FORTEGUERRI, Giovanni
Nacque a Pistoia nel 1508 da Desiderio di Giovanni e da Cassandra di Possente Brunozzi. Apparteneva a una delle più prestigiose famiglie della città, la cui presenza nel governo pistoiese è documentata fin dal sec. XI.
La vita della città era ancora, dopo quasi due secoli di dominazione fiorentina, agitata da sanguinose lotte tra le due fazioni rivali dei Cancellieri e dei Panciatichi.
I Forteguerri erano stati sempre sostenitori leali della fazione panciatica, filomedicea, e anche il F. seguì fedelmente la tradizione familiare. Il padre del F. Desiderio (morto nel 1528), mercante e banchiere, fu priore di Pistoia nel 1510.
Nel 1522 il F. si trasferì a Pisa per frequentare l'università. Laureatosi in diritto civile, tornò a Pistoia e decise di dedicarsi alla professione notarile. Il 14 marzo 1528 fu creato notaio da Girolamo Panciatichi, canonico pistoiese e conte palatino. La sua carriera di notaio iniziò pochi giorni dopo, il 16 marzo, con una serie di atti rogati a Larciano, Lamporecchio e altri piccoli paesi nei dintorni di Pistoia; dopo di allora i suoi rogiti si susseguirono a ritmo serrato, tanto che ci rimangono del F. ben ventuno protocolli notarili, dai quali è possibile indirettamente seguire tutti i fatti salienti della sua vita.
Nel 1530, da febbraio a ottobre, egli prestò servizio a San Marcello Pistoiese e Cutigliano, in qualità di notaio addetto alla curia del capitano della Montagna di Pistoia, uno dei tanti giusdicenti del Dominio fiorentino. Questa circostanza costituisce prova irrefutabile del fatto che proprio a lui debba essere attribuita la paternità del Ragguaglio sopra gli avvenimenti di Pistoia, nonostante la quasi assoluta mancanza di dati autobiografici riscontrabile in questo scritto.
Narrando infatti gli avvenimenti del 1530 immediatamente precedenti la rotta di Francesco Ferrucci a Gavinana, egli dice che mentre l'esercito ferrucciano era in movimento verso la montagna pistoiese per andare a soccorrere Firenze assediata, se ne distaccarono "dua da Lizzano… e fecero el tutto noto a me che ero col capitano a San Marcello". Travisando il vero significato della frase, il Lupo Gentile (p. 19) ne ha dedotto che l'autore del "ragguaglio" fosse un uomo d'armi in servizio nell'esercito imperiale, comandato da Filippo d'Orange. Avvertito dai due transfughi sui movimenti del Ferrucci, il F. inviò messaggeri a Pistoia, ove si trovavano i due colonnelli dell'esercito imperiale, Alessandro Vitelli e Fabrizio Maramaldo, i quali poterono così fermarne l'avanzata verso Firenze.
Dopo il periodo trascorso nella Montagna, il F. sembra non essersi più allontanato dalla città, come testimoniano i suoi atti successivi, rogati preferibilmente nella sua abitazione, situata in cappella S. Matteo, proprio di fronte al palazzo Panciatichi, o nel suo studio professionale, ubicato poco lontano, in cappella S. Giovanni in Corte. Da essi si ricava che il F. si era specializzato soprattutto nell'attività di procuratore di cause civili, agitate nella curia del giusdicente fiorentino a Pistoia o davanti ai Priori della città, che fungevano talvolta da corte di appello per le cause civili, nonché presso il tribunale vescovile. Tra i suoi clienti figurano le maggiori famiglie cittadine di parte panciatica nonché alcuni dei principali enti religiosi e assistenziali della città.
Nel 1537 ebbe occasione di prestare ancora importanti servigi alla sua fazione: essendosi recati due esponenti di essa, Niccolò Bracciolini e Filippo Cellesi, a Venezia per incontrarvi Filippo Strozzi e Bartolomeo Valori, i due capi del fuoruscitismo antimediceo, il duca Cosimo I de' Medici ne trasse motivo di dubitare della fedeltà dei due pistoiesi, tanto che intimò loro, al ritorno, di presentarsi alla sua corte. Essi, tuttavia, temendo per la loro sorte, non ubbidirono all'invito, sfidando l'ira del Medici. Fu il F., da profondo conoscitore della situazione pistoiese e della logica che determinava di volta in volta le alleanze e le scelte politiche delle due fazioni, a dissipare tali sospetti reciproci: ottenuta udienza dal duca, egli riuscì a convincerlo dell'impossibilità per i due pistoiesi di schierarsi a fianco del fuoruscitismo fiorentino, in cui militavano tutti i capi della fazione avversa, i quali, in caso di vittoria, non avrebbero esitato a far strage dei Panciatichi e dei loro seguaci. Inoltre, avendo tentato, lo Strozzi e il Valori, di attirare dalla loro il Bracciolini, con la promessa, in caso di vittoria della loro causa, di restituire l'indipendenza alla città e di premiare con importanti privilegi il partito panciatichiano, il F. consigliò quest'ultimo di non cedere alle lusinghe e di informare di tutto il duca Cosimo. Avendo seguito questo consiglio, il Bracciolini fu molto lodato dal duca.
Nel 1541 il F. fu eletto, sembra dietro personale interessamento del duca di Firenze, cancelliere della Comunità di Pistoia, incarico che tenne ininterrottamente fino al 1561. Questa carica, per cui erano sempre richiesti dottori in legge o notai, comportava il disbrigo di molte e variegate incombenze: la stesura dei documenti ufficiali del Comune, le operazioni preliminari al rinnovo delle cariche municipali, la revisione della gestione economica, la responsabilità nella conservazione degli atti. In questo ruolo il F. curò la nuova redazione degli Statuti di Pistoia, che fu poi stampata a Firenze nel 1546, preceduta da una lunga prefazione dedicatoria a Cosimo I de' Medici, composta da lui stesso.
Gli altri incarichi ricoperti nel governo pistoiese furono: quello di priore, nel 1534 e 1540; quello di gonfaloniere nel 1561, 1567, 1572 e 1578; quello di gabelliere nel periodo 1539-40. Nel 1537 era stato membro di una commissione di otto cittadini incaricati di sovrintendere alle fortificazioni della città; nel 1563 fu proconsole del Collegio dei notai di Pistoia; nel 1569, dopo che a Cosimo I era stato conferito il titolo di granduca, essendosi diffusa la notizia che si sarebbe recato a Pistoia in visita, il F. fu uno dei quattro ambasciatori eletti dalla Comunità per andare a riceverlo.
Attorno al 1549 scrisse il Ragguaglio sopra gli avvenimenti di Pistoia, che narra appunto le vicende della città nel periodo dal 1525 al 1549.
Il F. ne intraprese la redazione presumibilmente su commissione di Benedetto Varchi, ormai divenuto da alcuni anni lo storiografo ufficiale della corte medicea. Il Ragguaglio del F., conservato in un codice della Biblioteca nazionale di Firenze (classe XXV, cod. 570, pp. 73 ss., pubblicato integralmente da M. Lupo Gentile, pp. 72-90) insieme con altri appunti e relazioni del Varchi, fu infatti quasi interamente travasato nelle Istorie fiorentine, laddove esse trattano degli avvenimenti pistoiesi. Non si tenne conto invece della parte finale del Ragguaglio, per la quale il Varchi ebbe presente anche una relazione di parte cancelliera e dove il F. prendeva decisamente le difese dei Panciatichi.
In un periodo imprecisato, compreso tra il 1556 e il 1561, quando ancora rivestiva la carica di cancelliere di Pistoia, il F. compose anche una raccolta di undici novelle, dedicata al principe ereditario Francesco de' Medici.
Nonostante il lignaggio e una vita di intenso lavoro, le condizioni economiche del F. non sembrano essere state particolarmente floride: al momento di redigere il suo testamento, in data 11 luglio 1575, egli risulta proprietario soltanto della casa di abitazione in Pistoia e di alcuni pezzi di terra a Spazzavento, nelle campagne circostanti la città. I due poderi di cui disponeva, sempre nella medesima località, erano di proprietà di due enti religiosi cittadini da cui egli li aveva ricevuti in affitto perpetuo. Dal testamento si apprende che egli possedeva una ricca biblioteca, composta per lo più da libri legali, tanto stampati che manoscritti, di cui lasciò erede il nipote ex filia, Mario di Marcantonio Cellesi. Il F. infatti non aveva figli maschi; dei dodici figli avuti dalla prima moglie, Maria di ser Ambrogio Visconti (Bisconti), i quattro maschi erano morti in tenera età. Rimasto vedovo, passò a nuove nozze con una certa Elisabetta, vedova Melocchi, ma dal secondo matrimonio sembra che non sia nato alcun figlio.
Il F. morì a Pistoia nel 1582, e fu sepolto nella chiesa di S. Paolo.
Per la raccolta di novelle composta dal F. entro il 1561 (nella dedica a Francesco de' Medici si sottoscrive con il titolo di cancelliere deposto in quell'anno) e tramandataci senza un titolo specifico, dal manoscritto A 52, autografo, della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia è tuttora condivisibile nella sostanza il giudizio formulato più di mezzo secolo fa nella Novellistica da L. Di Francia, che additava le "visibili tracce di tutto il ciarpame di falsa morale, d'ipocrisia religiosa e di vera oscenità, che il novellatore vi ha gettato dentro" (p. 644).
Il libretto contiene undici novelle raccontate il 1° ag. 1556 in un occasionale convito nella villa del F. a cui partecipano cinque coppie di giovani innamorati pistoiesi. Il "Proemio", che svolge la funzione di cornice, contiene anche l'adulatorio omaggio del F. ai suoi signori: dopo il pranzo, notando che i giovani ospiti si danno a conversazioni di argomento amoroso poco convenienti, egli pensa di intrattenerli sul suo unico amore "il quale lo diletta sempre" (p. 6), vale a dire la devozione per i Medici di cui vengono celebrate glorie passate e presenti. Dopodiché, per dare sollievo alle donne comprensibilmente "sonnacchiose" causa l'eloquenza ampollosa dell'anfitrione, la brigata "festosamente cantando" (p. 12) si trasferisce in un ameno giardino dove si intrattiene fino alla fine della giornata ascoltando le novelle narrate a turno dai presenti, per ultimo l'autore.
Sebbene una precisa architettura non paia rintracciabile nella raccolta, elementi ricorrenti consentono di raggruppare alcune novelle. La I e la XI sono collegate da una più esplicita ricerca di sovrasensi, particolarmente marcata nell'XI, dove l'intreccio si assottiglia fino a esaurirsi in una disputa sul sacramento della confessione tra Senso di Bruto Animali, fattosi frate e caduto in peccato per colpa della sua antica natura, e due confratelli: l'unico spunto autenticamente novellistico, il peccato carnale di Senso, viene solo enunciato senza avere uno sviluppo narrativo. Senza dubbio le novelle più lubriche e inquietanti della raccolta sono la II e la III. Protagonista della II è Prospero de' Giovaatutti, marito dell'avida Inquieta Triboli che lo riduce in miseria e lo vessa con mille angherie. Ottenute tre grazie da Nettuno (è il tema del pesce o divinità marina riconoscente che ricorre nella favolistica cinque-secentesca da G.F. Straparola, Piacevoli notti, III, 1, a G.B. Basile, Pentamerone, IV, 3 e 8), Prospero cede la scelta delle prime due alla donna che ottiene di accrescere smisuratamente gli attributi sessuali suoi e del marito. Prospero, esasperato, la uccide e utilizzando la terza grazia diventa il sosia del duca di Chiavari. Con l'aiuto della duchessa, conquistata dalle sue eccezionali doti amatorie, elimina il vero duca e quindi la donna stessa, scomoda testimone dell'inganno, vivendosene con i figli del duca e con la propria madre, che era stata la paziente tessitrice di tutta la trama.
La novella III (ambientata nel favoloso ducato italico di Medilla) narra una intricata vicenda di congiure di palazzo a sfondo erotico di cui è protagonista la corrottissima figlia dell'arcivescovo di Foiano. Dalla ridda di adulteri e di assassini che si susseguono esce vincitrice Falconetta, diventata da ancella duchessa, che nel finale non si perita di impartire la seguente sconcertante morale: "ama Dio con tutto el tuo cuore, con tutta la tua mente et con tutta la forza tua.." (p. 103). Le tre novelle successive, trasferiscono la vena pornografica del F. nella dimensione più tradizionale, borghese e cittadina, della burla, sebbene solo nella V e nella VI sia presente, rispettivamente con un marito infedele e uno geloso raggirati dalle mogli, la figura topica del beffato. La IV si risolve infatti in un tour de force amatorio che coinvolge due donne malmaritate, i loro focosi amanti, il marito di una di loro e una serva, dove però l'intrico degli inganni e dei sotterfugi perde mordente per l'accondiscendenza del marito infedele. Appena poco più edificante la novella VII dove una Lauretta Fregosi si dà a un Allegro Forzuti e si fa sposare provando con un laido accorgimento di non essersi concessa a nessun altro.
La serie delle novelle VIII-IX, accomunate dall'avere come protagonisti dei religiosi, si apre con un prete lussurioso che, rovinato dalla sua amante e dal ganzo di lei, alla fine si redime e diventa sagace amministratore delle proprietà paterne. Le novelle IX e X, le più apprezzabili della raccolta, sono ambientate a Pistoia e vi figurano verosimilmente personaggi tratti dalla vita cittadina: storico è il fiorentino Pier Francesco Galliani vescovo della città dal 1546 al 1559. Protagonisti sono gli scanzonati preti Baroncino de' Baronci e Boldrino, oltre a una serie di altre figure minori. Dopo aver ordito varie beffe, il primo fa passare per spiritato un creditore e lo fa esorcizzare. Boldrino, posseduto dal demone del gioco, nonostante le ammonizioni del vescovo, non si corregge e viene colto più volte in flagrante finché nella messa di Natale dall'altare, col pensiero rivolto alla partita appena conclusa, invece di "ite missa est" dice ai fedeli "io ho primiera".
L'edizione integrale delle Novelle è a cura di V. Lami (Bologna 1882 e, in ed. anast., 1968). "Dedica", "Proemio" e le prime due novelle sono stampati in appendice al Catalogo dei novellieri italiani in prosa di G. Papanti (Livorno 1871); la IX è pubblicata in Novelle del Cinquecento, a cura di G.B. Salinari, II, Torino 1955, pp. 379-387.
Fonti e Bibl.: I protocolli notarili del F. si conservano nell'Archivio di Stato di Firenze: Notarile antecosimiano, 7705-7724 e Notarile moderno, 2891. Altre fonti inedite tratte dal medesimo archivio: Notarile antecosimiano, 7704 (Francesco Forteguerri), cc. 33, 55, 124, 148, 162, 171, 202, 263; 8252 (Giovanni Maria Franchini-Taviani), c. 257v; 8258 (Id.), cc. 162v, 231v; Notarile moderno, 2813 (Girolamo Celli), cc. 94-97; Mss. 260: P.L. Franchi, Famiglie di Pistoia, II, ad vocem. Si veda ancora: M. Salvi, Delle historie di Pistoia e fazioni d'Italia, Venezia 1662, pp. 155, 195, 198 s., 201, 205; V. Capponi, Bibliografia pistoiese, ibid. 1878, p. 187; G. Mazzatinti, Inv. dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, I, Firenze 1905, p. 245; M. Lupo Gentile, Intorno ad un ragguaglio di G. F., in Boll. stor. pistoiese, VII (1905), pp. 15-48. Per le novelle si veda: L. Di Francia, Novellistica, II, Milano 1924, pp. 643-648; M. Righetti, Per la storia della novella italiana al tempo della reazione cattolica, Torino 1926, pp. 141-147; G. Petrevi, Dalla Toscana a Venezia: l'itinerario della sposa cucita, in Miscell. di studi in on. di V. Branca, III, 2, Umanesimo e Rinascimento a Firenze e a Venezia, Firenze 1983, pp. 619-639.
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