CARACCIOLO, Giovanni Francesco
Figlio di Giovanni Battista, duca di Martina e gran cancelliere del viceregno, e di Giacomina Orsini, nacque nella prima metà del sec. XVI.
Era abate di S. Maria delle Grotte nella diocesi di Bari, quando Carlo V gli concesse, nel 1530. il priorato di S. Nicola di Bari, resosi vacante per la morte dello zio Francesco. Probabilmente il C. non si recò in Puglia a prendere possesso dei suoi benefici. Certo è che nel 1547 era a Napoli nel tradizionale "seggio" della sua famiglia, Capuana, quando la città fu scossa da disordini generati dal timore dell'introduzione dell'Inquisizione al modo di Spagna nel viceregno.
Dopo il 21 maggio, quando fu esposto un editto che mise ancor più in allarme i cittadini confermandone i timori, i popolari e i nobili si riunirono a S. Lorenzo, con l'intenzione di appellarsi al re. L'opposizione dei ribelli infatti si rivolgeva contro il viceré, Pedro de Toledo, e non contro l'autorità regia: In S. Lorenzo fu deciso di raccogliere uomini per affrontare le truppe spagnole, fatte affluire in gran numero dal viceré, e l'incarico di provvedere a ciò fu dato al C., al fratello Pasquale, a Cesare Mormile e a Giovanni di Sessa.
Si superò un momento di pericolosa tensione, quando Pedro de Toledo, dopo l'esecuzione di tre giovani napoletani, volle compiere una cavalcata nella città. Il C. in questa occasione si adoperò con successo perché l'indignazione popolare non degenerasse in violenza. Successivamente, inviate al re due ambascerie, una dalla città in rivolta e una dal viceré, il 25 maggio il C. e il Mormile indissero una riunione, facendo credere di aver corso pericolo di essere catturati dal viceré e in realtà perché tutti i nobili - che prima caddero nel tranello e poi lo elusero - fossero coinvolti nell'opposizione al Toledo. I popolari in effetti erano diffidenti nel riguardi dei nobili e quando, il 7 agosto, uno solo dei due ambasciatori inviati dalla città al re, Placido di Sangro, tornò con una risposta dura, indiretta ed elusiva del sovrano, si credettero traditi. Quando la situazione stava per divenire drammatica, essendosi i popolari impadroniti dell'artiglieria posta nel portico di S. Lorenzo, il C. affrontò il popolo tumultuante e lo convinse che non esisteva tradimento e che non ci si doveva ribellare al re. Questi, che già nel giugno aveva inviato un primo editto di perdono per tutti i colpevoli delle agitazioni, esclusi i caporioni, fra cui il C., il 12 ottobre ne promulgò un altro, eccettuando ancora dal perdono i primi esclusi e altri quindici. Costoro furono condannati a morte, ma tutti riuscirono a fuggire e nel 1533 ottennero di poter rimpatriare. Solo Giovanni di Sessa e il C. non furono mai graziati.
Non si sa dove si rifugiò il C., né fino a quando visse, anche se si può presupporre che la sua morte avvenisse nel 1550, quando fu sostituito nel priorato barese.
Fonti e Bibl.: A. Castaldo, Dell'istoria..., in G. Gravier, Raccolta…, VI, Napoli 1769, pp. 84, 88, 93 ss., 99 s., 102; D. A. Parrino, Teatro eroico..., ibid., XIX, Napoli 1770, pp. 116 s.; G. A. Summonte, Dell'hist. della città e Regno di Napoli, IV, Napoli 1675, pp. 184, 188, 197, 199, 205-208; L. Amabile, IlSantoOfficio.... I, Città di Castello 1892, pp. 202-04, 206 s.; G. Del Giudice, Itumulti del 1547 in Napoli..., Napoli 1899, pp. 15-18, 44, 57; G. D'Agostino, Ilgoverno spagnolo..., in Storia di Napoli, V, Napoli s. d. (ma 1972), pp. 65 s.; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XXIV.