ACHILLINI, Giovanni Filoteo
Nacque in Bologna nel 1466 e vi morì il 13 ag. 1538. Fu fratello minore di Alessandro, per il quale nutrì affetto e ammirazione: ne pianse la prematura morte in versi con accenti commoventi. Fu padre di sei figli da uno dei quali, Clearco, doveva nascere Claudio.
Nel 1511 fondò in Bologna un'Accademia intitolata "del Viridario", che aveva per impresa una pianta d'alloro col motto "E spe in spem". Si tratterebbe di una delle più antiche accademie bolognesi, ma del suo carattere, della sua attività, non ci rimane nessun'altra notizia.
Varie città italiane, fra cui principalmente Milano, Urbino e soprattutto Roma, furono mete di suoi frequenti viaggi e soggiorni che gli diedero modo di stringere amicizia con principi e letterati. Bologna, tuttavia, rimase sempre il centro della sua vita. Vi rivestì numerose cariche pubbliche: appare eletto più volte fra gli Anziani (1513, 1516, 1522, 1524, 1537) e una volta fra i Gonfalonieri del popolo (1527).
Presso i suoi concittadini godette di una notevole fama, non solo come poeta e letterato, e come musico valente, ma anche come ricercatore e raccoglitore di monete e marmi antichi; della sua ricca collezione ci sono giunte ammirate, ma sempre generiche, testimonianze di contemporanei, tra cui quella di Leandro Alberti. Fu anche infaticabile studioso degli autori latini e non trascurò neppure la conoscenza delle lettere greche, pur rimanendo fondamentalmente estraneo al fervore di pensiero e di studi che rinnovava le basi della nostra cultura.
Nella sua giovinezza compose delle rime amorose, che ora più non possediamo, ma di cui altre sue opere riproducono in forma di citazione numerosi versi isolati. Promosse, dopo la morte di Serafino Ciminelli da L'Aquila (1500), una raccolta di versi in sua lode e compianto, le Collettanee Grece Latine e Vulgari per diversi Auctori Moderni nella Morte de l'ardente Seraphino Aquilano (Bologna, C. Bazaleri, 1504), che, non più ristampate, costituiscono la prima raccolta del genere: vi incluse anche nove sonetti suoi.
Nel medesimo 1504 pose termine al suo primo poema, il Viridario,che fece tuttavia pubblicare, per Girolamo di Plato in Bologna, solo nel 1513. Anche di questa stampa non rimangono che pochissimi esemplari, uno dei quali, posseduto dalla Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, reca molte correzioni autografe.
È un poema di genere classico-cavalleresco e narra, in disarmoniche ottave, le avventure di Minosse e dei suoi figli,presentati alla maniera della tradizione romanzesca. Alcune delle vicende sono di pura invenzione dell'autore, altre son tolte di peso dai testi classici; troppo spesso la narrazione poetica è inframezzata da lunghe digressioni in cui l'A. sfoggia la sua varia erudizione dissertando di filosofia, magia, ecc. Componimento privo di ogni valore poetico, il Viridario ha richiamato però la considerazione degli studiosi per un prezioso quadro dell'ambiente culturale ed artistico bolognese dell'epoca, contenuto alla fine dell'opera insieme con una specie di rapida rassegna dei nomi allora più noti del mondo letterario italiano.
Al Viridario seguì un più impegnativo e poderoso poema in terzine, Il Fidele,di ben 15.238 versi, divisi in cinque libri di venti canti ciascuno. Pubblicato dal medesimo editore del Viridario nel 1523, non ne sono rimasti esemplari a stampa, ma solo il codice autografo che si conserva nella Biblioteca universitaria di Bologna.
Ciò spiega la quasi completa dimenticanza in cui è sempre rimasto Il Fidele,componimento invece non immeritevole di una certa considerazione se non per i pregi poetici, che ne sono del tutto assenti, per la multiforme erudizione, che ne costituisce il contenuto, quasi una enciclopedia dello scibile del tempo.
Si tratta di un pesante poema didascalico d'imitazione dantesca, in cui l'autore immagina di avere delle visioni, in ciascuna delle quali si trova in compagnia di Dante, Petrarca, Guido Guinizelli e di una bellissima fanciulla, la Fede. Costei, per ordine divino, lo istruisce in teologia, filosofia e in ogni genere di scienze, rifacendosi per ogni argomento all'autorità delle più varie fonti antiche e moderne. Vi si trova, fra l'altro, un'accusa di plagio rivolta a Dante, che avrebbe attinto liberamente nella composizione del Convivio ad un'opera del Guinizelli, il Consesso,di cui l'A. affermava di possedere il manoscritto autografo.
Le numerose voci bolognesi usate dal poeta nel Fidele suscitarono contro di lui vivaci polemiche da parte dei difensori del toscano. Egli si difese pubblicando nel 1536 le Annotazioni della volgar lingua (Bologna, per V. Bonardo da Parma e Marcantonio da Carpi) in cui, inserendosi nell'allora dibattuta questione della lingua, proclama i diritti del bolognese a costituire il vero nucleo dell'idioma letterario italiano.
Dell'A. rimane pure, nella Biblioteca Marciana di Venezia (Misc. 6521.5), un breve opuscolo privo della data e del luogo di pubblicazione e costituito da due Epistole in prosa dedicate al magnificentissimo Missere Antonio Rudolpho Germanico,nelle quali viene canzonato un tale Ombrone di Fossombrone.
In una miscellanea di scritti di vari autori dal titolo: Stantie nove de miser Antonio / Thibaldeo: d'un vecchio quale non aman / do in gioventù: fu constretto amare in vec / chiezza a altre Stantie singularissime in / dialogo: con una fabula di Narciso de / Giovanne Mozarello da Mantoa (Venezia, N. Zoppino, 1518;Venezia 1520 e 1522; Milano, Giovanni e Iacopo da Legnano, 1519) si trovano infine, sotto il nome dell'A., delle Stanze,breve poemetto in cui si discute sull'amore. Ma in due codici marciani, il Farsettiano It.cl. XI, 17 (7223), datato 1509, e il Contariniano Lat.cl. XIV, 249 (4684), pure del sec. XVI, lo stesso componimento è attribuito ad un altro poeta bolognese contemporaneo dell'A., G. A. Garisendi, e questa paternità vi è confermata da una lettera in cui il Garisendi dedica come sua l'operetta a Lucrezia d'Este Bentivoglio.
Bibl.: Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 74, Busta VII, n. 11, S. Marcheselli, Contezza del Viridario di G. F. A.;L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, Venezia 1568, cc. 335r; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, I, Bologna 1781, pp. 63-64; L. Frati, Di un poema poco noto di G. F. A., in Giorn. stor. d. letter. ital., XI (1888), pp. 383-404; C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a Dante Alighieri, IV, Roma 1893, pp. 476-604; C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Milano 1908, pp. 112-114; A. D'Ancona, Del secentismo nella poesia cortigiana del sec. XV, in Pagine sparse di letteratura e di storia, Firenze 1914, pp. 67-75; L. Frati, Dante accusato di plagio, in Nuova Antologia, s. 7, CCXLVIII (1926), pp. 357-359; C. Calcaterra, Alma Mater Studiorum..., Bologna 1948, pp. 197-198; I. Schlosser-Magnino, La letteratura artistica, Firenze 1956, p. 579; T. Basini, Spigolature e dipanature intorno alle opere di G. F. A., in Paideia, XI (1956), pp. 254-262.