BINASCHI, Giovanni Filippo
Nacque a Pavia alla fine del sec. XV. Discendeva da famiglia nobile e come tale fu posto nell'elenco dei decurioni di Pavia, approvati da Carlo V nel 1549. Mancano notizie attendibili sulla giovinezza, ma dal Theatro d'huomini letterati di Girolamo Ghilini sappiamo che fu fiero filoimperiale, tanto da essere fatto segno alle ostilità dei Francesi, dai quali fu catturato e tenuto a lungo prigioniero. Secondo alcune incerte testimonianze, cadde nelle rappresaglie dei Francesi a seguito di pungenti satire scritte contro di essi; altri suppongono che durante il sacco di Pavia ad opera del Lautrec nel 1527 fosse cacciato in prigione e riscattato infine per le sue ricchezze. Questi anni di carcere (che si conclusero solo nel 1529, quando Francesco II Sforza fece ritorno a Milano) furono fatali al B., che a seguito di una malattia agli occhi contratta in prigione divenne completamente cieco.
In una lettera dedicatoria ad Aureliano Beccaria, che si legge nella prima edizione delle Rime (Pavia 1544), il B. racconta come nel 1512 fu da Alessandro Beccaria, padre di Aureliano, "richiesto e amorevolmente raccolto, e dal Gentile suo fratello a far vita con esso loro". Sempre secondo la lettera dedicatoria furono questi personaggi che lo incoraggiarono a scrivere versi in lode di Alda Lunati, alla quale il poeta indirizzò non meno di trecento poesie tra sonetti e canzoni. A un'altra donna rivolse spesso le sue poesie il B., nel clima di forte incentivo poetico che era la Pavia cavalleresca e cortese della metà del Cinquecento: Ottavia Beccaria.
Vero è che entrambe le ispiratrici il poeta tenne ad accomunare in un verso pudico e che, riordinando da vecchio le sue rime d'amore, cercò di rappresentarle come il cammino necessario ed esemplare per un tardo misticismo. La carriera artistica del B. riflette in realtà due fasi distinte che lo scrittore tentò di far convogliare nella seconda edizione (Pavia 1589) delle sue Rime: la prima stagione poetica, protetta da un mecenatismo disinteressato e generoso, è quella che il poeta maturò nell'ambiente cortese degli Affidati, propenso a improvvisi e galanti slanci sentimentali e facilmente intonato a un sincero atteggiamento encomiastico, che trova nei nobili protettori l'oggetto più alto e più naturale di poesia; il secondo momento è caratteristico di una vecchiaia più vigile e pensosa: il poeta si preoccupa di lasciare una impronta della sua attività non affidata ai facili amori, ma a un prudente e sorvegliato moralismo che risente delle dolorose vicissitudini da lui provate.
Nella dedica della ristampa il B. poteva naturalmente ancora definire le sue poesie come nate in una casa, ove i "cavalieri che quivi si ridussero come in luogo particolarmente convenevole et atto a persone d'ogni dignità ornate" già le avevano apprezzate; ma questo clima di concordia e di fattiva collaborazione fra autore e destinatari si andava di fatto notevolmente limitando alla luce di queste asserzioni: "Se cieco a povertà son posto in seno / Ond' il mio stato altri schernendo ride... Di torto sì crudel poco mi curo / Perché mi veggio ognor morte presente / Per metter fine al mio tanto cordoglio".
Visse gli ultimi anni di vita nel sospetto che altri potessero appropriarsi delle sue rime, ancora attivo nel cantare matrimoni e celebrare pubbliche solennità, ma chiuso nella sua infermità e assillato da continue preoccupazioni religiose. Nel 1584 cantò il matrimonio di Carlo Emanuele di Savoia con Caterina Margherita d'Austria nel sonetto "La gemma d'Austria, honor de le Reine"; da questa data non si hanno più notizie dirette del B., che doveva tuttavia essere ancora vivo nel 1589 quando furono ristampate le Rime.
Seppure a un livello estetico che non supera nel complesso la mediocrità, il canzoniere del B. presenta un notevole interesse per i motivi che in esso confluiscono e per gli esiti che generalmente rispecchiano i programmi e le evoluzioni del secolo. L'attività del poeta si apre idealmente con un cospicuo nucleo di poesie in latino, su cui egli non insisterà, liquidando in breve ogni pretesa umanistica sulla base di una più reale e sofferta esperienza. La lirica in volgare è aperta alle più varie suggestioni di un petrarchismo manierato e superficiale, capace di sottolineare i termini di una vicenda sentimentale e anche di continuare la tradizione di una solenne e grandiosa eloquenza, come nel sonetto che mostra a Carlo V le miserie della città (che "nido di Regi fu"), sconvolta dalle guerre e dalle fazioni cittadine, o nell'altro dove dipinge a fosche tinte l'invasione dei Francesi.
Più interessanti sono le rime dell'ultimo periodo, improntate a un sentimento duro della vita che ricorda l'esperienza, per molti aspetti affine a quella del B., di Domenico Venier. Coincidono con queste ultime poesie le asserzioni più dolenti e risentite del B., anche se, come nel veneziano, trasferite su un piano di virile rassegnazione che trova infine nella religione il più sicuro e potente soccorso: "L'alma, Signor, che'l destinato giorno / Del partir nostro avvicinarsi intende / Da queste membra già congedo prende / Per seguir voi, e far con voi soggiorno".
Accompagnano queste poesie lettere di dedica o lunghe pagine esplicative, nelle quali il B. svolge i consueti temi del pentimento o dell'esaltazione mistica. Ma l'interesse di queste ultime produzioni deriva piuttosto da certe prosette edificanti, nelle quali il poeta trasporta i colori a un significato morale. E non si contenta delle trasposizioni più facili come per "il bianco", che "per molte auttorità de poeti... risplende del candore della fede", o per il "verde", che, "essendo colore simile alle herbe, dalle quali si sperano i frutti, significa speranza", ma si cimenta in altre e più peregrine definizioni in una gara tra il disperato ricordo di sfumature vive soltanto nella fantasia ("Il chiuchiolino, o vero zizzolino... partecipa de tutti i gialli, et in parte del rosso et sente del verde, le quali misture fanno significati contrari et confusi; perciò dimostra contrarietà et confusione") e una sensibilità volta a tentare le più riposte e imperscrutabili pieghe dell'animo ("Il pagliato è il colore della paglia; dunque, non essendo altro la paglia che pianta priva di grano, il suo colore dimostra privatione, et essendo ella nella privatione del grano dalle percosse fracassate et rotta, dimostra tormento").
Non si può non pensare ai primordi della letteratura barocca leggendo le conclusioni di questo modesto scrittore che rivive, in una società volta a una molle auscultazione morale, gli ultimi slanci della civiltà rinascimentale.
Bibl.: G. Ghilini,Theatro d'huomini letterati,II, Venezia 1647, p. 79; F. Argelati,Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, Mediolani 1745, p. 168; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 1234; A. Spinelli, Di G. F. B. e di Ottavia Bajarda Beccaria (nozze Mazzacorati-Talon), Milano 1884 (vedi Arch. stor. ital., XV[1885], p. 194).