FAUSTINI, Giovanni
Nacque a Venezia nel 1619. Della sua vicenda biografica si hanno notizie scarse e lacunose. Fu dapprima avviato alla professione dell'avvocatura, ma fin da giovane "per proprio diletto applicò l'ingegno alle compositioni drammatiche musicali, nelle quali riuscì ammirabile nell'inventione in particolare" (Sandberger, p. 57). Nel 1651 curò l'amministrazione del teatro S. Apollinare, incarico passato alla fine di quell'anno, dopo la morte del F., nelle mani del fratello Marco.
Nella sua attività di librettista il F. incontrò il favore dei compositori e del pubblico, sia veneziano sia di altre grandi città italiane, e "nel corso di soli nove anni si videro rappresentare nei teatri di questa città con gli applausi maggiori" tutte le sue opere, le quali inoltre "più e più volte sono state rappresentate con ogni pienezza di applauso" nelle altre principali città italiane (ibid.). Certo è che principalmente al gradimento del pubblico si rivolgeva il F. nei suoi lavori, che egli produsse con notevole fecondità.
L'opera del F., come spesso accadeva ai suoi tempi, sottoposta alla pressione sia del pubblico sia degli impresari teatrali (il rapido avvicendarsi delle opere in cartellone imponeva tempi di lavoro assai ristretti a poeti e compositori), segna senza dubbio risultati piuttosto modesti da un punto di vista artistico. Una considerazione d'insieme dei suoi libretti mostra una forte schernatizzazione dell'impianto scenico e dei conflitti drammatici, che si ripete senza grandi variazioni. Questo aspetto riguarda sia la rappresentazione dei personaggi principali del dramma, sia quella delle figure secondarie: i primi vengono individuati, secondo lo schema più in voga del tempo, in due coppie di amanti, le cui vicende sono oltremodo intricate e complicate; le altre, ricavate dalla tradizione spagnola, valgono a rappresentare in modo affatto impoverito e ripetitivo i diversi tipi psicologici (la vecchia balia ruffiana, la giovane cortigiana sfacciata, il re saggio, il servo balordo e pauroso, e così via), cui è riservato generalmente il ruolo di semplici elementi comici all'interno dell'azione. Altri elementi secondari (il travestimento è dei più frequenti) sono ripresi anch'essi in modo affatto schematico, al solo fine di complicare quanto più possibile l'azione drammatica (cfr. Kretzschmar, p. 49).
Del carattere ostentatamente artificioso e irreale della propria poesia era consapevole lo stesso F.: "a gl'idioti - scriveva in riferimento alla Rosinda - paiono oscure queste favole, che solo si svelano nelle ultime scene, ma gl'intendenti e studiosi l'ammirano, perché in simili compositioni devono tenersi sospesi anco gl'ingegni più curiosi"; il gusto del poeta per il "puro Romanzo, le sue peripetie e le sue attione, lontane dal naturale e dal verisimile" non deve dunque far passare in secondo piano la serietà con la quale comunque egli attendeva al proprio compito, che era quello principalmente di dilettare un pubblico sempre più numeroso e da questo punto di vista sempre più esigente, ed assolvendo il quale egli si sentiva in diritto di superiori riconoscimenti: "affatico la penna, le confesso la mia ambizione -scriveva a F. Cavalli nella premessa dell'Ortiseo - per tentare se ella potesse innalzarmi sopra l'ordinario et il commune de gl'ingegni stupidi e plebei" (cfr. Sandberger, p. 56).
L'opera del F. rappresenta il primo esempio di compiuta stilizzazione del genere librettistico veneziano: è a partire da essa, infatti, che quest'ultimo si distingue finalmente dalla favola pastorale e dall'opera scenica romana, le opere precedenti oscillando ancora per la maggior parte fra questi due generi. I primi .libretti per altro risentono dei moduli dell'opera pastorale, definendosi generalmente ancora con il termine di "favola" al modo della prima opera veneziana (l'Egisto è detto "favola drammatica musicale", l'Ormindo "favola regia", mentre già nel Titone del 1645 si parla di "dramma per musica", nella Doriclea di "dramma musicale", e così analogamente per i libretti successivi).
Il F. morì a Venezia il 19 dic. 1651.
All'indomani della morte il F. continuò a godere di una notevole fama presso i contemporanei. Una sorta di elogio funebre compare nella dedica dell'Eupatra, presentata come l'opera "di quel nobilissimo ingegno, che non può dirsi orfana, mentre il padre nella memoria dei posteri è vivente". Nella premessa al Tiranno humiliato il F. viene ricordato come il "Sofocle e Euripide de Theatri moderni", mentre per l'edizione anch'essa postuma dell'Alciade viene stesa una breve biografia, in cui si ricorda la lunga collaborazione del F. con F. Cavalli e con P. A. Ziani, (cfr. Sandberger, p. 57).
Libretti: La virtù de' strali d'amore, opera tragicomica musicale, 1642 (teatro S. Cassiano 1642); L'Egisto, favola dramatica musicale, 1643 (ibid. 1643); L'Ormindo, favola regia per musica, 1644 (ibid. 1644); Il Titone, drama per musica, 1645 (tutte e quattro con musica di F. Cavalli, ibid. 1645); L'Ersilla, drama per musica, 1648 (musica di vari compositori, teatro S. Moisè 1648); L'Euripo, drama per musica, 1651 (teatro S. Apollinare 1651); La Calisto, drama per musica, 1651 (ibid. 1651); La Rosinda, drama per musica, 1651 (ibid. 1651); L'Eritrea, drama per musica, 1652 (anche queste quattro con musica del Cavalli, ibid. 1652); L'Eupatra, drama per musica, 1655 (musica di P. A. Ziani, teatro S. Apollinare 1655); L'Alciade, 1677 (musica dello Ziani, teatro S. Apollinare 1655); L'Alciade, 1677 (musica dello Ziani, teatro Ss. Giovanni e Paolo 1677); Il tiranno humiliato d'amore ovvero Il Meraspe, drama per musica, 1667 (musica di C. Pallavicino, teatro Ss. Giovanni e Paolo 1667). Scrisse, inoltre, il soggetto per L'Elena rapita da Teseo, 1653, libretto di G. Badoaro (musica di Cavalli, teatro Ss. Giovanni e Paolo 1653), ripreso da L'Elena, drama per musica, libretto di N. Minato (musica di Cavalli, teatro S. Cassiano 1659).
Il fratello Marco, di cui non si conoscono le date di nascita e di morte, fu il personaggio più conosciuto nella organizzazione della vita musicale veneziana. Oltre al S. Apollinare (fine 1651-1657) Marco amministrò il teatro S. Cassiano (1658-1660) di proprietà della famiglia Tron, e più tardi il teatro Ss. Giovanni e Paolo, della famiglia Grimani (1661-1667). Fu in rapporti con i più importanti compositori, poeti e cantanti attivi allora a Venezia. Riuscì a risollevare le sorti dei teatri veneziani entrati in crisi e rivelò, come nessun altro impresario, grandi capacità organizzative e manageriali (Mangini). La sua corrispondenza, conservata nell'Archivio di Stato di Venezia, Scuola Grande di S. Marco, buste 188 e 194) costituisce una delle principali fonti di notizie sulla vita teatrale veneziana della seconda metà del sec. XVIII.
Bibl.: A. Sandberger, Zur venetianischen Oper, II, in Jahrbuch der Musikbibliothek Peters 1925, 1926, pp. 55-58; H. Prunières, Cavalli et l'opéra vénitien au XVIIIe siècle, Paris 1931, pp. 55 s., 89; B. Brunelli, L'impresario in angustie, in Riv. music. ital., XLV (1941), pp. 311 s., 314, 321, 335; A. A. Abert, C. Monteverdi und das musikal. Drama, Lippstadt 1954, pp. 146-153; Id., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, III, Kassel-Basel 1954, coll. 1882 s.; H. Kretzschmar, Die venetian. Oper und die Werke Cavallis und Cestis [1892], Hildesheim-Wiesbaden 1966, pp. 10, 12, 14, 19, 48 ss.; R. Giazotto, La guerra dei palchi, in Nuova Rivista music. ital., I (1967), pp. 254-86, 465-508; W. Osthoff, Maschera e musica, ibid., pp. 31 s.; N. Mangini, I teatri di Venezia, Milano 1974, ad Ind. (anche per Marco); The New Grove Dict., VI, p. 429; C. B. Schmidt, An episode in the history of Venetian opera: the "Titus" Commission (1665-66), in Journal of the American Musical Assoc., XXXI (1978), p. 442 (per Marco); Diz. enc. univ. della musica e dei musicisti. Le biografie, II, pp. 716 s.; C. Sartori, I libretti italiani a stampa... (cfr. Indici, I, p. 263).