BINI (Bino), Giovanni Francesco
Nacque a Firenze nel penultimo decennio del sec. XV. Poco sappiamo di quella parte della vita che va dalla nascita al 1524: in una lettera a G. B. Mentebuona nel manoscritto Vat. Lat. 9285 afferma di essere stato educato a Carpi e di aver avuto per maestro il veronese Bernardino Donato Bonturello, dotto di greco e di latino; da un'altra lettera del 1524, "servitutis nostrae anno quintodecimo", è facile arguire che nel 1509 circa iniziò a mettere a profitto la propria penna e la propria cultura per guadagnarsi la vita. Trasferitosi a Roma forse in quello stesso anno, entrò in contatto con il circolo umanistico in cui si continuavano le tradizioni dell'Accademia pomponiana. Qui conobbe il Giovio, il Bembo, il Castiglione, si fece apprezzare dal Sadoleto e strinse col Berni quell'amicizia che finì solo con la tragica morte di questo: al B. il Berni scrisse le sue lettere più sincere e drammatiche, fino all'ultima in cui invitava l'amico a mantenere "la dolcissima loro amicizia". Nel 1525 era certamente a Roma, alle dipendenze del Sadoleto nella segreteria dei Brevi, dove si fece tanto onore che il protonotario stesso affermò più tardi che molte epistole pontificie, che andavano sotto il suo nome, erano state stilate dal Bini.
Il rapporto di lavoro che univa i due si trasformò ben presto in amicizia: il Sadoleto, in riconoscimento dei servigi resigli dal B., gli cedette tra l'altro uno dei propri benefici, e anche nel periodo in cui risiedette a Carpentras (1527-1536) fu in corrispondenza con l'antico collaboratore, non perdendo occasione per favorirlo e per aiutarlo.
Nel caos seguito al sacco del 1527 il B., rimasto in un primo momento almeno in parte successore del Sadoleto, perdette poi, a quanto sembra, la carica di segretario e, tra quell'anno e il successivo, vagò per l'Italia - come appare dalla sua corrispondenza col Sadoleto - alla ricerca d'un nuovo impiego; infine, animato e appoggiato da questo, tra lo scadere del '28 e i primi del '29 riuscì a tornare a Roma al servizio di Clemente VII, dopo esser stato a Viterbo, a Orvieto e, presso il Bembo, a Venezia. Tra la fine del '32 e i primi del '33 seguì il papa che a Bologna doveva incontrarsi con Carlo V; quando poi Clemente, nel marzo, si recò a Fano e a Loreto, il Berni e il B. si recarono, probabilmente assieme, a Firenze, dove il primo doveva prender possesso d'un canonicato. Un altro viaggio intraprese il B. quello stesso anno, seguendo malvolentieri il pontefice a Pisa e fors'anche a Marsiglia.
Lontani da Roma il Sadoleto e il Giberti, i quali avevano costituito alcuni tra i maggior centri d'attrazione di quel circolo in cui si perpetuava l'antica Accademia romana, la consuetudine delle riunioni letterarie e conviviali rivisse, dopo il sacco, in casa del mantovano Uberto Strozzi, fondatore dell'Accademia dei Vignaiuoli, in cui, sulla scia degli scherzi e dei reciproci beffeggiamenti che avevano caratterizzato le riunioni umanistiche già dai tempi della vecchia Accademia, predominavano le letture di componimenti giocosi; membri principali, oltre al Berni - quando era a Roma - e all'amico B., il Mauro, il Molza, il Giovio, il Firenzuola, il Della Casa. Pochi anni dopo l'Accademia dei Vignaiuoli si fuse con quella della Virtù, fondata da C. Tolomei sotto il patrocinio di Ippolito de' Medici: anche di questa il B. fu tra i membri più attivi, insieme col Molza, col Caro e col Flaminio.
Intanto il B. occupava un posto di qualche rilievo nella Curia, alle dirette dipendenze dei protonotari apostolici - tra cui, dal 1533, il Camesecchi - che succedettero al Sadoleto: non doveva tuttavia esser molto soddisfatto dalla sua posizione, se nel 1534 l'allora nunzio a Venezia Girolamo Aleandro, con cui il B. era in corrispondenza ufficiale per conto dei Carnesecchi, sentì più volte, nelle sue lettere, il bisogno di consolarlo degli scarsi premi che avevano ricevuto i suoi meriti, esprimendo la speranza di vederlo presto compensato con un titolo vescovile. Ma in quell'anno stesso tale speranza veniva a cadere con la morte di Clemente VII e l'elezione di Paolo III: allontanato il Carnesecchi, cui era assai legato, il B. rimase anzi senza protettori e si dovette contentare a lungo di incarichi di secondo piano. Finalmente, quando alla fine del '39 Fabio Vigile, nominato vescovo di Foligno, lasciò la carica di chierico del Sacro Collegio, egli riuscì a succedergli mobilitando tutte le amicizie, e, principalmente, il Sadoleto, che lo raccomandò caldamente al Trivulzio e al Bembo. Nel 1543 lo troviamo in viaggio per l'Italia: si trattenne prima a Cesena, poi, tra aprile e luglio, a Bologna, dove, insieme con la corte pontificia, attese l'arrivo dell'imperatore. Si recò nel settembre a Venezia, dove visitò l'Aretino; nel 1549, come segretario del Sacro Collegio, prese parte al conclave in cui fu eletto Giulio III.
A proposito della partecipazione del B. al conclave del 1549-50, bisogna ricordare che in molti manoscritti,Vat. Barb. Lat. 2541, Vat. lat. 8408 e 12528, l'Harleianus 3578,7 del British Museum, il codice Instructionum et relationum diversorum nuntiorum apostolicorum, II, del Reichsarchiv di Monaco, vi sono diari latini del conclave a suo nome: ma il Merkle ha dimostrato che tali epitomi dei diari massarelliani furono per errore attribuiti al B. da sprovveduti copisti, ingannati dall'esistenza, nell'anonimo archetipo, di molti instrumenta stilati in prima persona da lui, come segretario del collegio cardinalizio.
Nell'ottobre 1554 Giulio III nominava il B. suo segretario, col compito di redigere i brevi ai principi: carica questa che egli mantenne anche durante il brevissimo pontificato di Marcello II e in cui fu riconfermato da Paolo IV.
La fortuna poetica del B. è legata ai capitoli burleschi che scrisse sulla scia di quelli famosissimi dell'amico Berni. Nei limiti del bernismo, di quella che cioè fu moda letteraria assai più che vera e propria scuola poetica, e in cui prestissimo andò smarrito quanto nel Berni era di più sincero e risentito, il B. è senza dubbio tra i migliori, tra i pochi in cui sia possibile trovare qualcosa di più di quell'eterna trattazione burlesca di argomenti futili e vani, che trasformò il bernismo in accademico gioco letterario, vuoto di contenuto forse più dell'antagonista petrarchismo.
Tra le opere del B. che è possibile ordinare cronologicamente, la prima è senza dubbio il notissimo Capitolo del mal francese: dato che è citato dal Berni nel Capitolo secondo della peste e che vi si accenna al De morbo gallico del Fracastoro, la sua composizione si pone tra il 1530 e il 1532. Nonostante le lodi del Berni e la larga diffusione che ebbe, il componimento denuncia chiaramente il suo carattere di divertimento letterario, costruito a freddo per rallegrare una comitiva di amici con una serie interminabile di paradossi. Opera ben più riuscita è il Capitolo del Pilo, composto verso la fine del '32 per chiedere in dono alla duchessa di Camerino un "pilo" - cioè un antico recipiente marmoreo - per abbellire il proprio giardino. Per l'indole del B., veramente sorella di quella del Berni nella stessa bonaria mancanza di grandi ideali e di grandi ambizioni, tutta tesa a costruirsi una vita tranquilla nella lieta e affettuosa conversazione con dotti amici, l'"orto", il giardino cioè che insieme con una casetta possedeva sulle sponde del Tevere non lontano da via Giulia, rappresentava il maggiore orgoglio e la fonte delle cure più affettuose; ed è proprio nella richiesta del "pilo", che sogna già collocato in bella mostra presso il pozzo, che la musa familiare e modesta del B. trova i suoi accenti più lirici e commossi.
Del 1535 è il Capitolo primo dell'Orto, nato nell'ambiente dell'Accademia dei Vignaiuoli. Tale composizione fu inviata a G. Porrino, segretario di Giulia Gonzaga, quando questi attendeva a Napoli il ritorno di Carlo V dalla vittoriosa impresa di Tunisi; in essa il B. immagina che il suo giardino chieda all'amico di convincere la Gonzaga a donargli una ventina di alberi di arancio. Il lavoretto, nei suoi limiti di divertimento intellettuale, è assai ben riuscito; ma gli è senza dubbio superiore il Capitolo secondo dell'Orto, facilmente databile al '37 in quanto vi si accenna alla crescita degli alberi donatigli dalla Gonzaga l'anno precedente: qui il giardino, con straordinaria libertà d'accenti, chiede al cardinale Alessandro Farnese un antico sarcofago da usare come "pilo". Complesso e ricco di motivi, il capitolo, tra i più lunghi del B., si snoda con sicurezza per trecentodieci versi; e se lo spunto è dato dalla richiesta del dono, affiorano continuamente motivi risentiti e polemici contro la Curia e il clero. Tuttavia sarebbe errato voler ricavare da certe tirate polemiche contro le condizioni della Chiesa la prova di un avvicinamento dell'autore a quelle correnti spiritualistiche riformatrici e protestanti con cui pure l'allievo del Sadoleto, il collaboratore del Carnesecchi, l'amico del Flaminio e di tutto l'ambiente che gravitava intorno alla Gonzaga doveva aver avuto larghi contatti. Tali rapporti non scalfirono mai quella sua fondamentale bonomia di sereno umanista: la Roma che egli rimpiange non era quella povera e austera che sognavano i riformatori, ma quella godereccia e generosa verso i letterati dei tempi di Leone X. Cosa assai mediocre è infine il Capitolo contra le calze, d'incerta data e pubblicato per ultimo, insieme ai precedenti, nel volumetto Le terze rime de Messer Gioanni dalla Casa,di messer Bino et d'altri, a Venezia nel 1538, poi più volte ristampato.
Non databili con esattezza, ma nate nell'ambito di quell'Accademia della Virtù, che fioriva intorno al '38, sono le due "dicerie" La Cotognata e IlBicchiere. In prosa è La Cotognata,tributo di messer Bino a C. Tolomei,terzo Re della Virtù, modesto scherzo conviviale che ha tuttavia un qualche interesse filologico, attribuendovisi al Berni il Dialogo contra i poeti; migliore, pur nei suoi limiti di cicalata accademica,Il Bicchiere,tributo in versi di m. Bino a G. Cincio medico fiammingo, che ispirò Le Verre al Ronsard. Le due dicerie furono pubblicate, per la prima volta riunite, dall'Arlia nelle Dicerie di A. Caro e di altri a'Re della Virtù, a Calveley Hall [Venezia] nel 1821; una terza, inedita, intitolata L'Horto, è a Bergamo, nella Biblioteca Civica, gabinetto Σ, 1, sopra, 2(5).
Del 1541 è il capitolo A Mons... et M. M. A. Flaminio,et al S.... l'Orto di M. Bino, ove il B. entra in polemica col Flaminio - che lo aveva rimproverato di dedicarsi a scritti burleschi non consoni alla sua dignità di uomo di chiesa - e con l'ambiente ereticale che faceva capo al Carnesecchi. Nei due personaggi, i cui nomi l'Atanagi, pubblicando il capitolo nella sua raccolta di Lettere facete, sostituì prudentemente coi puntini, sono infatti riconoscibili il Carnesecchi e, verosimilmente, Gian Francesco d'Alois detto il Caserta. In questa graziosa epistola poetica, pur fra le lodi della santità di vita dei tre è dato cogliere un insanabile contrasto tra il severo spiritualismo dei valdesiani e il cristianesimo, sincero ma più pratico e comprensivo, insomma ancora umanistico, del Bini.
Altro del B. non ci è pervenuto, se non lettere, una canzone e qualche sonetto petrarcheggiante - cose tutte di scarso valore, sparse qua e là nelle raccolte cinquecentesche - e due epigrammi latini,Ad fontes e Ad Benedictum Varchium, pubblicati tra le Delitiae CC. Italorum Poetarum... collectore Ranutio Ghero [Ianus Gruterus], I, [Francofurti] 1608, p. 436.
Di altre opere ci resta solo qualche menzione fattane nelle lettere dell'epoca: così sappiamo di due capitoli - uno intitolato La Pelatina e l'altro in lode di G. Florimonte -, di un trattato Del perfetto segretario, che il B. stava scrivendo nel 1535, e di un poema latino d'argomento religioso compiuto nel '39. Quest'ultimo egli inviò per un giudizio al Flaminio, cui non piacque, e poi al Sadoleto, che preferì non pronunziarsi: del resto i due epigrammi che ci sono rimasti sono abbastanza mediocri per farci intuire che la musa latina del B. dovette essere assai meno felice dell'italiana.Il B. morì a Roma il 7 ag. 1556, come appare da una lettera del Navagero al Senato di Venezia (Arch. di Stato di Venezia,Dispacci da Roma, VIII, f. 268). Fu sepolto nella basilica di S. Maria Maggiore, di cui era canonico fin dal 10 apr. 1545 - dopo esserlo stato a lungo di S. Lorenzo in Damaso - con un'iscrizione posta a cura della sorella Margherita.
Fonti e Bibl.: Oltre al ms. Vat. lat. 9285 (già sesto volume delle Memorie manoscritte del Mazzuchelli), cc. 289-290, vedi De le lettere facete,et piacevoli…, raccolte per M. D. Atanagi, I, Venezia 1561,passim e, a pp. 195-225, dieci lettere del B.; De le Rime di diversi nobili Poeti toscani,raccolte da M. D. Atanagi, II, cc. 48-49 (7 sonetti del B.), Venezia 1565; I. Sadoleto,Epistolae, Romae 1760,passim; C. Tolomei,Lettere, Venezia 1566,passim; F. Berni,Poesie e prose, Firenze 1934, pp. 335-345; Nunziature di Venezia, I, a cura di F. Gaeta, Roma 1958,passim; G. M. Mazzuchelli,Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 1237-1241; F. Bonamici,De claris pontificiarum epistolarum scriptoribus, Romae 1770, pp. 85 s., 238-40; G. Tiraboschi,Storia della letteratura italiana, VII, Venezia 1796, pp. 130-136; V. Forcella,Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma, XI, Roma 1877, p. 39; A. Virgili,F. Berni, Firenze 1888, pp. 440, 441, 455 ss.; A. Luzio-R. Renier,Contrib. alla storia del malfrancese ne' costumi e nella lett. ital. del sec. XVII, in Giorn. stor. della lett. ital., V (1885), p. 424; A. Salza,L. Contile uomo di lettere e di negozi del sec. XVI, Firenze 1903, pp. 18, 20, 22, 283; R. Ancel,La secrétairerie pontificale sous Paul IV, in Revue des questions histor., LXXIX (1906), pp. 451, 455; S. Merkle,Prolegomena, in Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, II, Friburgi Brisgoviae 1911, pp. XXI-XXIII; A. Locatelli Milesi,Di un'Acc. rom. del sec. XVI, in Boll. della Civica Biblioteca di Bergamo, VI (1912), pp. 34-38; F. Neri,Chiabrera e la Pléiade francese, Torino 1920, p. 136.