BRIVIO, Giovanni Francesco
Di nobile famiglia milanese, nacque nel sesto decennio del sec. XV, primogenito di Giacomo Stefano, che ebbe altri quattro figli, Luigi, Zanetta, Susanna ed Alessandro. Il 23 sett. 1482 fu nominato "aulico" della corte del giovane duca Gian Galeazzo Sforza. Morto il padre il 26 dic. 1484, fu chiamato a sostituirlo nel suo ufficio, divenendo, nonostante la giovane età, maestro delle Entrate ordinarie. La lettera di nomina è del 31 genn. 1485.
Nel luglio dello stesso anno i frati del convento di S. Eustorgio in Milano concedettero a lui e ai fratelli il luogo in cui avrebbero potuto far erigere il monumento funebreper il padre ed egli, quindi, designò Bartolomeo da Novara per la costruzione in quella chiesa della cappella Brivio dedicata ai santi Enrico e Rocco, e, assieme con i fratelli, il 13 maggio 1486, dette incarico agli scultori T. Cazzaniga e B. Briosco di eseguire il monumento funebre. Nello stesso giorno concluse un contratto con un arazziere fiammingo per l'esecuzione di un "capocello" di lana e seta. Due anni dopo fu concesso ai suoi molinari di Zibido (Milano) di poter comprare e trasportare biade dal Lodigiano.
Nel 1499 era ancora maestro delle Entrate ordinarie, quando, fuggito Ludovico il Moro sotto l'incalzare dell'avanzata francese, e occupata la città dal Trivulzio, il governo provvisorio di Milano, già installato dal Moro prima della fuga, lo incaricò di recarsi a incontrare a Novara, assieme con altri cinquanta concittadini, Luigi XII, che si accingeva ad entrare in città. Inoltre il 23 settembre riceveva, con una lettera firmata da Bartolomeo Calco, l'invito di apprestarsi a ricevere degnamente il sovrano francese, il quale fece il suo ingresso nella capitale lombarda il 18 ottobre. Durante l'occupazione francese, mentre lo scontento cominciava ad affiorare fra i Milanesi, egli inviò insieme ai fratelli e ad altri interpreti di questi sentimenti, lettere di esortazione allo Sforza per un pronto rientro nella capitale del suo ducato. Caduto il Moro, dopo il suo breve e sfortunato ritorno, prigioniero a Novara (10 apr. 1500), il B. fuggì da Milano in volontario quanto prudente e tempestivo esilio; subito dopo fu dichiarato ribelle, come fautore e seguace di Ludovico il Moro. Subì perciò la repressione francese, che decretò la confisca dei beni suoi e dei fratelli: confisca revocata il 6 ag. 1500 dal governatore del re di Francia, cardinale d'Amboise, a condizione del pagamento da parte dei tre fratelli di 8.000 scudi d'oro; mentre però Luigi ed Alessandro ottennero il permesso di tornare a Milano, al B. questo venne negato. Egli rimase relegato a Crema fino al 25 ott. 1501, quando non soltanto ottenne dall'Amboise di tornare a Milano, ma fu anche reintegrato nei suoi diritti. Solo il 19 sett. 1504 il Senato ratificò questo concessioni in suo favore. L'anno successivo il B. venne nominato questore delle Entrate ordinarie e il giorno 18 luglio prestò giuramento.
Nel 1511, l'11 novembre, fece testamento e designò come luogo della sua sepoltura la chiesa di S. Satiro, in Milano, dove doveva essere portata a termine a questo scopo la costruzione di una cappella (che in realtà non fu terminata, anche se egli fu seppellito in quella chiesa).
Il 10 marzo 1512, quando ormai la Lega santa era stata proclamata da vari mesi, Luigi XII, con la magnanimità forse di chi cerca partigiani, gli riconfermò tutte le antiche immunità e concessioni che i Brivio avevano ottenute dai duchi. Evacuata, nel, giugno dello stesso anno, Milano dai Francesi e lì inviato dalla Lega santa l'esule Federico Baldo per indurre i concittadini ad accogliere i liberatori, il B. fu delegato assieme con Pietro da Pusterla a rappresentare i cittadini di porta Ticinese e si recò con i delegati delle altre porte a Pavia per giurare fedeltà alla Lega santa e a Massimiliano Sforza.
Evidentemente egli era rimasto nelle grazie degli Sforza, se nel 1511, già nominato il 3 gennaio membro del Consiglio generale di Milano, fu fatto, con patente del 3 agosto, regolatore generale delle Entrate ordinarie. Alla fine dello stesso anno ricevette in feudo per sé e per i figli il castello di Melegnano. Le alterne fortune dello Stato determinarono per lui, alla caduta di Massimiliano, la perdita del feudo, che gli fu tolto da Francesco I, il quale però lo nominò nuovamente, il 15 ottobre 1515, maestro delle Entrate ordinarie.
Morì il 2 dicembre del 1517.
Aveva sposato Margherita Landriani, che insieme al figlio Dionigi legò, dopo la morte del B., decisamente e drammaticamente la sua sorte a Francesco II Sforza. Da essa aveva avuto sette figli, Isabella, Antonia, Giovanbattista, Dionigi, Bianca Gerolama, Cecilia e Faustina. Un suo ritratto, attribuito da alcuni a Giovanni Ambrogio De Predis, da altri a Vincenzo Foppa, è conservato nel Museo Poldi-Pezzoli a Milano.
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