FIESCHI, Giovanni
Figlio di Luchino, consignore di Torriglia, e di Costanza Orsini, nacque a Genova nella prima metà del sec. XIV. Avviato alla carriera ecclesiastica, fu ordinato sacerdote e sotto il pontificato di Clemente VI divenne cappellano papale. Il 12 genn. 1349 fu innalzato alla cattedra episcopale di Vercelli, dove succedette allo zio Emanuele Fieschi, scomparso tra il 2 luglio ed il 26 agosto dell'anno precedente. Poiché quella diocesi era suffraganea della Chiesa ambrosiana e poiché la città di Vercelli si era data nel 1335 ai Visconti, è ragionevole ritenere che la nomina sia avvenuta col consenso dell'arcivescovo Giovanni Visconti e col beneplacito di Luchino Visconti, signore di Milano.
Non appena ebbe preso possesso della sua Chiesa il F. procedette ad investire le famiglie nobili cittadine tanto al di qua quanto al di là del Po dei castelli, delle decime e dei patronati delle chiese della diocesi. Questa iniziativa, di cui ci serba la documentazione il cosiddetto Libro delle investiture del vescovo G. F., edito nel 1934 dall'Arnoldi, provocò la immediata reazione dei Visconti, che intervennero duramente, costringendo il F. a rifugiarsi nel castello di Biella, città su cui i vescovi vercellesi rivendicavano la signoria. Riprendendo una linea politica che era stata dei suoi predecessori, il F. si propose di riaffermare i propri diritti signorili su Biella: cominciò pertanto col rimettere in vigore alcune gabelle e pretese inoltre di incamerare i beni dei cittadini morti senza aver fatto testamento, suscitando le proteste delle autorità municipali.
Non riuscendo ad imporsi, i responsabili del Comune finirono con l'appellarsi all'arcivescovo Giovanni Visconti, rimasto unico signore di Milano dopo la morte del fratello Luchino (24 genn. 1349). Il presule cercò di arrivare a un accordo di compromesso, che evitasse una aperta rottura col F.: gli mandò pertanto il cremonese C. Cavalcabò per avviare trattative in vista di una ragionevole intesa. L'inviato dell'arcivescovo si incontrò col F. nell'agosto, ma le autorità di Biella, forse prevedendo che le cose sarebbero andate per le lunghe, preferirono non attendere gli esiti dei negoziati ed assoldarono truppe. Temendo un attacco in forze, il F. si ritirò nel castello di Verrua, dove proseguirono gli incontri con il rappresentante del Visconti. Fallito un primo tentativo di mediazione, il Comune fece pressioni su Galeazzo Visconti, uno dei nipoti dell'arcivescovo di Milano, per ottenerne l'intervento. Appresa la notizia, il F. preferì rifugiarsi nel più sicuro dei suoi castelli, quello di Masserano. Da lì, alla fine di settembre, lanciò l'interdetto sul Comune ribelle, perché si era rifiutato di consegnargli i beni di un cittadino morto senza avere fatto testamento. Il Comune si appellò formalmente alla Curia arcivescovile milanese, e il 7 marzo 1350 il vicario generale di Giovanni Visconti sospese l'interdetto. Il F. fu costretto pertanto ad intavolare trattative col Comune, confidando anche nell'aiuto che avrebbe potuto fornirgli il fratello Niccolò, giunto nel Vercellese dai suoi feudi liguri. Quando però le trattative fallirono, Niccolò preferì tornare indietro. Allorché, il 10 nov. 1350, l'arcivescovo G. Visconti assolse definitivamente Biella dall'interdetto, il F. si appellò al papa, ma il suo ricorso fu respinto il 5 dicembre. Solo nel maggio del 1353, dopo una lunga resistenza anche armata, il F. si decise a rispettare le disposizioni del vicario arcivescovile e a togliere l'interdetto. Così facendo, il F. mostrava di essersi piegato a riconoscere l'autorità del Visconti, che nell'ottobre del 1353 divenne signore di Genova. Il 7 giugno 1354 Carlo IV di Boemia, imperatore eletto, confermò alla Chiesa di Vercelli le concessioni ad essa fatte dai suoi predecessori.
Non sembra che il F., morto Giovanni Visconti il 5 ott. 1354 e passata Vercelli sotto il governo di Galeazzo Visconti, abbia avuto una qualche parte nelle vicende politiche che portarono alla costituzione di una forte lega antiviscontea, di cui fu anima Giovanni II Paleologo, marchese del Monferrato. Nel 1361 dovette far fronte ad un'epidemia di peste, che infierì nella sua diocesi; l'anno successivo, apertesi le ostilità con il marchese del Monferrato, fu l'anima della difesa di Vercelli, assediata dalla compagnia di ventura dell'inglese Albaret Sterz, che combatteva al soldo del Paleologo e che fu costretta a ritirarsi dopo il fallimento di due attacchi generali. Per quanto in queste circostanze fosse rimasto fedele a Galeazzo Visconti, il F. cercò di approfittare del conflitto per tentare di recuperare il controllo delle terre e dei castelli della Chiesa vercellese, sui quali i due contendenti esercitavano i diritti signorili. L'azione da lui svolta finì con lo spingere sia il Visconti sia il Paleologo ad intervenire contro di lui presso Urbano V.
L'accordo tra il Visconti e il Paleologo fu raggiunto, dopo lunghe trattative, nel febbraio 1364 a Milano per opera del cardinale di S. Marcello, Androino: il trattato, però, non prevedeva la restituzione al vescovo di Vercelli dei suoi antichi diritti sulla città.
Il F. rinnovò pertanto, anche in seguito, i tentativi di recuperare i diritti signorili su Vercelli, ma non sortì altro effetto che indurre Galeazzo Visconti ad inoltrare al papa la richiesta formale di rimuoverlo dalla sua sede episcopale. Urbano V rispose, il 4 marzo 1365, con un netto rifiuto. A tenere a freno il riottoso presule e per impedire eventuali suoi colpi di mano, il Visconti fece costruire nella città un castello.
Un Giovanni Fieschi è segnalato come amministratore della diocesi di Noli tra il 1366 e il 1381, ma si tratta probabilmente di un omonimo del F., lo stesso che fu vescovo di Albenga e che il 4 maggio 1379 ratificò il trattato stretto tra alcuni membri della sua famiglia e la Repubblica di Genova.
Nel 1370 il F. cedette al fratello Niccolò i suoi diritti giurisdizionali sui castelli di Masserano, Crevacuore, Moncrivello e su altre località della diocesi, ponendo così i presupposti per la nascita di una signoria fliscana nel Vercellese. Nel 1371, quando una spedizione militare voluta dal doge Domenico Fregoso portò alla conquista di Roccatagliata, centro nevralgico del feudo dei Fieschi nella Riviera di Levante, il F. armò 800 cavalieri e si spinse alta loro testa sino a Bargagli, nelle immediate vicinanze di Genova, con la speranza che in città maturassero le condizioni per una rivolta contro il doge. Genova rimase tranquilla, per cui il F. fu costretto a tornare indietro senza aver nulla concluso. Nel 1372, quando si aprirono le ostilità tra Galeazzo Visconti e la lega promossa dal nuovo papa, Gregorio XI, e dall'imperatore ed appoggiata da Amedeo VI di Savoia, cui i Fieschi si erano uniti, cercò di approfittare del coriffitto per togliere ai Visconti il dominio di Vercelli e di Biella. Travolto dalla sconfitta degli Avogadri, cui si era alleato, e che furono espulsi da Vercelli con la loro parte, il F. si unì a Niccolò Spinelli, siniscalco di Provenza, capitano generale delle terre in Piemonte, e agli inizi del 1373 prese parte personalmente alle operazioni militari che portarono le forze della lega contro Biella, e costrinsero quel Comune a trattare.
Il 21 gennaio fu sottoscritto un accordo, in forza del quale le parti facevano reciproca remissione delle offese; il F. annullava ogni processo promosso contro Biella e rinunciava, dietro versamento di un compenso in denaro, al diritto sulle eredità ab intestato; veniva licenziato il governatore visconteo, per cui il F. ebbe di nuovo il controllo della città. Come garante dell'accordo fu chiamato Amedeo VI.
Nel giugno, unitosi a Giovanni da Siena, il F. compì incursioni nel territorio di Vercelli; nell'ottobre a lui si unirono lo Spinelli ed Ottone di Brunswick. La campagna militare ebbe successo: grazie anche all'aiuto della fazione novarese dei Brusati, il F. riuscì infatti ad occupare Vercelli, cogliendo di sorpresa il podestà e gli altri ufficiali viscontei, che costrinse a rinchiudersi nella cittadella insieme con i sostenitori della fazione dei Tizzoni, uscita sconfitta nella lotta contro gli Avogadri. In seguito, il F. si uni con le sue alle truppe del conte di Savoia ed a San Germano sconfisse l'esercito visconteo. Per questo successo il papa si congratulò con lui, facendogli versare una forte somma. Intanto, il F. continuava a tener stretta d'assedio la cittadella di Vercelli. Nel novembre giunse nella città piemontese il nuovo governatore, il vescovo di Arezzo. La cittadella si arrese il 1º ag. 1374. Secondo il Federici, nel 1375 egli avrebbe assoldato G. Acuto e 6.000 cavalieri per continuare la guerra contro il Visconti.
Le ostilità tra la lega ed i Visconti si conclusero con l'accordo di Somoggia del 19 luglio 1376, nel quale furono parzialmente sacrificate le aspirazioni del F.: Vercelli venne infatti restituita alla signoria di Galeazzo, mentre Biella fu riconosciuta al vescovo.
I dissensi tra il F. ed il Comune di Biella si placarono solo per poco tempo. Nel maggio del 1377 scoppiò all'improvviso una rivolta contro il F., che si trovava nel castello della città. Colto di sorpresa dal moto, fu catturato insieme con suo nipote Giovanni Fieschi dagli insorti e poi rinchiuso nelle carceri del Comune. Per prevenire la reazione dei familiari del presule il Comune di Biella assoldò Iacopo Dal Verme allora al servizio dei Visconti, che riuscì effettivamente a bloccare il contingente di 100 balestrieri, che i Fieschi avevano arruolato e inviato in soccorso del vescovo.
Il conte di Savoia seppe approfittare della situazione: inviò, come mediatore tra le parti, Iblet de Challant, suo capitano del Piemonte, il quale convinse le autorità di Biella a consegnargli il F., impegnandosi a tenerlo come ostaggio nel castello di Montjovet. Nei primi mesi del 1378 un tentativo di fuga, compiuto dal F., venne bloccato. Ad ogni modo, il 25 aprile il F. raggiunse un accordo con il Comune di Biella, che fu sottoscritto nel castello di Verrès. In forza di tale accordo il F. sarebbe stato liberato, ma doveva impegnarsi ad abbandonare Biella; lo Challant sarebbe stato nominato rettore della città per dieci anni; erano fatti salvi, tuttavia, i diritti dei successori del F. nella Chiesa vercellese. Il 15 maggio l'accordo fu ratificato: il F., rimesso in libertà, preferì rifugiarsi nel suo castello di Masserano, dove, in un secondo tempo, dagli uomini di quella Comunità fu costretto a trattare rinunziando ai diritti sulle eredità ab intestato.
Uscito sconfitto dalla sua lotta per riaffermare l'autorità e i diritti feudali del vescovo di Vercelli sulla città stessa di Vercelli e su quella di Biella, il F., lasciata l'amministrazione della diocesi ad un suo rappresentante, si recò a Roma. Nel 1378, scomparso Gregorio XI ed asceso al soglio pontificio Urbano VI, il 18 settembre il F. fu creato dal nuovo papa presbitero cardinale del titolo di S. Marco. Le incombenze della nuova carica e gli eventi connessi con l'aprirsi dello scisma non gli impedirono di intervenire ancora nelle vicende della sua città, partecipando all'alleanza, conclusa il 24 sett. 1378, tra la sua famiglia ed il doge di Genova Niccolò Guarco, nemico di Bernabò Visconti. Alla testa della Chiesa di Vercelli, passata all'obbedienza avignonese, l'antipapa Clemente VII pose, nel giugno del 1379, un canonico di quella città, Giacomo Cavalli (giugno 1379).
Il F. morì in luogo non precisabile prima del dicembre del 1381.
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