CALLERI, Giovanni Felice (Gian Felice)
Nacque a Genova il 1º maggio 1753. Nulla si sa della sua famiglia, né della prima formazione. Il 29 genn. 1774 entrò come novizio nella Congregazione della missione di s. Vincenzo de' Paoli a Genova, e il 30 genn. 1776 pronunciò i voti nella casa di Savona. Il 4 nov. 1777 venne trasferito a Sarzana fino al 4 ott. 1779, quando partì per Genova, dove frequentò i corsi di teologia dell'Ageno e quelli del Molinelli; alla scuola di quest'ultimo ebbe come condiscepolo Vincenzo Palmieri, la cui amicizia gli fu in seguito di notevole utilità. Nell'ottobre 1784 tornò a Sarzana, dopo un soggiorno a Ferrara, e si dedicò all'insegnamento. Di questo periodo è la sua prima pubblicazione, i Saggi di filosofia morale (Genova 1786), un opuscolo contenente le tesi fatte discutere dai suoi alunni di Sarzana in cui traspaiono già abbastanza chiaramente le idee filosofico-religiose del C., che si andranno precisando in senso ancora più radicale negli anni successivi, creando notevoli difficoltà alla sua carriera di insegnante. Nel maggio 1786 il C. venne chiamato ad Arezzo, dal vicario generale vescovile Vincenzo Tanciani, per dirigere l'Accademia ecclesiastica della città. Il tentativo non fu molto felice. Il 26 sett. 1787 il Tanciani esprimeva al vescovo Scipione de' Ricci un giudizio alquanto restrittivo sulle capacità educative del C., il quale aveva rivelato "piuttosto doti di studioso che non di esperto reggitore di un istituto giovanile" (Codignola, I, p. 141). Nonostante ciò, il de' Ricci decise ugualmente, su raccomandazione del Palmieri, di chiamare il C. ad insegnare filosofia nel seminario di Pistoia. I rapporti fra i due, però, si incrinarono ben presto: infatti, benché simpatizzante per i giansenisti, in realtà il C. è da considerare piuttosto un illuminista. Egli stesso riconosceva per suoi principali maestri filosofi come Locke, Condillac, Rousseau, Bonnet: attratto dall'analisi psicologica della vita morale, sosteneva la più completa libertà di coscienza, rimetteva spregiudicatamente in discussione anche i temi essenziali della dottrina giansenistica, come il problema della grazia; inoltre egli dissentiva dalla politica ecclesiastica dei principi riformatori. È comprensibile dunque come il vescovo de' Ricci, intransigente ed autoritario e legato a Pietro Leopoldo, non potesse accettare una simile figura di insegnante nel suo seminario. Non gli fu però molto facile allontanarlo, in quanto il C. aveva nel frattempo stretto rapporti con alcuni ambienti del governo toscano, che nel 1789-90 avevano già assunto un atteggiamento ostile nei confronti del de' Ricci, il quale riuscì alfine a licenziare il C. nell'agosto del '90.
Nell'ottobre e novembre del 1790 il C. era a Sarzana; dopo quella data si perdono le sue tracce fino al 1797, quando ricomparve a Genova, dove infuriava la polemica sull'attività del governo provvisorio. Nei primi mesi del '97, prima ancora che fosse pubblicato il Progetto di costituzione per la Repubblica democratica ligure redatto dalla Commissione legislativa, un ex gesuita, Giuseppe Cerisola, facendosi portavoce degli ambienti cattolici filocuriali, pubblicava un feroce attacco contro la Commissione, circa la parte del Progetto che si riferiva alla politica ecclesiastica. Allo scritto del Cerisola, arrestato e subito dopo liberato, il C. rispose con una Lettera apologetica della Commissione legislativa, datata 17 luglio ma pubblicata nell'agosto del '97, che presenta notevole maturità di pensiero e capacità di argomentazione acuta ed originale.
In essa egli si mostra favorevole alla più assoluta libertà di coscienza e di culto affermando che tale principio non è lesivo della religione cattolica; inoltre si schiera a favore dell'incameramento dei beni ecclesiastici, sostenendo la liceità di un simile provvedimento, in base alla tesi - fondata sulle teorie febroniane dell'indipendenza delle Chiese nazionali da Roma e condotta alle conseguenze più estreme - che in ultima analisi Chiesa e nazione coincidono: perciò veri proprietari dei beni del clero sono tutti i fedeli.
Nel 1799 il C. si trovò al centro di un ambizioso progetto del Degola; questi infatti sperava di riuscire a porre accanto all'arcivescovo di Genova, G. B. Lercari, un coadiutore (tale solo di nome, ma titolare di fatto), che guidasse la Chiesa ligure secondo i principi propugnati dal gruppo giansenista genovese. La scelta del Degola cadde sul C., il quale offriva almeno la garanzia di essere un deciso sostenitore degli ideali democratici e pareva capace di opporsi con fermezza alle resistenze e all'opposizione dei filocuriali. Dal canto suo il C. ritenne opportuno ripubblicare i Saggi di filosofia morale (Genova 1799), questa volta aggiungendo una prefazione nella quale si legge: "Possa questo sommo filosofo essere un sommo vescovo, quale lo annunzia una lieta voce!". Questa candida speranza invece non si realizzò. Il Degola era riuscito a vincere varie opposizioni, tra cui quella del de' Ricci, e dello stesso arcivescovo Lercari, il quale, tornato a Genova dalla relegazione di Novi, sembrava rassegnato ad accettare questo coadiutore di idee tanto lontane dalle sue. Ma gli altri vescovi della Liguria rifiutarono di consacrare il C. senza il breve pontificio. Da parte sua Pio VI, allora a Firenze nel confino della Certosa, tempestivamente informato di quanto si stava tramando dal proposto della collegiata di S. Maria delle Vigne G. B. Lambruschini, rifiutò di concedere il suo assenso. Il progetto in tal modo fallì.
L'anno successivo il C., che nel frattempo era divenuto socio residente dell'Istituto nazionale ligure, massimo organo culturale della Repubblica, per la classe di filosofia, letteratura e belle arti, pubblicò un altro opuscolo intitolato Indirizzo di un prete ligure al cittadino G. Lercari arcivescovo di Genova (Genova 1800), in cui polemizzava vivacemente contro la destituzione, voluta dall'arcivescovo, di G. B. Moscini dalla carica di vicario generale. Nel 1810 egli fu designato, per opera del Degola, deputato di Genova al sinodo di Parigi, promosso dalla Chiesa "costituzionale" francese.
Ma in seguito, per la mutata situazione politico-religiosa, l'attività del C. si dirada. Nell'agosto 1802 iniziò le pubblicazioni L'Osservatore. Foglio periodico (probabilmente redatto in gran parte dal C. stesso), che però cessò quasi subito, probabilmente nel novembre dello stesso anno. Il C. fu inoltre membro della Commissione degli studi dell'università (presieduta da Onofrio Scassi), istituita in seguito alla legge del 3 nov. 1803, dalla quale egli risulta essere insegnante di fisica generale nella classe filosofica. Si ha notizia di tre relazioni da lui tenute, una deRe quali sulla natura e le leggi del piacere. Poi il C. sparisce dalla scena della vita genovese. L'unica ulteriore notizia su di lui ècontenuta in una lettera di F. Carrega al Degola da Parigi 30 marzo 1812, in cui il primo annuncia che il C. si trovava in quella città insieme con il massone Antonio Maghella, in procinto di partire per Napoli dove aveva ottenuto un piccolo impiego. Dopo questa data non si ha più alcuna notizia, cosicché si ignorano il luogo e la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Mem. dell'Ist. ligure…, Genova 1806, pp. 47, 57, 91, 98; Mem. dell'Acc. imp. delle scienze e belle arti di Genova, II, Genova 1809, p. 39; P. Baldassarri, Relaz. delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI, negli ultimi anni delsuo pontificato, III, Modena 1842, pp. 265 ss.; F. Ruffini, La libertà religiosa, Torino 1901, p. 525; P. Savio, Devozione di mgr. A. Turchi alla S. Sede…, Roma 1938, pp. 280, 924, 933 e n. 1; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-42, ad Indicem;S. Rotta, Idee di riforma nella Genova settecentesca in Il movimento operaio e socialista in Liguria, VII, (1961), pp. 205-284, passim.