BEMBO, Giovanni Francesco
Nacque a Venezia il 31 dic. 1659 da Francesco e da Caterina Corner. Studiò nel collegio dei somaschi a Verona e somasco, malgrado l'opposizione della famiglia, divenne egli stesso, aggiungendo il nome Francesco a quello battesimale di Giovanni. Trascorso il noviziato e consacrato sacerdote a Venezia, passò a Camerino e di qui a Roma, nella casa dei somaschi a Montecitorio: vi rimase cinque anni, prima come maestro dei novizi, poi come confessore. In tale veste riscuoteva tanto successo da divenire consigliere spirituale alla moda: nobili dame, tra cui la principessa Pallavicino, si disputavano i suoi ammonimenti ed esortazioni. Promosso vocale, tornò a Venezia; non per molto, però, ché passò a Vicenza in qualità di superiore dei somaschi di S. Iacopo. Qui la nascita patrizia, la cultura, le doti di confessore e di scrittore devozionale - al B. si devono novene in onore di S. Francesco di Sales e S. Filippo Neri - lo resero figura di un certo rilievo nella vita della città. Al vescovado di Belluno - del cui anziano titolare, G. Berlendis, si prevedeva imminente la morte, in effetti avvenuta il 21 ott. 1693 - si andavano indirizzando tuttavia le sue aspirazioni, ed esplicitamente brigava per ottenerlo con l'appoggio del fratello Marco, senatore di una certa autorità e influenza. Nel gennaio del 1694 gli fu assegnato l'ambito seggio; vi furono quindi, il 7 marzo, la consacrazione papale, il 28 giugno l'ingresso nella diocesi, dalla voluta, fastosa magnificenza.
Ma le festose accoglienze iniziali, gli omaggi rispettosi, gli atti di cordiale e deferente cortesia dei giorni immediatamente successivi all'insediamento del B. dovevano ben presto lasciare il posto ad estenuanti contrasti, a prolungati litigi che l'indole energica dei prelato veneziano, nella sua smaniosa volontà di operare, era fatalmente destinata a suscitare in un ambiente tradizionalista, a volte torpido, diffidente comunque nei riguardi di un'attività accentratrice e autoritaria quale subito si configurò quella del Bembo. D'altra parte la gelosa rivendicazione anche dei minimi suoi diritti, la puntigliosa, intransigente affermazione di sé e della propria autorità portavano il B., anziché a smussare le situazioni più spinose, ad esasperarle, se non altro per le frequenti minacce di gravissime sanzioni cui facilmente ricorreva. L'indubbia alacrità che caratterizzò gli anni del suo episcopato fu così offuscata da continue liti insorte ora con le monache, ora col Collegio dei giuristi, ora col Consiglio dei nobili, ora coi cappuccini, ora col capitano e podestà; e, se spesso il B. riusciva ad ottenere soddisfazione, irrimediabilmente turbati ne risultavano i suoi rapporti con la popolazione. Un episodio ci offre significativa testimonianza dello stato d'animo di questa nei riguardi del presule: quando, il 22 apr. 1720, un'ala della villa vescovile - fatta costruire, su progetto dell'architetto veneziano Paolo Tremignon, in una amena località nei pressi di Belluno - fu colpita da un incendio, moltissimi accorsero, non già per spegnerlo, ma per osservare compiaciuti la distruzione che le fiamme via via apportavano. Si diceva inoltre che i 20.000 ducati occorsi per l'erezione della bella villa - che il B. volle affrescata nell'interno da Sebastiano e Marco Ricci - fossero stati sottratti, in parte, alle somme raccolte per il seminario.
Ma soprattutto da parte dei canonici il B. ebbe a subire, sin dall'inizio, una sorda e tenace opposizione, occasionata dai più disparati motivi tra cui la questione della prebenda teologale, il cui conferimento era contestato al vescovo, e il processo iniziato dal B. nel 1711 contro il canonico mons. Alpago, su cui il capitolo, forte di una concessione del concilio tridentino, voleva esercitare il proprio controllo. Ancor più esplicito il contrasto sorto a proposito della cospicua commissaria che il predecessore del B. aveva costituito stabilendo che metà dei redditi spettasse ai poveri, l'altra ai preti frequentanti il coro della cattedrale, con dichiarata esclusione dei canonici coi quali nemmeno il Berlendis era stato in pacifici rapporti. Di qui dissapori piuttosto aspri tra preti e canonici: il B. si offrì allora come mediatore. Ma, differendo egli la risoluzione, il capitolo, timoroso che il vescovo volesse, col protrarre le cose, favorire i preti, lo avvisò che, se non avesse risolto in breve la questione, gli avrebbe levato l'"incomodo della offerta mediazione". Offesa gravissima che il B. non volle dimenticare e che avvelenò per sempre i suoi rapporti coi canonici, i quali, d'altra parte, in contatto più diretto - se non altro per ragioni di parentela - con la popolazione, nulla trascurarono per farlo apparire a questa nella luce più sfavorevole. Né, per parte loro, i preti mostrarono di gradire una mediazione che ritenevano, nella pretesa di essere i soli amministratori della commissaria, un'indebita ingerenza; d'accordo in questo coi canonici, ne volevano in ogni caso escludere il vescovo.
Ma questo susseguirsi di aspri dissensi, di fastidiosi litigi, a volte di meschine beghe non frenò l'impetuosa volontà realizzatrice del Bembo. Buon parlatore, di bel portamento, di elegante ricercatezza nel vestire, volle, restaurando e rinnovando il palazzo vescovile, che questo divenisse degna sede dei suoi splendidi gesti di signorilità, dei ricchi banchetti che, personalmente parco, amava spesso offrire ai suoi ospiti.
Chiamò a insegnare in seminario dotti della congregazione somasca e ne affidò la direzione all'intelligente quanto intrigante Stefano Cupilli, il quale seppe rendersi anche lui tanto inviso alla popolazione che fu costretto a rinunziare all'incarico.
Il B. volle ristrutturato l'edificio stesso del seminario; l'opera, su disegno del Tremignon, vide compimento nel 1718. Assai onerosi furono trovati però i contributi imposti al clero - specie ai parroci in occasione di visite pastorali - per far fronte alle ingenti spese che la radicale risistemazione edilizia comportava. Solo i canonici si rifiutarono ostinatamente di assoggettarvisi. Vivo altresì l'interessamento dei B. all'insegnamento catechistico da impartire ai fanciulli e ai minorati. A lui si deve anche l'introduzione e il rapido consolidamento a Belluno dei gesuiti i quali, con l'apertura di un collegio, monopolizzarono l'istruzione della gioventù nobile e borghese. Volle il ripristino integrale delle rendite spettanti al seminario, il cui patrimonio amministrò con oculata competenza; d'altra parte, le sue abitudini dispendiose, le sue frequenti e liberali generosità nei riguardi di chi a lui chiedeva soccorso, esigevano una continua disponibilità di denaro. Rivendicò quindi - dopo pazienti ricerche archivistiche che volle personalmente eseguire - vecchi crediti, anche di poca entità, diritti feudali ormai caduti in desuetudine e dimenticati; decisa opposizione incontrò però da parte dei mercanti di legname la sua pretesa a un dazio per ogni zattera trasportata dalle acque del Piave, che fosse proporzionato al valore del legname di cui era costituita e, in più, dell'eventuale carico.
Dal 9 all'11luglio 1703 il B. tenne a Belluno un sinodo diocesano, le cui decisioni, suddivise in 35 capitoli, fece pubblicare l'anno dopo a Venezia. Egli visitò più volte le diocesi: rigorosamente vigilava sull'insegnamento del catechismo, il regolare svolgimento delle funzioni religiose, la riverenza verso le cose sacre, la condotta del clero. Non una chiesa, nemmeno se sorgente in località impervia e sperduta, sfuggì alla sua minuziosa e attenta sollecitudine, alla sua costante preoccupazione di constatarne di persona il decoro e la pulizia.
Il B. morì il 21 luglio 1720.
Fonti e Bibl.: F. Ughelli-U. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, coll. 169 s.; G. Cevaschi, Somasca graduata, Vercelli 1743, pp. 87-89; G. Mazzuchelli, Gli Scritt. d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 731; F. Miari, Diz. Stor. … bellunese, Belluno 1843, p. 24; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, X, Venezia 1854, p. 200; L. Alpago Novello, La vita di G. F. B., vescovo di Belluno (1694-1720), in Arch. veneto, s. 5, III (1928), pp. 277-355; A. da Borso, Marco Ricci, notizie sulla sua vita e sul modo come morì, in Arch. stor. di Belluno Feltre e Cadore, I (1929), p. 66 n. 4; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VII, p. 979.