BELLEZIA, Giovanni Francesco
Nato nel 1602 in Torino, figlio del giureconsulto Gaspare, si addottorò in legge nel 1622. Lettore presso l'Ateneo di Torino, dal 29 sett. 1625 decurione comunale, si disimpegnò per qualche tempo con successo nel patrocinio dell'amministrazione civica. Di educazione tipicamente avvocatesca (all'amore per le sottigliezze giuridiche il B. univa, come egli stesso armotava, quel tanto di temperamento "sanguigno e tutto fuoco" che era necessario a suggestionare gli uditori, ma che, in circostanze più complesse, costituirà uno dei limiti più evidenti della sua personalità), era destinato tuttavia a distinguersi da altri legali del tempo per l'interesse portato ai problemi concreti d'esercizio del potere e per una certa vocazione, persino irruenta, d'uomo d'azione più che di toga. Non a caso l'inizio della sua ascesa doveva essere legato all'appassionata ed energica opera di magistrato (inizialmente quale sovrintendente alla Sanità, poi dal settembre 1629 come sindaco), di cui seppe rendersi capace non senza abnegazione in un momento di carenza dei pubblici poteri e di grave afflizione per la città, come quello della ricomparsa della peste. Già segnalatosi fra i rappresentanti della borghesia cittadina fautori di un consolidamento delle franchigie municipali, negò nel maggio 1631, nella sua qualità di avvocato della città, il concorso del Comune per la fabbrica degli alloggi militari, subendo per qualche tempo, dopo uno scontro con il presidente Lefio Cauda, gli arresti domiciliari. Dimessosi, fu ancora dal 25 sett. 1632 chiavario nel Consiglio comunale ma, per circa tre anni, limitò la sua attività alla pratica legale e solo il 7 giugno 1635 vide riconosciuti i suoi meriti di giureconsulto, con la nomina a consigliere, senatore e avvocato patrimoniale generale della Camera dei conti.
Quest'ultima carica, che comportava la conservazione del patrimonio ducale, gli offrì la prima occasione per qualificarsi di tendenze nettamente antispagnole (sostenne fra l'altro la decadenza degli apparmaggi dei principi cognati). Alla sua carriera doveva, tuttavia, concorrere non tanto l'avvicinamento alla fazione filo-francese, in via di rafforzamento negli ultimi anni di Vittorio Amedeo I, quanto la protezione accordatagli dal marchese di Pianezza, il quale nel 1636 si era servito di lui in una causa patrimoniale relativa al feudo di Pianezza contro il marchese Frandesco Amedeo Martinengo, e che, due anni dopo, sarebbe riuscito a ottenere, con il patrocinio del B., l'aggiudicazione alla figliastra della cospicua eredità dell'ex gran cancelliere Stroppiana. Costituitisi il 7 dic. 1636 tre consigli per provvedere alle necessità di guerra, dei quali uno a Torino, il B. venne chiamato a farvi parte e, sotto la successiva reggenza di Cristina, ebbe modo di porsi in luce tra i cameralisti più sensibili alle prerogative dell'ufficio, con una scrittura (marzo 1639) contro l'emissione indiscriminata di nuova moneta e l'aumento del prezzo del sale.
Nel corso delle lotte fra madamisti e principisti il B., che si era battuto fino all'ultimo pur nel clima di generale sfiducia affinché la reggente rimanesse in città, non avvertì dopo la capitolazione l'opportunità di abbandonare il suo posto alla Camera, ma della carica si valse per mantenere indipendente la magistratura nei limiti del tollerato, e proprio in un momento di frettolosi cedimenti. Sospettato del resto di eccessive simpatie madamiste (sue furono, in nome della continuità statale, le maggiori difficoltà opposte alla sostituzione di alcuni funzionari e la preclusione al versamento delle gabelle e dei redditi ducali nella cassa dei principi), fu sin dal mese di agosto confinato nella sua abitazione.
Dopo la resa di Torino (20 sett. 1640), il B. parve la persona più adatta, essendo "eletto per il più francese di tutto il consiglio" a fare opera di mediazione a Chambéry presso Madama e per trattare quindi con il Richelieu una riduzione dei contributi della municipalità al quartiere d'inverno francese. Consigliere e senatore ordinario del Senato di Piemonte (7 genn. 1641), quindi senatore camerlengo (con patenti del 22gennaio successivo), dall'agosto 1642in Val d'Aosta per assicurare la sottomissione delle comunità locali passate fra le prime dalla parte dei principi, seppe operare con accortezza per imporre il pagamento del "plus gros donatif que ce pays aie jamais fait", come anticipava a Madama il Roncas, sovrintendente alle Finanze. Cristina, dato anche un precedente gradimento del Richelieu, lo affiancava dal 13 nov. 1644 al marchese di San Maurizio, nei negoziati di Münster.
Il B. accettò a malincuore il nuovo ufficio, avanzando pretesti di natura finanziaria, più probabilmente consapevole dei propri limiti quale diplomatico, come egli stesso del resto non esiterà più tardi, dopo le polemiche suscitate dalla sua troppo scoperta condotta in Germania, a confessare al Verrua: "io sono allevato lontano dalle corti e fra la libertà del foro nel quale senza scrupolo si dice tutto ciò che viene in bocca e perciò ho sempre nella lingua quello che ho nel cuore", e ancora: "sto qua troppo circondato e da insidie e da tribolazioni, cibo al quale il mio stomaco non è assuefatto...". Era successo che il B., non avendo ritenuto di assumere particolari precauzioni con gli Imperiali e con gli Spagnoli (segnatamente con il Saavedra e il Bruay) nei complessi preliminari relativi alle préséances, fosse incorso nell'accusa di intavolare su iniziativa personale negoziati pregiudizievoli ai diritti francesi su Pinerolo. In effetti il B., non certo estraneo ai tentativi di agganciamento degli Imperiali, ma neppure tra i maggiori responsabili di una trattativa per cui non aveva espresso mandato, era destinato a far da vittima di un gioco più complesso, imperniato sull'intendimento del Mazzarino di riaffermare d'imperio, contenendo ogni iniziativa anche marginale della diplomazia piemontese, l'influenza di Parigi sullo Stato sabaudo. Su un piano più personale si trovò poi a far le spese, solo in parte giustificate dalla sua stessa tendenza a sconfinare dalle circoscritte funzioni di consigliere legale, della malintesa gelosia del San Maurizio, "solito a non soffrire presso di sé chi non dipende dai suoi cenni", ma interessato soprattutto a riversare. sul suo inesperto collaboratore l'intera responsabilità degli approcci con gli Spagnoli. Il B., digiuno di maneggi e per di più facile a trasporti di sdegno controproducenti, mal si opponeva a quest'ultiina manovra e già nel luglio era disposto a cedere, non senza una certa compiacenza al vittimismo "(l'agnello non può combattere con il leone, come io non voglio e non posso contender... con la potenza del mio signor ambasciatore"), ma forse più giudiziosamente in considerazione di concrete ragioni di Stato: "mi pare - egli scriveva il 15 luglio - che sia ora conveniente che si sacrifichi a questo nume [Mazzarino] tanto necessario alla casa reale qualche vittima mnocente, e mi contento di esserlo io". Per l'allontanamento del B. ("si levrebbero così tutte le ombre concepite a Parigi") si pronunciava d'altronde il Verrua dopo un estremo tentativo presso il Mazzarino, e a questa risoluzione acconsentiva, pur con riluttanza, lo stesso Pianezza.
Per salvare le apparenze, il B. venne incaricato di un viaggio di rappresentanza in Polonia e al ritorno fu promosso ad incarichi a lui più congeniali. Quale consigliere di Stato patrimoniale e generale del patrimonio ducale (dal 15 luglio 1646), ma specialmente quale presidente della Camera dei conti (dal 4 apr. 1652), Si rivelò, oltre che funzionario scrupoloso e sensibile agli interessi pubblici (risolutivo fu il suo intervento nel 1655 per reprimere le malversazioni ricorrenti nell'amministrazione degli approvvigionamenti militari), fautore di un rafforzamento graduale delle competenze delle istituzioni amministrative e di una loro effettiva autonomia. Carlo Emanuele II, procedendo con elementi fedeli al riassetto degli alti gradi della burocrazia scompaginati dalle. vicende della guerra civile e della reggenza, lo chiamò il 31 marzo 1656 a presiedere il contado di Asti e il marchesato di Ceva e ad assumere l'ufficio di conservatore generale degli ebrei; l'ii giugno 1657 lo designò infine a presiedere il Senato e il ducato di Monferrato. Il ristabilimento nel Monregalese dell'autorità del sovrano, che per il B. significava soprattutto porre fine alla lunga serie di tentativi centrifughi da parte delle province, fu da lui assicurato tra il gennaio e il luglio 1658 con la repressione violenta dei moti. Ma se il saccheggio di Briaglia, unitamente ad alcune rappresaglie sommarie, valsero al B. "fama di rigorosa e terribile giustizia", non si può dire che egli nella circostanza avesse oltrepassato (come giustamente annota il Claretta) "quei limiti che altri allora con maggior facilità avrebbero senza dubbio violati". Del resto il B. operò presto affinché la composizione delle vertenze fosse trasferita su di un piano più eminentemente amministrativo.
S'intensificava in questi anni l'influenza del B. a corte, in coincidenza anche con il graduale accentrarsi, per quanto riguardava le prospettive d'azione sabaude al congresso dei Pirenei, delle trattative intorno al problema giuridico-patrimoniale della conferma e della consistenza degli interessi della dote di Caterina d'Austria. Il B., che aveva presenziato alle conferenze di Valenza e di Santhià (febbraio 1660), si adoperò con successo a Torino perché fosse affidata al Carroccio, a discapito del plenipotenziario Chamousset, la sostanziale responsabilità del negozio (si ripeteva in questa sede la vecchia diffidenza e incompatibilità del B., già rivelatasi col San Maurizio, nei confronti dei diplomatici di professione e della nobiltà in genere, e dei Savoiardi in specie, a suo giudizio irresoluti e non alieni dal compromesso); col Carroccio stesso poi definiva in Spagna le complesse procedure per l'esecuzione dei diritti della casa ducale. Dal 25 sett. 1660 il B. fu chiamato a far parte, con il Gromis, il di Casellette, il Della Chiesa e il Truchi, della commissione per la riforma dei Comuni. Fu tuttavia il B. ad elaborare, con larga competenza e rigorosa documentazione, lo schema finale sulla base di un alleviamento delle imposte, della reintegrazione del registro e di una riduzione dei contributi per le spese militari. Egli mirò, comunque, al ristabilimento di garanzie idonee a salvaguardare l'interesse pubblico di fronte ai particolarismi settoriali in un nuovo assetto che, tenendo conto delle impostazioni accentratrici di Carlo Emanuele II, valorizzasse tuttavia l'opera di controllo degli organismi tradizionali. Primo presidente del Senato di Piemonte dall'agosto 1660, operò affinché l'ambito delle funzioni senatoriali non venisse limitato da atti di soggezione troppo vincolanti e, intanto, poneva mano a semplificare le procedure circa il corso della giustizia. A un indirizzo di tradizionale ortodossia diplomatica, circa la controversia sorta con Roma nel corso del 1660 a proposito del progetto piemontese di soppressione dell'Ordine degli antoniniani, obbediva invece il suo atteggiamento (poi sostanzialmente accolto) che, data la ferma opposizione di Alessandro VII, fosse più opportuno destreggiarsi per evitare una rottura e intanto insistere perché, almeno per le abbazie vacanti, si affermasse il concetto dell'investitura coll'assenso del duca.
Più aperta e interessante la sua posizione nel 1661, di fronte alla ripresa del conflitto con i Valdesi: pur avallando dal punto di vista giuridico gli eccessi repressivi del marchese di Pianezza, il B., considerando che la questione esorbitasse dagli stretti limiti di un affare interno e che non si potesse esaurire semplicemente in un'azione di polizia, suggeriva il contenimento della propaganda dall'estemo e soprattutto una più approfondita e abile opera diplomatica nei confronti dei paesi protestanti.
Ma era nell'esecuzione dei suoi doveri d'ufficio, da lui interpretati estensivamente (in funzione peraltro più personale che avendo riguardo ad una effettiva progressione delle competenze dell'organo senatoriale), e specialmente nella scabrosa questione del compartimento dei grani (impostata nel febbraio 1666 per una radicale riforma dei vecchi sistemi con il ritorno, contro i pericoli di una cattiva gestione, al sindacato degli organismi amministrativi ordinari), che il B. dava la misura effettiva delle sue migliori qualità di magistrato onesto e intelligente.Gli ultimi anni della sua attività lo vedevano impegnato, con abilità ormai consumata, in affari patrimoniali, ma soprattutto in cause di criminalità e in problemi di procedura penale, difensore fra l'altro nel settembre del 1669 delle competenze della magistratura piemontese di fronte ad alcuni tentativi di eversione francesi. Del 14 ott. 1670 è una sua lettera al duca con la quale, designando il senatore Blancardi a primo presidente della camera "perché credo non abbia parentele in Piemonte... le quali possano nelle cause patrimoniali farlo inclinare fuori dal giusto... e perché l'A.V.R. deve aver l'occhio non solo alle contingenze presenti ma insieme a ciò di che può aver bisogno tra poco tempo, cioè di dare dopo la mia morte un degno capo al senato" (la scelta si rivelerà poi infelice), rivendicava la preminenza di quest'ultimo consesso nel quadro dell'ordinamento statale.
Il B. morì il 13 marzo 1672.
Si era sposato nel 1620 con Margherita Lupo, figlia di un uditore di camera, e in seconde nozze, nel 1626, con la figlia di un decurione municipale, Bianca Cuneo. Il B., che negli atti testamentari figura insignito del titolo comitale, non lasciando prole maschile istituì eredi di cospicue proprietà immobiliari a Torino e di avviate attività agricole il nipote conte Piossasco Asinari di None e i fratelli di questo.
Del B. sono rimaste due orazioni in latino: Oratio ad solemnia Sacri Pedemontani Senatus auspicia, Torino 1663, in cui egli attribuiva erroneamente la costituzione del senato di Piemonte alla data del 20 marzo 1561; e un discorso (Ad Sacri Pedemontani Senatus auspicia peroratio, Torino 1671) pronunciato in occasione della riapertura dei dibattiti giudiziari.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri Francia, mazzi: 42, lett. di Cristina; 45, fasc. 1; 46, fasc. 3; 47, fasc. 4; 48, fasc. 1; 50, fasc. 2; Lettere Ministri Münster, mazzo 1, fasc. 1 e 5; Lettere Ministri Spagna, mazzo 26, fasc. 1; Lettere particolari, B, mazzo 37, 1642 in 1672; Cerimoniale, n. 2, mazzo 1; Materie giuridiche, Camera de'Conti di Piemonte, mazzo 1; Senato di Piemonte, mazzo 1; Sezioni Riunite, Atti dell'Insinuazione notarile di Torino, libri: 5, 1640, c. 31; 9, 1612, c. 329; 10, 1614, c. 411; 12, 1666, c. 561; Biglietti Regi, art. 692, reg. 1640 in 1642, f. 31; 1640 in 1649, f. 31; 1670 in 1672, f. 117; Controllo Finanze, reg. 1635, I, f. 113; 1635 in 1636, f. 65; 1636 in 1637, f. 141; 1637, ff. 216, 225; 1638, II, f. 66; 1638, III, f. 141; 1639 in 1641, f. 181; 1642, f. 31; 1642 in 1643, ff. 76, 330; 1644 in 1645, ff. 34, 41, 377, 410; 1652, f. 53; 1656, f. 56; 1657, f. 87; 1659 in 1660, ff. 56, 145; 1660 in 1661, ff. 20, 21, 28, 35; 1674, f. 72; Patenti Piemonte, reg. 55, ff. 125, 157; 66, f. 205r; Pareri e avvisi della Camera, reg. 1637 in 1641; Sessioni Camerali, art. 614, reg. 1632 in 1637, f. 181; 1637 in 1642, ff. 152, 154, 163; 1643 in 1650, ff. 2, 108; 1651 in 1654, f. 64; Testamenti del Senato, reg. 12, f. 72; Torino, Archivio Storico della Città, Camera R, Ordinati 1629, vol. 178; 1630, vol. 179; 1631, vol. 180; 1640-1641, vol. 185; 1649, vol. 188; Séances du Conseil Municipal, 1806-08, vol. 7; Biblioteca Reale di Torino, Misc.475, nn. 1491 e 1493; G. F. Fiochetto, Trattato della peste o sia contagio di Torino nell'anno 1630, Torino 1720, pp. 45-46, 60 s.; G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte, I, Torino 1798, pp. 279-280, 665; A. Pinelli, Memorie ragguardanti alla storia civile del Piemonte nel secolo XVII, in Memorie della R. Acc. d. Scienze di Torino, s. 2, I (1839), pp. 39 ss., 64, 68 ss., 76 ss., 115-128; L. Cibrario, Storia di Torino, Torino 1846, I, p. 445; G. Claretta, Il presidente B., Torino 1866, passim; Id., Il Municipio torinese ai tempi della pestilenza del 1630 e della Reggente Cristina di Francia, Torino 1869, passim; Id., Storia della Reggenza di Cristina di Francia, Torino 1869, I, p. 442; II, passim; III, p. 220; Id., Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II, Genova 1877, I, passim; A. D. Perrero, Uno sguardo retrospettivo sull'antico ordinamento municipale della città di Torino (1639-1676), in Curiosità e ricerche di storia subalpina, III, Torino 1879, p. 623; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, pp. 252-53, 273, 279, 326, 404; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, pp. 227 s.; C.Bergadani, Carlo Emanuele I, Torino 1926, p. 119; M. Chiaudano, Torino ai tempi di Carlo Emanuele I, in Torino, X., num. speciale settembre 1930, p. 857; D. Bizzarri, Vita amministrativa torinese ai tempi di Carlo Emanuele I, ibid., pp. 868-892; E. Lucca, Il sindaco B., ibid., XI(agosto 1931), pp. 62-73; F. Cognasso, I Savoia nella politica europea, Milano 1941, p. 182; Id., Storia di Torino, Milano 1959, p. 248; V. Castronovo, Storia del primo giornale degli Stati Sabaudi in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LVIII: (1960), p. 98; G. Quazza, Guerra civile in Piemonte, ibid., p. 23.