BIANCHINI, Giovanni Fortunato
Nacque a Chieti il 27 dic. 1719. A Chieti e a Ortona a Mare fece i suoi primi studi; passò poi a Napoli, discepolo di Nicolò Cirillo; qui, "dopo aver passato quattro anni nell'esercizio della pratica - secondo il Cesarotti - diede per altri quattro lezioni di medicina teorica con molto applauso". Nel 1748 si trasferì a Venezia. Con l'esercizio della professione, ma ancor più con la polemica contro G. F. Pivati, svolta nel Saggio d'esperienze e in una Lettera intorno un nuovo fenomeno..., "si attrasse tosto l'osservazione e la stima dei filosofi e dei letterati"; la Lettera fuinserita nell'Histoirede l'Académie des Sciences. Nel 1750 il B. fu eletto protomedico di Udine, dove trascorse venticinque anni ed ebbe parte notevole nella fondazione della locale Accademia e della Società di agricoltura. Resasi vacante la cattedra di medicina pratica all'università di Padova, dopo la morte di Iacopo Scovolo, l'ottenne per voto del Senato veneto (1775). Morì a Padova il 2 sett. 1779.
Lodato dal Cesarotti per la varia erudizione e per la "politezza dello stile", il B. è scrittore limpido e dotato di precisione, soprattutto nella Lettera sull'elettricità atmosferica, che si può considerare un ottimo saggio di prosa scientifica settecentesca. Sottile sperimentatore e osservatore, non recò alcun contributo veramente originale alla medicina e all'elettrologia; i suoi scritti sono notevoli piuttosto come indicazione di un metodo, di un rigore sperimentale, volto a saggiare con scettico buon senso, a schernire e a sfatare - come ben dimostra il Saggio - terapie e ipotesi azzardate, prive di reale efficacia ma assai diffuse al suo tempo. Fu sostenitore dell'inoculazione del vaiolo, e descrisse i casi nei quali egli stesso l'aveva praticata.
Nel Saggio d'esperienze intorno la medicina elettrica fatte in Venezia da alcuni amatori di fisica al signor abate Nollet... descritte dal Dottor G. F. Bianchini (Venezia 1749) il B. rende conto degli esperimenti da lui condotti, su ispirazione dell'elettrologo francese Nollet, intorno alla cosiddetta "medicina elettrica".
Si trattava di una curiosa terapia, consistente nell'applicazione al paziente di un tubo di vetro elettrizzato nella macchina elettrostatica, e precedentemente "intonacato" all'interno, mediante un procedimento di fusione alla fiamma, con varie sostanze medicamentose adatte alle varie malattie. Questa "cura" era stata inventata e descritta dal naturalista dilettante veneto G. F. Pivati, in una Lettera intorno all'elettricità medica (Venezia 1747), e poi in altre Riflessioni fisiche sopra la medicina elettrica (ibid. 1749). Il Pivati aveva vantato un gran numero di strepitose guarigioni d'ogni sorta di malattie, mediante applicazioni di tubi elettrizzati contenenti varie sostanze ("diuretici, antipopletici, antisterici, sudoriferi..."). Esperimenti simili erano stati compiuti da altri medici, che ne avevano affermato gli esiti positivi, come il Veratti, il Mellarède, il Bianconi, e persino il Winkler a Lipsia; Scipione Maffei ne trattò in vari scritti. Di fronte a tali affermazioni il B. assunse - seguendo l'indicazione del Nollet - un atteggiamento diffidente; rifece gli esperimenti, servendosi come cavie di se stesso e dei naturalisti amici G. Ziborghi e F. Rigoni,constatò in un gran numero di casi l'inconsistenza delle vanterie del Pivati e degli altri elettroterapeuti. Alla base delle asserzioni di questi v'era l'ipotesi che "le particelle più sottili dei rimedi, benché chiusi nel tubo,passassero sempre attraverso del vetro, e giungessero a comunicarsi insieme con la corrente elettrica nel corpo umano" (p. XX). I controlli sperimentali del B. mirano anzitutto a distruggere tale congettura: in nessun caso - dimostra - gli è riuscito di ottenere che dai tubi "intonacati" soggetti a elettrizzazione emanassero odori d'alcun genere, pur usando, all'interno, sostanze fortemente odorose; a maggior ragione, risultati sempre negativi avevano dati tentativi di applicazione con mercurio e antimonio, con potenti veleni (oppio, sublimato corrosivo), con purghe. Numerosi esperimenti sono diretti a smentire una variante della terapia del Pivati, consistente nel far sì che il paziente - durante il contatto con la macchina elettrostatica - tenesse in mano le ampolle preparate nel solito modo. Le pagine dedicate dal B. alla descrizione degli esperimenti dimostrano lo scrupolo e l'esattezza dello sperimentatore, la sagacia con la quale seppe confutare in concreto una pratica medica àla mode.
La Lettera intorno un nuovo fenomeno elettrico all'Accademia Reale delle Scienze di Parigi, Venezia 1754 (datata Udine, 6 dic. 1753), fu indirizzata all'Académie des Sciences in segno di gratitudine per il "gentile accoglimento" che i suoi soci avevano riservato al precedente Saggio.
Essa va considerata nel contesto delle esperienze che il Dalibard e il Franklin avevano realizzato l'anno precedente (Marly, maggio 1752, e luglio successivo) per captare l'elettricità atmosferica con appositi conduttori, ponendo così le basi della scoperta del parafulmine; il B. allude infatti alle "nuove ricerche incominciate in Parigi sopra la fiamma elettrica facile a comparire sulle punte di alcuni ferri esposti all'aria, in faccia al turbine" (p. V). Il problema sperimentale è impostato dal B. in base all'osservazione di due vecchie armi, da tempo immemorabile utilizzate al castello di Duino, presso Monfalcone, per la previsione dei temporali, che "a guisa di due candele s'accendono ogni volta ne' tempi dirotti di Primavera e di State". Descrive accuratamente il fenomeno, riferisce circa i tempi e le condizioni atmosferiche in cui esse gettano scintille. Distingue sagacemente questo tipo di luminosità - riconoscendone la natura di fenomeno elettrico - da quello dovuto a fosforescenza, come il cosiddetto "fuoco di s. Elmo". Alludendo ai lavori recentissimi di Musschenbroek, Franklin, Nollet, asserisce che v'è "stretta lega fra la materia elettrica e quella del fulmine"; polemizza invece con la lettera del Maffei,Sulla formazione dei fulmini, del 1747 (mentre l'opera di G. B. Beccaria,Dell'elettricismo artificiale e naturale, Torino 1753, non è citata). Espone poi un esperimento di controllo escogitato da lui stesso, mediante l'installazione di altre tre punte di metalli diversi orientate verso i punti cardinali. Anche queste punte si comportavano da conduttori, in modo diverso a causa della diversità dei metalli, rivelando l'elettricità atmosferica; il B. precisa le condizioni metereologiche, i tempi di scintillazione, la varia intensità del fenomeno; propone, infine, un'applicazione pratica di questa proprietà dei metalli, ossia l'installazione di analoghe punte sugli alberi delle navi per la previsione delle tempeste. Non si avventura in una "spiegazione" del fenomeno, ma riecheggia cautamente il motto newtoniano, che riassume il suo credo sperimentale: "Nella ricerca delle cose naturali non bastano l'ipotesi: vi vogliono fatti chiari, e veduti ad occhio patente, non che confermati dalle tentate e ritenute esperienze". (p. XXXI).
Nelle Osservazioni intorno al fiume Timavo,scritte in una lettera al nobile ed erudito signore Guido Conte Cobenzi (pubblicate con lo scritto precedente) l'atteggiamento scettico del B. è rivolto a sfatare "le tante maraviglie di questo fiume" riferite, nell'antichità, da Varrone, Polibio, Virgilio, Lucano, Marziale, Strabone, Plinio, e in età più recente da Flavio Biondo e dal Cluverio.
Di qui l'impianto erudito dell'operetta, cui fa riscontro la registrazione d'una serie di dati sperimentali raccolti in loco per confutare tanti "spropositi"; essi riguardano il peculiare regime idrico del primo tratto del fiume (Becca), la proprietà delle rocce carsiche di conservare l'acqua piovana, le gallerie nelle quali gran parte del Timavo corre e le rispettive risorgenze, le mitiche "nove bocche" di Virgilio, ridotte presentemente a minor numero. Il B. aveva anche tentato alcuni interessanti sondaggi delle voragini carsiche, e ne rendeva conto.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 1181 (con rinvii ai periodici contemporanci in cui si fa menzione del B.); M. Cesarotti,Accademici defunti (Elogi), in Saggi scient. e letter. dell'Accademia di Padova, Padova 1789, I, pp. IV ss.