FONTANA (de Fontana, de la Fontana), Giovanni (Antonio, Jacopo)
Nacque a Venezia da Michele, probabilmente nell'ultimo decennio del sec. XIV: alcuni indicano nel 1390 l'anno della nascita, in base alla considerazione che ricevette la licenza e il dottorato nelle arti all'università di Padova nel 1418.
Del suo cognome si propongono interpretazioni diverse; comunque sembra dubbio che il cognome Fontana derivasse, come vuole il Prager, da una fontana che egli avrebbe ideato. Infatti il passo del suo Bellicorum instrumentorum liber (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, cod. Icon. 242, f. 62v), su cui tale ipotesi si fonda, può essere interpretato anche nel senso che Fontana fosse il luogo di origine della sua famiglia.
Pochissimo si conosce della sua infanzia e della sua adolescenza. Probabilmente trascorse la giovinezza a Venezia o nei dintorni, se poté ricordare molti anni dopo, nel Liber de omnibus rebus naturalibus, la grande paura che investì la città in seguito a una terribile tempesta, quasi certamente da identificare con il grande vento del 1410. Dai documenti dell'università di Padova si può ricavare una serie di dati relativi ai suoi studi. Il 26 maggio 1417, già designato come "maestro", fu testimone a un esame multiplo (Acta graduum academicorum gymnasii Patavini, a cura di C. Zonta - G. Brotto, I, Padova 1970., p. 168 n. 418). Il 18 giugno 1418 al palazzo episcopale, e il 19 dello stesso mese nella cattedrale, il F. sostenne rispettivamente l'esame per la licenza e la pubblica conferenza per il dottorato nelle arti (ibid., pp. 185 s. nn. 71 s.).
Furono suoi promotori Antonio Cermisone, Bartolomeo da Montagnana, Galeazzo di Santa Sofia, Stefano de' Dottori e, per il solo dottorato, l'agostiniano Paolo da Venezia. In documenti che vanno dal 7 luglio 1418 al 6 apr. 1419 il F. appare quale "rettore" delle arti. Il 17 maggio 1421 ricevette il suo grado medico, figurando nei documenti come "magister Iohannes Fontana de Venetiis artium doctor" (ibid., p. 207 n. 554). Oltre ai professori ricordati come suoi promotori, furono suoi maestri Biagio da Parma e Prosdocimo de Beldomandi, come lui stesso ricorda nel Liber de omnibus rebus naturalibus.
Tra il 1419 e il 1440 il F. dovette sviluppare la sua attività vera e propria di medico (poco dopo il 1438 fu assunto come medico condotto a Udine) che, secondo i suoi stessi accenni nel De trigono balistario, lo assorbì a tal punto da impedirgli di portare avanti gli studi preferiti di meccanica e tecnica, ostacolati del resto dalla mancanza sul posto di biblioteche. Ciononostante il F. non mancò di sfruttare la sua condizione, in particolare il fatto di trovarsi in montagna, per sperimentare misurazioni trigonometriche con uno strumento di sua ideazione, che egli descrisse in un grosso trattato, andato a quanto sembra perduto, e nel compendio De trigono balistario. Non si sa per quanto tempo egli abbia svolto il suo incanco, ma è certo fosse a Udine ancora nel 1440, quando ultimò quest'opera.
Dalla frequenza delle citazioni di autori antichi e moderni nelle sue opere si può arguire che avesse raccolto una buona collezione di manoscritti. Due di questi sono stati identificati con quelli di Parigi, Bibl. nationale, Fonds Lat. 9335, raccolta di traduzioni di Gerardo da Cremona, e di Oxford, Bodleian Library, Digby 47, contenente un collage di testi astrologici.
All'ultimo periodo della vita del F. risale la stesura del Liber de omnibus rebus naturalibus, sicuramente redatto dopo il De trigono balistario del 1440. È probabile che la data di composizione debba essere posta fra il giubileo del 1450, menzionato dal F., e il 1454. Da accenni contenuti nel testo risulta che il F., in data imprecisata, si recò a Roma e a Creta, e non è da escludere che, almeno in parte, l'opera sia stata scritta proprio a Creta.
Il F. ebbe per lo meno un figlio, di nome Ottaviano, se si interpretano alla lettera le parole con cui a lui si rivolge all'inizio di alcuni capitoli.
Non si conoscono il luogo e la data della morte del F. che è comunque da porre non molto dopo il 1454.
La principale fonte per la figura del F. (costituita dalle sue opere che delineano una personalità geniale e creativa, versata nei più svariati campi dello scibile: dalla medicina alla filosofia, dall'astrologia e astronomia alla meccanica e alla tecnica. Con l'eccezione del Liber de omnibus rebus naturalibus, pubblicato circa un secolo dopo la stesura, i suoi scritti sono rimasti inediti, in codici dislocati in varie biblioteche europee, dai quali si possono desumere i titoli di altre non conservate. Una serie di lavori variamente attribuiti al F. presenta ancora seri dubbi riguardo all'autenticità.
L'interesse dei F. fu inizialmente rivolto alla fabbricazione degli orologi, come testimoniano i due scritti conservati nel codice 2705 della Biblioteca universitaria di Bologna, probabilmente opera di un copista che aveva poca dimestichezza con la terminologia tecnica specifica. Il primo è un'operetta dal titolo Nova compositió horologii (ff. 1r-5 iv) dedicata all'amico "Ludovicus Venetus", che fu finita di comporre a Padova nel 1418 "cum studuit in artibus et medicina". Secondo il Clagett, questa sarebbe la prima opera del F., e in essa già si manifesta l'intenzione di scrivere altri trattati come un Liber de ponderibus, un'opera su macchine militari e di altro genere e una, forse, sull'aspetto estetico delle macchine stesse.
Il secondo scritto intitolato Horologium aqueum (ff. 53r-75v) è indirizzato a un certo "Polixeus" e affronta lo stesso argomento del precedente. Secondo la congettura del Battisti essa sarebbe da ascrivere al 1417 e da considerare pertanto la prima opera del F.; il Clagett, tuttavia, riporta un passo (f. 63v) in cui la Nova compositio horologii viene menzionata come già composta. L'autore dell'Horologium aqueum è indicato come "celeberrimus artiuni et medicinae doctor magister Iacobus Foritana de Venetiis" e annuncia l'intento di scrivere un De ponderibus (f. 66r), un Tractatus diversorurh modorum horologù mixti (f. 63v), un De motibus aquarum e un Tractatus de rotalegis omnium generum (f. 71v), che avrebbe dovuto essere dedicato all'uso delle ruote negli orologi, o più in generale, alle ruote e al moto continuo o perpetuo. L'intento della prima operetta (corredata di buone illustrazioni) è quello di abbinare l'orologio a clessidra a quello a ingranaggi per ottenere un movimento dolce e costante, primo passo verso la realizzazione di una ruota a moto perpetuo. Nel secondo trattatello il discorso si concentra sulla descrizione dell'orologio ad acqua e sul suo funzionamento, e si prospetta un piano di opere da scrivere su vari altri tipi di strumenti per la misura del tempo che prende spunto dai moti dei quattro elementi.
Nello stesso codice bolognese è contenuto (ff. 85r-105v) un terzo scritto, dal titolo Tractatus (Metrologum) de pisce, cane et volucre, pubblicato in parte dal Thorridike (1934, IV, pp. 665 s.), che lo attribuisce esplicitamente al periodo della giovinezza del Fontana. E lo ritiene di poco posteriore ai due precedenti, ricordati peraltro ai ff. 85v-86r. In esso, associando illusione magica a sperimentazione meccanica, si descrivono metodi per l'esatta misura insieme dei tempo e del moto nello spazio. L'interesse dell'autore va qui alla ideazione di orologi non solo ad acqua e a terra, ma ad aria e a fuoco, misurando il tempo della consumazione di una candela o il bruciare dell'olio in una lampada. Vi si avanza anche l'idea che si possano creare orologi meccanici capaci di misurare brevi intervalli di tempo attraverso il movimento di ruote in grado di compiere l'intero giro in diversi intervalli di tempo: un'ora, un minuto, un secondo. Tali strumenti dovevano anche servire a misurare sia le altezze sia le profondità sconosciute con espedienti come il lancio di sassi da torri di altezza nota o il far affiorare in superficie oggetti da profondità marine conosciute. Alla descrizione di questi esperimenti si affianca la discussione sulla possibilità di imprese narrate nelle antiche storie di Alessandro o di altri uomini che riuscirono a volare o a scendere negli abissi marini.
Tali invenzioni e misurazioni erano sovente accompagnate da proposte di illusionismo magico: il F. costruì infatti figure diaboliche che, riempite di sostanze chimiche tali da provocame il movimento sott'acqua e l'emissione di raggi, terrorizzarono, come egli narra, un frate troppo curioso. A Padova afferma di aver composto anche altri ingannevoli artifizi che avrebbero indotto uomini anche dotti e sagaci ad affermare che egli aveva chiamato a raccolta dall'inferno spiriti demoniaci con arti negromantiche, con l'esorcismo e altre scienze occulte. Nel Tractatus de pisce sono anche ricordati i primi trattati sull'orologeria ed è altresì utilizzata la teoria dell'impetus (ff. 92r-95v). Vi si manifesta un interesse del F. verso l'arte militare che troverà piena espressione nel Bellicorum instrumentorum liber cum figuris et fictitiis literis conscriptus, conservato cifrato nel cod. Icon. 2112 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, ff. 1r-70r, accompagnato tuttavia da rubriche e note introduttive in normale scrittura. L'opera non reca alcuna indicazione sulla data di composizione, ma gli studiosi sono concordi nel ritenerla posteriore ai tre scritti del codice bolognese. Essa presuppone tutti gli scritti a noi noti, anche se perduti, a eccezione del De ponderibus. Alcuni riferimenti a Padova e a Venezia fanno pensare a un'elaborazione avvenuta nel periodo degli studi universitari. Lo scritto si presenta come un taccuino che descrive una grande quantità di strumenti e macchine, con illustrazioni e brevi spiegazioni, e va ben al di là dell'argomento indicato nel titolo, aggiunto da un tardo possessore (Battisti - Saccaro Battisti). La sua stesura si può situare fra il 1420 e il 1440 e si basa su un materiale scritto e raffigurato in precedenza. È dedicato a un personaggio di cui non si fa il nome, ma che doveva essere collocato piuttosto in alto nella gerarchia sociale, come dimostra l'accuratezza con cui il volume è eseguito, la costosa pergamena, l'abbondanza e bellezza dei disegni.
Nel Bellicorum instrumentorum liber il F. disegna e descrive tutta una serie di macchine, in gran parte belliche, come la bellissima torre mobile con ariete protetto da tettoia con cui il libro si apre; ma anche congegni per misurare grandezze, per costruire fontane, stratagemmi per ingannare i sensi come il castello degli inganni, il labirinto quadrato, espedienti per creare effetti teatrali come la mitra e il bastone pastorale risplendenti e il candeliere magico; offre altresì esempi di medicina magica; illustra progetti di strumenti musicali come l'organo meccanico, giocattoli ("puerilia") e, ancora, maschere, chiavi, grimaldelli, navi da guerra, specchi doppi, stufe, serrature, strumenti chirurgici, percorsi per funamboli. Un posto importante occupa nel codice la parte dedicata a progetti idraulici sia per il numero sia per le fonti citate. Si tratta di progetti di fontane pubbliche, sistemi chiusi di distribuzione dell'acqua, esperimenti con sifoni, alambicchi doppi per lavorazioni alchemiche, vasi per due o più liquidi. Si è giustamente osservato che l'atteggiamento che caratterizza il F. in questa parte non è tanto quello del tecnico pratico, quanto quello dello scienziato che mira a ideare apparati di precisione, sfruttando tutta una serie di fonti che il Battisti ha scrupolosamente individuato e che vanno dai matematici e naturalisti antichi, come Archimede, Erone, Filone, ad autori come Ovidio e Plinio il Vecchio, agli scrittori arabi - in primo luogo Al-Kindi ad artisti e artigiani contemporanei.
Intorno agli anni dei suoi incontri con il Carmagnola (1428-1432 c.) può collocarsi anche la stesura del Secretum de thesauro experimentorum ymaginationis hominum, scritto quasi totalmente, salvo i titoli dei capitoletti, in cifra, versione ridotta di un originale non pervenuto. Il F. affronta qui il tema dei diversi tipi di memoria e illustra le funzioni di quella artificiale; descrive, poi, in una parte che si può definire pratica, i luoghi e le immagini, e infine le varie tecniche mnemoniche. La memoria artificiale è posta dal F. sullo stesso piano di altri strumenti necessari e di uso comune come la scrittura, i librì, le summae; ad essa viene anzi attribuito un ruolo nello sviluppo stesso dell'acume e dell'ingegno. Tale memoria riprende le leggi di quella naturale, debole e dipendente dalle condizioni di natura psicologica e organica del corpo umano, giusta l'insegnamento di Aristotele e dei medici, e aggiunge la possibilità di produrre un mondo di rappresentazioni che possono essere manipolate e combinate secondo la volontà e gli scopi conoscitivi dell'individuo. In questa parte l'autore propone una serie di congegni e macchine per la memoria costituiti da una struttura fissa (ruote, spirali, cilindri) e da una parte mobile e variabile che permette di mutare le combinazioni di segni all'interno del sistema. L'opera offre inoltre un gran numero di stratagemmi mnemonici e un ricco repertorio iconografico nonché una raccolta di oggetti di cultura materiale: il tutto scritto in cifra, secondo un alfabeto segreto stabilito in base a una concezione simbolica dei segni e dei loro sistemi, e volto pertanto a costituire più un meccanismo di significazione che di occultamento del significato (Saccaro Battisti).
Il De trigono balistario, dedicato a Domenico Bragadin, successore di Paolo da Pergola alla pubblica lettura di matematica e maestro di Luca Pacioli, si legge nel manoscritto di Oxford, Bodleian Library, Canon. Misc. 47. La sottoscrizione reca la data e il luogo del suo completamento, avvenuto l'ultimo giorno di febbraio del 1440 a Udine, dove il F. era "physicuin medicum eodem in loco salariatuin". Nell'opera parzialmente pubblicata dal Clagett nel suo Archimedes in the Middle Ages (pp. 270-294) viene descritto, sia dal punto di vista della carpenteria sia da quello del modo dell'uso, il sestante, uno strumento di misurazione trigonometrica, ideato e messo a punto dal F. per effettuare una misurazione ottica trascrivendo graficamente i dati cartografici e prospettici su una tavoletta. Voleva questo essere il suo contributo all'avvio di una cosmografia più attendibile, basata su misurazioni più precise, per correggere longitudini e latitudini sbagliate.
Delle opere manoscritte del F. a noi pervenute debbono essere ancora ricordate le Note al Liber de speculis comburentibus, di Alhazen contenute nel manoscritto di Parigi, Bibl. nationale, Fonds Lat. 9335, f. 134r, apposte al passo dove si tratta della "sectio mukesi", ovvero della sezione parabolica.
Il Liber de omnibus rebus naturalibus quae continentur in mundo, videlicet coelestibus et terrestribus nee non mathematicis et de angelis motoribus quae [sic] coelorum fu pubblicato a Venezia "apud Octavianum Scotum D. Amadei" nel 1544 a nome di Pompilio Azali, che dedicò l'opera a Carlo V. Di essa non sono noti manoscritti, ma l'identificazione del suo autore è stata definitivamente effettuata dal Thorndike che per primo la segnalò. La sua data di composizione è posta dal Birkenmajer nel 1454, uno degli ultimi anni della vita del F., e per il suo carattere rappresenta quasi la summa del vasto ed enciclopedico sapere filosofico e scientifico dell'autore. In cinque grandi sezioni tematiche ("portiones") si tratta "quasi de omnibus quae sunt in mundo", dalle cose invisibili con le questioni teologiche e filosofiche connesse a quelle sensibili, a cominciare dalle orbite dei pianeti e delle stelle con i loro moti e proprietà, ai quattro elementi che formano gli oggetti dell'esperienza, alle varie regioni della terra con tutto ciò che in esse è possibile trovare come animali, piante, minerali. Interessante è, in apertura dell'opera, la confutazione della tesi dell'eternità del mondo che il F. attribuisce senz'altro ad Aristotele, dicendosi disposto ad andare contro la sua autorità quando questa si rivela in contrasto con la fede. In particolare precisa come l'influenza celeste non sia da considerare necessitante nei confronti della volontà umana, che resta quindi in qualche modo libera. La descrizione della costituzione dell'universo nelle sue varie parti consente al F. di esporre poi le sue vastissime conoscenze in fatto di astronomia e di geografia.
Di particolare importanza sono state considerate le sue congetture geografiche, non tanto per quel che concerne due riferimenti, interpretati, sembra erroneamente, come allusioni all'America, ma per le sue idee sulle terre che circondano l'Oceano Indiano e per la sua convinzione, ricavata da racconti di viaggiatori in terre lontane che oltre il circolo equinoziale, verso il Sud, vi fossero terre abitate.
Sempre tra le opere del F. occorre ancora ricordare uno scritto di medicina a lui attribuito in un manoscritto della biblioteca di Baldassarre Boncompagni Ludovisi (ora dispersa; v. E. Narducci, Catalogo dei manoscritti ora posseduti da B. Boncompagni, Roma 1892, p. 64) che, secondo il Clagett, potrebbe essere una parte del De speculo medicinali, il quale deve essere ritenuto perduto, alla stessa maniera di numerosi altri scritti citati dal F. nelle sue opere: Liber de ponderibus, Libellus de aque ductibus, De laberintis libellus, Artis pictoriae canones ad Iacobum Bellinum, De spera solida, Tractatus maior de trigono balistario, De rotalegis omnium generum, Tractatus diversorum modorum horologii mixti. E, infine, dubbia l'attribuzione al F. del Protheus oltre che del De speculo mukesi.
Bibl.: Per una rassegna bibliografica pressoché completa si rinvia a E. Battisti - G. Saccaro Battisti, Le macchine cifrate di G. F., Milano 1984. Quindi si veda: I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, I, Patavii 1757, p. 78; M. Jaehns, Geschichte der Kriegswissenschaften, I, München-Leipzig 1889, pp. 276 s.; S.J. von Romocki, Geschichte der Explosivstoffe, I, Berlin 1895, pp. 231-240; A.A. Björnbo, in Abhandlungen zur Geschichte der mathem. Wissenschaften, XIV (1902), p. 137; Id., Hermannus Dalmata als übersetzer astronomischer Arbeiten, in Bibliotheca mathematica, IV (1903), pp. 130-133; C. Huelsen, Der "Liber instrumentorum" des G. F., in Fesigabe Hugo Blümner, Zürich 1914, pp. 507-515; H. Omont, Un traité de physique et d'alchimie du XVe, siècle en écriture cryptographique, in Bibliotèque de l'Ecole des chartes, LVIII (1897), pp. 253-258; Id., Nouvelles acquisitions du Département des manuscrits de la Bibliothèque nationale pendant les années 1896-97, ibid., LIX (1898), p. 92; G. Sarton, G. de' F., in Isis, VII (1925), p. 105; L. Thorndike, Vatican latin manuscripts in the history of scienee and medicine, ibid., XIII (1929-30), pp. 93, 103; Id., Answer 3.2. - G. F., ibid., XIV (1930), pp. 221 s.; Id., An unidentified work by G. F.: "Liber de omnibus rebus naturalibus", ibid., XV (1931), pp. 3146; F.M. Feldhaus, Die Technik der Antike und des Mittelalters, Postdam 1931, pp. 347 s.; A. Birkenmajer, Zur Lebensgeschichte und wissenschafilichen Tatigkeit von G. F. (1395?-1455?), ibid., XVII (1932), pp. 34-53; L. Thomdike, G. da F. again, in Isis, XX (1934), pp. 335 s.; Id., History of magic and experimental science, New York 1934, IV, pp. 150-182, 390, 614, 665 s.; V, pp. 4, 34, 580, 588, 595, 597; L. White, Medieval technology and social change, Oxford 1962, p. 98; G. Caraci, La "Vinland Map", in Studi medievali, s. 3, VII (1966), p. 541 n. 47; E. Grant, Henricus Aristippus, William of Moerbeke and two alleged mediaeval translations of Hero's Pneumatica, in Speculu., XIVI (1971), pp. 668 s.; F.D. Prager, F. on Fountains Venetian hydraulics of 1418, in Physis, XIII (1971), pp. 341-360; M. Clagett, The life and works of G. F., in Annali dell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, I (1976), pp. 5-28; Id., Archimedes in the Middle Ages, III, 2, Philadelphia 1978, pp. 239-294; E. Battisti, L'Antirinascimento, Torino 1989, ad Ind.