FEDOLFI, Giovanni (Giovanni da Parma)
Nacque a Parma, presumibilmente nel primo decennio del sec. XIV. Compiuti gli studi di diritto civile e canonico nella sua città natale, ricoprì, secondo il Bolsi, le cariche di avvocato di una parrocchia, di prevosto della chiesa della Ss. Trinità, di provicario della curia vescovile di Parma e di abate delle chiese di S. Marcellino e S. Nicolò. Nel 1354 si trasferì a Genova al seguito di B. Capello, il podestà milanese che i Visconti avevano imposto ai Genovesi dopo aver ridotto la città ligure sotto il loro dominio (1353). A Genova svolse le funzioni di giudice e consulente del podestà in materia giuridica. Non rimane di lui alcuna opera scritta. Le lettere che Francesco Petrarca gli indirizzò testimoniano che il F. fu nel novero delle amicizie più o meno intime che il grande letterato strinse durante i suoi soggiorni a Parma. A queste epistole, che attestano in via indiretta gli interessi letterari del giureconsulto parmense, è legata in sostanza tutta la fama di quest'ultimo.
Il F. è, assieme al suo amico Luchino Dal Verme, capitano e luogotenente dei Visconti a Genova dal 3 maggio 1355, il destinatario esplicito della epistola inserita con il n. 61 nelle Variae, che è però un chiarimento - richiesto al poeta dallo stesso F. - del contenuto allegorico di un'altra delle Variae, la n. 50, indirizzata dunque alla stessa persona. Quest'ultima epistola, scritta a Milano nell'estate del 1355, risponde a una domanda del F. e di un suo più importante amico - da identificarsi in Luchino Dal Verme - circa il modo in cui ci si possa riparare dalla violenza del "Leone nemeo", cioè del segno zodiacale che nella stagione estiva rende eccessivo il calore del sole. Petrarca si rifiuta di credere che la domanda si debba intendere soltanto in senso letteralee, interpretando metaforicamente il caldo eccessivo come il simbolo delle passioni che soffocano lo spirito, consiglia di cercare il refrigerio di un raro albero a sette rami: quattro antichi, volti verso terra, e tre più recenti, frutto dell'amorosa cura di un agricoltore celeste, volti verso l'alto. Nell'epistola n. 61, di poco posteriore, Petrarca spiega l'allegoria: i rami rappresentano le quattro virtù cardinali e le tre teologali; l'agricoltore è Cristo. Da questa epistola, di cui il codice Laurenziano 90 inf. 14 e il Palatino 79 conservano l'indirizzo, "Egregio doctori domino Iohanni de Parma" (il Palatino aggiunge "iuris perito") "sotio Domini Luchini de Vermo", si evince che il F. aveva eseguito una miniatura raffigurante l'albero e l'orbe terracqueo, che aveva spedito al Petrarca, insieme con la richiesta, sua e di Luchino, che fosse loro spiegata l'allegoria dell'albero. Evidentemente o il F. non era fornito di una dottrina troppo solida oppure desiderava possedere - da animiratore qual era, più che amico - un commento d'autore al testo allegorico della prima lettera: cortesia richiesta e ricompensata in anticipo con l'invio della miniatura.
Il Foresti ritiene che al F. siano state dirette anche altre tre epistole petrarchesche, cioè l'undicesima del secondo libro delle Epistole metriche (indirizzata a Luchino Visconti), l'epistola n. 21 delle Variae (a G. Zamorei) e la quarta dell'undicesimo, libro delle Familiari, spostando la datazione di quest'ultima al 1350-51 (invece che all'autunno del 1348). Questa ipotesi, che fu subito contestata dal Carrara, ma che venne accolta pedissequamente dal Rizzi e parzialmente dal Wilkins, è stata in tempi recenti con persuasive argomentazioni respinta dal Feo (ma accettata, limitatamente a Variae, n. 21, dal Faraggiana di Sarzana che ignora l'articolo del Feo).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Notai antichi, num. gen. 280, c. 207v (nell'atto del 2 luglio 1354, catalogato tra quelli di Francesco Roboreto, ma redatto da un "Philippus Noitoranus" il F. è qualificato "iudex et assessor domini potestatis"); Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, pluteo 90 inf. 14, sec. XV, c. 92v; Parma, Bibl. Palatina, ms. 79, sec. XIV, c. 50r; F. Petrarca, Epistolae de rebus familiaribus et variae, a cura di G. Fracassetti, Florentiae 1863, III, pp. 440 ss., 473-476; O. Bolsi, Annotationes in iurisc. et iud. Parm. ordinem, Parmae 1723, p. 22; A. Foresti, Aneddoti della vita di Petrarca (1923), a cura di A. Tissoni Benvenuti, Padova 1977, pp. 173, 342-349 (per quanto discutibile, è la maggiore fonte di notizie sul F.); E. Carrara, rec. all'art. del Foresti, in Giornale stor. della lett. ital., LXXXIV (1924), pp. 132 s.; F. Rizzi, F. Petrarca e il decennio parmense (1341-51), Torino 1934, pp. 47, 156 ss., 161, 173, 304; E. H. Wilkins, The prose letters of Petrarch: a manual, New York 1951, p. 20; Id., The "Epistolae metricae" of Petrarch. A manual, Roma 1956, p. 21; Id., Petrarch's correspondence, Padova 1960, p. 17; M. Feo, Il sogno di Cerere, in Il Petrarca ad Arquà. Atti del Convegno di studi nel VI centenario (1370-1374) …, a cura di G. Billanovich-G. Fasso, Padova 1975, p. 144; Id., Dialcuni rusticani cestelli di pomi, in Quaderni petrarcheschi, I (1983), pp. 37-43, 73 (fornisce una nuova ediz. critica della Ep. metr., II, 11 e della Famil., IX, 4); C. Faraggiana di Sarzana, Gabrio Zamorei: un funzionario visconteo amico del Petrarca, in Studi petrarcheschi, n.s., I (1984), p. 230; A.Tissoni Benvenuti, Alcune considerazioni su Parma e i letterati parmensi nel XV secolo, in Parma el'Umanesimo italiano. Atti del Convegno internaz.di studi umanistici, a cura di P. Medioli Masotti, Padova 1986, p. 122; U. Dotti, Vita di Petrarca, Bari-Roma 1987, p. 311.