle assunterie annuali ad estrazione. Accanto all'attività senatoria ed alle conversazioni erudite il F. non mancava di partecipare alle attività delle congregazioni cittadine ed in particolare era divenuto membro, col Grassi e F. Guastavillani (i due principali esponenti del partito riformatore) della congregazione direttiva dell'Opera dei mendicanti che negli stessi anni si tentava di riformare, sottraendola ad un arcaico assistenzialismo per una più qualificata assistenza agli orfani, rinviando la soluzione del problema più propriamente pauperistico a tutto il complesso delle riforme istituzionali e finanziarie, al rilancio delle manifatture e dei commerci in una più generalizzata azione di riqualificazione e riequilibrio sociale.
Il F. fu in particolare rettore dell'Opera mendicanti nel 1751 e nel 1768 e rimase poi membro della congregazione anche dopo l'abbandono del Senato nel 1774, svolgendo in particolare un'opera rilevante nella direzione dell'ospedale-conservatorio dì S. Orsola. Questa collocazione ne chiarisce la matrice lambertiniana e muratoriana, di difesa della laicità delle istituzioni civili da una prospettiva di "pubblica felicità" non senza una venatura religiosa rigoristica e quasi giansenistizzante che lo porterà in particolare ad una certa prossimità ai circoli dell'arcivescovo Malvezzi. Un certo rigorismo connota anche la sua vita privata: la non particolare floridezza della famiglia e la necessità di risanare il patrimonio e provvedere all'educazione del fratello ed alla dotazione delle sorelle lo indussero al celibato ed alla vita di studio. Fu gonfaloniere nel terzo bimestre del 1752, nel primo del 1761, nel terzo del 1768. La sua vocazione di studioso d'altra parte risulta dalla stessa carriera politica: sebbene assecondasse quasi tutti i progetti di riforma politico-economica del Grassi e del Guastavillani, a differenza di essi egli non era un economista né un giurista ed il suo contributo personale alla concreta elaborazione dei progetti fu scarso. Ricoprì le assunterie economico-finanziarie quando vi fu estratto (e il fatto che spesso vi venisse confermato per un biennio ne attesta il prestigio politico-intellettuale), ma non fece mai parte di quelle vitalizie, come in particolare l'assunteria d'Arti, che il Grassi per contro considerava, con quella di Sollievo, un po' il centro della sua azione. È significativo invece che divenisse assai per tempo membro vitalizio della ricostituita assunteria d'Acque (1757-72) e dal 1761membro vitalizio dell'assunteria dell'Istituto delle scienze ed anche della congregazione delle Scuole pie (solo nel 1761e nel 1771 fu anche membro dell'assunteria di Studio e nel 1771 anche riformatore dello Studio), ciò che ne fece una sorta di ministro della Pubblica Istruzione bolognese.
Questa sua prossimità al mondo dottorale lo rese particolarmente idoneo anche a ricoprire ripetuti incarichi nell'assunteria di Gabella anche in anni in cui le progettate riforme grassiane della finanza e dei dazi, la volontà di giungere all'appalto unificato con la Camera, determinarono acute tensioni coi dottori collegiati che controllavano la Gabella Grossa. Specificamente fu assunto di, Gabella nel 1759, l'anno di più acuta tensione (ma sembra si dissociasse dal progetto grassiano aderendo alle posizioni conservatrici del Senato e dei dottori), nel 1763, nel 1765, nel 1768-69. Frequentemente fu anche assunto alla Revisione dei conti, assunteria di nuova istituzione da parte dei riformatori col compito della revisione annua dei bilanci, ma anche di proposta dei rimedi da apportare agli sconcerti correnti e consolidati. Ne fu membro nel 1759-60, nel 1762, nel 1769-70. Con una certa frequenza fu anche nell'assunteria di Magistrati, preposta alla nomina delle altre assunterie ed insieme principale organismo di salvaguardia della politica e della costituzione cittadine, centro del giurisdizionalismo senatorio: ne fu membro nel 1760-61, nel 1764, nel 1767, nel 1770. Nelle altre assunterie la sua presenza fu occasionale e poco incisiva (Imposta nel 1760; Sgravamento 1760-61 e 1770; Munizione 1760 e 1773; Ornato 1763; Camera 1764-65; Confini 1765-66 e 1771; Pavaglione e Archivio nel 1766; Abbondanza nel 1766-67 e nel 1772-73; Milizia nel 1767-68 e nel 1773-74; Governo delle comunità nel 1769; Tratte da Castel Bolognese nello stesso anno). Fu anche primo presidente del Monte di pietà nel 1760 e fabbriciere di S. Petronio nel 1767-68" Una carriera politica impegnata ed autorevole, tutta saldamente ancorata al partito delle riforme, del riequilibrio economico, della pacificazione tra i diversi ceti, ma in cui lo specifico ruolo e contributo del F. spicca soprattutto, come si diceva, in due settori, quello di promotore della ricerca scientifica bolognese attraverso l'Istituto e quello di difensore degli interessi bolognesi e di bonificatore attraverso l'assunteria d'Acque, ruoli strettamente congiunti data la connessione del momento scientifico oltre che finanziario nella bonifica. La prima grande occasione del F. di giocare un suo ruolo personale venne anzi proprio dal dibattito sulle acque e dalla visita del cardinale P. P. Conti del 1761-62.
Benedetto XIV, imprimendo col Cavo delle acque unite o Benedettino una svolta ai problemi idraulici ed alla bonifica della pianura bolognese, vi aveva congiunto anche una radicale riforma finanziaria e politica. Tutta la materia era stata sottratta alla conservatrice assunteria d'Acque, che di fatto era risultata soppressa, e sottoposta alla congregazione del Benedettino, un organismo a ridotta partecipazione senatoria ed immediatamente rappresentativo degli interessi delle diverse riviere secondo criteri censitari. L'obiettivo primo era di giungere con la bonifica ad una tassazione fondiaria generalizzata, in pratica ed in prospettiva al catasto, ma forse anche di predisporre una più lontana riforma del Senato in senso rappresentativo-censitario. Il fallimento dei lavori di bonifica per difficoltà tecniche e finanziarie, per resistenze politiche a tutto il programma riformatore che nella bonifica aveva il suo perno, il riaprirsi dei tradizionali violenti conflitti coi Ferraresi, la morte di Benedetto XIV avevano riproposto la necessità di una assunteria d'Acque che si facesse carico di riprendere la progettazione della bonifica e della definitiva inalveazione del Reno e di difendere i compromessi interessi bolognesi, soprattutto in un momento in cui all'interno degli stessi interessati bolognesi i contrasti si facevano violenti per il prevalere di spinte privatistiche e speculative, conflittuali con ogni prospettiva di risanamento generale. La rinata assunteria d'Acque invece si caratterizzò presto per la prevalenza degli indirizzi pubblicistici e il F. vi ebbe una sorta di presidenza. Il "voto" di Gabriello Manfredi del 1759 riproponeva decisamente l'inalveazione Reno-Primaro secondo una linea che in passato era stata sostanzialmente anche di G. B. Aleotti e di C. Mayer e che era stata accolta come possibile anche da G. F. Guglielmini, pur più propenso alla linea Reno-Po Grande. Le rotte sempre più alte del Reno, la parziale realizzazione del Benedettino e di altri canali minori sembravano ora renderla più fattibile che per il passato e il progetto parve incontrare il consenso della congregazione delle Acque e del prefetto card. G. F. Albani. Nei colloqui di Roma si delineò anche il consenso dei due tecnici ferraresi e la possibilità di giungere ad una visita diretta sul piano tecnico da Paolo Frisi e su quello giuridico-politico dal card. Pier Paolo Conti, visita che avrebbe potuto essere anche esecutiva. Ma tutto doveva rapidamente naufragare: i Ferraresi denunciarono l'assenso dato dai loro tecnici e tra gli stessi Bolognesi si formò un gruppo violento e potente di oppositori, sostenitori della linea "superiore" riproposta dall'ab. P. Fantoni. I "superioristi" erano tanto più pericolosi in quanto alla loro guida c'era il maresciallo G. L. Pallavicini, subentrato agli Este nelle tenute ferraresi, che, con la sua potenza finanziaria, col suo avanzare progetti alternativi promettenti, quali la riescavazione del Primaro-Volano sia a scopo di scolo agrario sia per il rilancio della navigazione e dei traffici e soprattutto per la sua potenza politica e per i diretti rapporti col card. G. F. Albani, protettore dell'Impero, portava alla convergenza tra superioristi bolognesi e ferraresi e rompeva il passato fronte filoriformatore bolognese, e ciò in un momento in cui in Roma ed in Curia si delineava con Clemente XIII una generale svolta antilluministica e antilambertiniana, una ripresa "zelante" nettamente ostile al giurisdizionalismo laico e giansenistizzante bolognese e la volontà di sottoporre la città ad una stretta monarchica di cui sarebbe stato protagonista il nuovo legato card. G. Spinola. In particolare il carattere di tecnico imparziale del Frisi venne immediatamente denunciato dai superioristi e dai Ferraresi e dal card. Conti, il quale anzi, coi suoi tecnici, si orientava decisamente verso la linea superiore (pur da gran tempo dimostrata scientificamente assurda) anche al di là degli orientamenti moderati e compromissori del nuovo tecnico imparziale T. Perelli. Il compito di seguire per il Senato e l'assunteria d'Acque la nuova visita fu dato al F. che lo sostenne con estrema decisione, rivendicando le originarie deliberazioni della congregazione per una visita sotto la direzione del Frisi, tendenzialmente esecutiva, poi contrapponendosi da posizioni di deciso giurisdizionalismo bolognese e repubblicano al Conti ed ai suoi tecnici, alla loro inconsistenza scientifica. Di tali vicende il F. lasciò un preciso resoconto nella Visita del card. Pierpaolo Conti e del sen. conte Giovanni Fantuzzi (1761-62). Del suo impegno nella vicenda sono inoltre testimonianza la fitta corrispondenza col Frisi (comune anche ad altri senatori, tecnici e scienziati dell'Istituto) e, soprattutto, l'opera erudita di sistemazione e raccolta di tutte le scritture e i documenti relativi alla plurisecolare controversia idraulica nell'Indice della raccolta delle scritture, atti, decreti fatti nella controversia delle acque del Bolognese dall'anno 1460 al 1763.
Un po' bruciato presso la Curia per lo scontro col Conti, il F. sarebbe rimasto in materia d'acque il più stretto collaboratore del Grassi e porta quanto lui perciò il merito dello scontro vittorioso con il pontificato rezzoffichiano, dell'avvio della bonifica secondo il voto di G. A. Lecchi, dell'impostazione della bonifica nell'ottica del giurisdizionalismo bolognese e nello scontro col commissario mons. Ignazio Boncompagni Ludovisi. Nei dibattiti relativi alla bonifica egli intervenne per altro solo con la Scrittura la quale dimostra non essere né impossibile né difficile portare il Beccaro inalveato al mare. Merita qui sottolineare che tutta la vicenda idraulica e l'amicizia operativa col Frisi, protrattasi anche negli anni in cui questi, dalla cattedra pisana, avrebbe difeso la sua progettazione idraulica bolognese, avrebbe ulteriormente consolidato un rapporto già stretto tra il gruppo dei riformatori lambertiniani bolognesi e i riformatori toscani e milanesi, col Verri e l'Accademia dei Pugni, di cui non mancano tracce numerose ma di cui l'elemento più indicativo sarebbe stato il ricevimento in Senato del giovane C. Beccaria quasi subito dopo la pubblicazione del Dei delitti e delle pene e l'immediato dibattito che ne sarebbe seguito localmente, del resto parallelo ad autonome iniziative nella legislazione bolognese.
Dell'impostazione giurisdizionalista del F. e dello scontro col Boncompagni e Clemente XIII, risultato particolarmente acuto in materia d'acque nel 1768 ma esteso un po' a tutti i settori, è indicativo anche il ricevimento di Giuseppe II nel 1769, quando, come assunto d'Istituto, rivendicando la figura di L. F. Marsigli ed il valore della ricerca scientifica bolognese, tese ad inquadrarla nel contesto di un giurisdizionalismo repubblicano cittadino gemellato a quello della Repubblica veneta e parallelo a quello cesareo, conseguendo perciò dall'imperatore aperte lodi e riconoscimenti. In questa ottica giurisdizionalista va vista in particolare anche la sua prossimità al circolo "giansenistizzante-gallicano" dell'arcivescovo Malvezzi. È il momento più felice dell'attività pubblica del F. che nel 1769, emarginato il Boncompagni, restava con Grassi e Lecchi alla guida della bonifica, anche se proprio in questi anni egli maturava ulteriormente la sua vocazione di erudito e studioso e in questa direzione in particolare andava la decisione del 1768 di rinunciare l'intero patrimonio, ormai sostanzialmente risanato, al fratello Giovan Paolo (1733-79) per permettergli di sposarsi con Francesca del sen. Ovidio Bargellini nella speranza di continuare la famiglia, riservandosi la sola modestissima entrata di lire 1.600 annue e le spese delle funzioni pubbliche.
Assunto d'Istituto e amico dei principali dottori bolognesi, in particolare di I. Biancani, di L. Palcani, intimo del bibliotecario dell'Istituto L. Montefani Caprara, il F. cominciava ad affiancare all'attività politica l'attività erudita. Del 1770 sono infatti le Memorie della vita del generale co. Luigi Ferdinando Marsigli, ancora nella scia della rivendicazione fattane davanti a Giuseppe II ed esaltazione del personaggio a cui Bologna deve la sua rinascita moderna nella considerazione europea ma forse anche già presentimento della nuova ondata conservatrice che stava per travolgere anche lui e i principali riformatori. La durezza del nuovo scontro col Boncompagni nella politica idraulica e la sconfitta del F. e dei Grassi ad opera dei giovani repubblicano-reazionari, come l'Angelelli (1771-72), nonché il fallimento del diretto appello a Clemente XIV per una politica di riforme e di risanamento della Legazione (1773), lo portavano come l'amico Grassi ed altri decani lambertiniani, e come in Romagna l'affine Marco Fantuzzi, ad abbandonare la vita pubblica per una vita interamente di studio, già tutta proiettata nella redazione delle biografie degli scrittori bolognesi. "Questa mia occupazione ora è il mio unico piacere, da che ho abbandonato il palazzo e vivo ritirato in questo studio", scrive già il 20 marzo 1773 all'amico mons. G. Marini. Ma la sconfitta recente gli brucia e gli brucia la constatazione dello sfacelo economico-sociale e morale che lo circonda, la palude dei senatori rimasti, la constatazione delle nuove rapide fortune speculative e oligopolistiche che crescono con l'appoggio del nuovo potere senatorio, di legati e di una Curia inetti.
Non a caso, dopo la Vita del Marsigli, nel 1774 vedono la luce le Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi, con una dedica ai professori dell'Istituto che è già una sorta di testamento spirituale, di accorato commiato, e nell'Aldrovandi più ancora che nel Marsigli il F. s'identifica totalmente: in lui mostra il modello del cavaliere virtuoso, letterato, promotore del sapere e della ricerca, zelante della patria in tutte le cose, uomo e cittadino libero, concentrato nella fondazione di un deposito culturale per sempre. Analogamente appunto il F. si accinge ad erigere alla scienza bolognese un monumento definitivo. Per concentrarsi in questo compito, dopo il patrimonio, con breve di Clemente XIV del 21 ag. 1773 e rogito notarile del 14 febbr. 1774, ha rinunciato al fratello Giovan Paolo anche il senatorato.
Il F. sperava forse che una nuova generazione, a cui il fratello apparteneva, potesse ricomporre i passati violenti conflitti tra riformatori e conservatori in Senato, trovare una sua via equilibrata, e Giovan Paolo in effetti sembrò immediatamente acquisire una sua autorevolezza moderata, imperniata soprattutto nelle assunterie economiche. Ma egli, vicino anche al nuovo arcivescovo A. Gioannetti (per altro nei primi anni in odore di giansenismo), morì senza eredi nel 1779 e con lui l'estinzione della famiglia Fantuzzi nel ramo bolognese si annuncia definitiva. Il senatorato della famiglia passò ai Braschi, famiglia del nuovo pontefice Pio VI.
Scomparsi anche l'amico Grassi (1777) e la sorella nubile Girolama (1778), il F. divenne sempre più solo, sempre più concentrato nella redazione delle Notizie e sempre più scettico sulla sorte dei valori in cui aveva creduto ed ai quali cercava di tener fede sia sul piano religioso sia dissociandosi apertamente dalle attività più speculative del fratello, ad esempio, denunciando nullo un contratto di affittanza da lui stipulato con il grande affittuario Ceneri a danno dei tradizionali affittuari comitatini Vannoni, che egli intendeva mantenere nell'impresa della Pegola da essi bonificata e valorizzata. Ne seguì un'aspra lite giudiziaria in Bologna ed in Roma che si risolverà solo nel 1783 con una transazione.
Scompariva gradatamente anche la grande generazione degli uomini dell'Istituto e per alcuni di essi il F. anticipò brevi e doverosi elogi: così nel 1778 le Notizie della vita e degli scritti di Francesco Maria Zanotti, presidente dell'Istituto (sostanzialmente una sua autobiografia ottenuta in vita tramite il Palcani), e l'Elogio della dottoressa Laura Maria Caterina Bassi Verati, la prima donna messa in cattedra in Europa ma anche soffocata da una fama troppo costruita ed insieme dalle eccessive cure domestiche, di cui tuttavia il F. coglie con esattezza, più che l'originalità della ricerca, il valore di sollecitatrice e di insegnante privata.
Di questi anni, dopo la morte del fratello, è un suo viaggio a Venezia in compagnia del Palcani, e forse a Parma e a Cesena, probabilmente per predisporre la successione dei nipoti. Nel 1783 ancora un'altra anticipazione con le Memorie del maresciallo Enea del conte Nicolò Caprara, rivendicazione delle glorie bolognesi anche nel settore militare ed in particolare dei tradizionali rapporti con l'Impero, ma anche scritto d'occasione, degli altri meno partecipato giacché il F. è sempre stato uomo di studio e non di milizia.
Neppure il delinearsi negli anni Ottanta del riformismo di Pio VI o il piano economico del Boncompagni ora cardinale, che pure riprendeva sistematicamente la progettazione del Grassi e sua e che aveva l'appoggio dell'amico Guastavillani, riuscivano a smuoverlo dal suo ritiro di studioso: troppo diversa ne era la matrice, curiale, autoritaria, repressiva delle libertà cittadine, rispetto a quella del giurisdizionalismo repubblicano e liberale in cui egli aveva creduto. La corrispondenza con l'amico Gaetano Marini è estremamente indicativa di questo atteggiamento stanco e sfiduciato. Le riforme braschiane, che pure coinvolgevano così direttamente Marco Fantuzzi, non lo convincevano poiché dalla prospettiva bolognese, più aperta all'Europa, più saldata alla Toscana e alla Lombardia degli Asburgo Lorena ed a Venezia, si avvertiva tutta la persistente forza delle opposizioni interne ed insieme tutta la contingenza del riformismo pontificio e curiale, intimamente illiberale, tutto l'irrompere di forze nuove sulla scena mondiale.
Da questa concentrazione nello studio videro però finalmente la luce i nove volumi delle Notizie degli scrittori bolognesi (1781-94), prodotto tipico dell'erudizione settecentesca, nate infatti dalla collaborazione erudita coi più rinomati letterati italiani e con i professori dell'Istituto e specificamente dalla collaborazione con l'ex gesuita Francesco Alessio Fiori (1718-90), ma insieme non opera di erudizione asettica quanto, ancora una volta, difesa complessiva del proprio operato e dei propri valori, di una cultura e di una "classicità" bolognese che non è solo scientifico-letteraria ma anche politico-giuridica.
Il F. difende e sistema con le biografie degli scrittori bolognesi anche la prospettiva della "nazione" e della "repubblica" bolognesi, della laicità e del giurisdizionalismo dottorale-senatorio che è stato suo. La società attiva e partecipata che egli ha auspicato e che è rimasta in gran parte sogno (ma che per altri versi, contradditoriamente, pur viene realizzandosi) emerge invece con forza dalla grande tradizione culturale della città, dalle lontane origini medievali al Rinascimento, allo stesso Seicento, niente affatto soffocato dalla Controriforma, alla ripresa settecentesca dei lumi.
Per altro neanche la rivoluzione, ovviamente, è in grado di restituire questa prospettiva aperta ma anche inguaribilmente municipale, né la momentanea restaurazione del 1799.
Il F. testò il 5 maggio 1799, dichiarando erede il nipote ex sorore Antonio Ceretoli di Parma, sebbene il ramo bastardo superstite disceso da Rodolfo d'Ippolito cercasse di contestare l'eredità fidecommissoria. Legò i libri al Palcani, incaricandolo di distinguere tra i manoscritti quelli che potessero meritare di pervenire alla Biblioteca dell'Istituto. Morì a Bologna il 13 giugno 1799 e fu sepolto nella cappella della Concezione in S. Petronio.
Opere: Bologna, Bibl. universitaria, ms. 163, vol. II, fasc. 8: Visita del card. Pierpaolo Conti edel sen. conte Giovanni Fantuzzi (1761-62); ibid., ms. 680: Indice della raccolta delle scritture, atti, decreti fatti nella controversia delle acque del Bolognese dall'anno 1460 al 1763; ibid., ms. 163, vol. I, fasc. 20: Scrittura la quale dimostra non essere né impossibile né difficile portare il Beccaro inalveato al mare; Memorie della vita del generale co. Luigi Ferdinando Marsigli, Bologna 1770; Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi medico e filosofo bolognese, ibid. 1774; Elogio della dottoressa Laura Maria Catterina Bassi Veratti, ibid. 1778; Notizie della vita e degli scritti di Francesco Maria Zanotti, ibid. 1778; Memorie del maresciallo Enea del c.te Nicolò Caprara, ibid. 1783, Notizie degli scrittori bolognesi, 9voll., ibid. 1781-1794; Dell'amore, orazione accademica, pubblicata per nozze Ravà-Sullani da Aristide e Vittoria Ravà, ibid. 1884.
Fonti e Bibl.: La fonte fondamentale per la vita e l'attività pubblica e privata del F. è costituita dall'Archivio Fantuzzi Ceretoli in Archivio di Stato di Bologna e specificamente, oltre alla serie Strumenti, la serie Carte varie, che alle bb. 68-83 conserva molte carte e memorie dell'attività senatoria e pubblica del Fantuzzi. Nella Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna si conservano inoltre tanto uno specifico Fondo Affarid'Acque, proveniente dal F., quanto i materiali manoscritti preparatori delle Notizie degli scrittori bolognesi. Materiali specifici si trovano inoltre in Archivio di Stato di Bologna, Senato, alle varie assunterie da lui ricoperte. Sue lettere a un anonimo e al Tiraboschi sono edite in Lettere artistiche inedite pubblicate per cura di G. Campori, Modena 1866, p. 214, ma soprattutto rilevante, per coglierne gli atteggiamenti politici e anche la vita privata, la corrispondenza con Gaetano Marini. Per alcuni aspetti specifici della vita del F. cfr. Per lo solenne ingresso la prima volta al gonfalonierato di giustizia del nobilissimo ed eccelso sig. senatore conte G. F., Parma 1752; Lettera informativa del fatto succeduto nel festino Fantuzzi fra il march. Cesare Bevilacqua e la marchesa Olimpia Pepoli moglie del march. Carlo Grassi, in Bibl. universitaria di Bologna, ms. 1789, caps. LXXIV, fasc. 52 (altra versione in ms. 388, fasc. 5-6). Le biografie del F. sono poco più che rapidissimi cenni: F. Tognetti, Notizie biografiche del conte G. F. (ms. in Bibl. comun. dell'Archiginnasio di Bologna, Fondo Biografie, cart. I, fasc. 6, cc. 1-5); Dizionario biografico universale, II, Firenze 1842, pp. 683 s; G.B. Corniani, I secoli della letteratura italiana continuati da S. Ticozzi, pt. 2, t. II, Milano 1834, p. 628; G. Guidicini, Iriformatori dello stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, Bologna 1876, pp. 33-40; L. Sighinolfi, Notizie intorno a Baldassarre Carrati e G. F., eruditi bolognesi del sec. XVIII (ms. in Bibl. com. dell'Archiginnasio di Bologna, Raccolta Malvezzi de Medici, cart. 69, n. 15); A. Sorbelli-G. Natali, in Encicl. Ital., XIV, Roma 1951, pp. 795 s. Si distacca da questa produzione per una prima più organica ricostruzione S. Saccone, G. F. e il fondo "Affari d'Acque" nella Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, in L'Archiginnasio, LXXVII (1982), pp. 383-423. Per gli ultimi decenni di vita fondamentali sono le Lettere inedite di Gaetano Marini, II, Lettere a G. F., a cura di E. Carusi, Città del Vaticano 1938; III, Appendici. Due lettere di G. A. Zanetti. Lettere di G. F. a Gaetano Marini, a cura di E. Carusi, ibid. 1940. Utili, per un inquadramento generale, A. Giacomelli, Carlo Grassi e le riforme bolognesi del Settecento, I, L'età lambertiniana; II, Sviluppo delle riforme lambertiniane e contestazione dell'ordine antico, in Quaderni culturali bolognesi, III (1979-81), 10-11. Per le vicende idrauliche, più specificamente, A. Giacomelli, Appunti per una lettura storico-politica delle vicende idrauliche del Primaro e del Reno e delle bonifiche nell'età del governo pontificio, in Centro Studi Baruffaldi, La pianura e le acque tra Bologna e Ferrara (un problema secolare), Cento 1983; Id., Carta delle vocazioni agrarie della pianura bolognese desunta dal catasto Boncompagni (1780-86), Bologna 1987.