CAROTO, Giovanni Francesco
Figlio di Pietro da Caravaggio, nacque probabilmente a Verona attorno al 1480, cioè ad una data media fra quelle riferite dai registri di S. Maria Antica: 1478, 1479, 1482 (Simeoni, p. 65, anche per le informazioni che seguono). Di fatto, il 3 febbr. 1499 lo zio del pittore, don Stefano del fu Betin Baschi di Caravaggio, cappellano di S. Maria in Organo, per ottenere la cittadinanza veronese dichiara che già da molti anni risiede a Verona. Inoltre negli atti del Consiglio, del 1508, il C. viene nominato quale "pittore egregio…, che abita a Verona con la famiglia da ventisei anni e più…"; oltre che pittore il C. è ricordato come speziale, quindi godette di una certa agiatezza: 100 ducati gli erano venuti dalla moglie, aveva acquistato beni immobili a Casale e a Palù, e sua era la casa con la spezieria, situata in piazza delle Erbe a Verona.
Secondo il Vasari (p. 280), che sembra fosse in relazione con il fratello del C., Giovanni, l'artista, avendo lasciato gli studi letterari, "si pose a imparare la pittura con Liberale Veronese", diventando poi discepolo diretto del Mantegna, che "mandava di fuori dell'opere di lui per di sua mano". Questo primo periodo di apprendistato nella bottega di Liberale, insieme con la dipendenza dai moduli mantegneschi, è molto significativo per la prima formazione del Caroto. La sua prima opera nota, firmata e datata, la Madonna cucitrice, del 1501 (Modena, Galleria Estense; sul cartiglio si legge ora la data 1521, risultato forse di una recente ridipintura, invece di quella 1501, tradizionalmente riferita nella letteratura: vedi Franco Fiorio, p. 85), mette chiaramente in luce, nell'impostazione cromatica, legami con lo stile di Liberale, ma anche, e soprattutto, l'accostamento del C. nella sua fase iniziale ai motivi mantegneschi. Una variante, firmata ma non datata, delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, n. 609, ritenuta da molti studiosi anch'essa opera giovanile (ibid., p. 91), è però certamente più tarda e caratterizzata da elementi del Lotto e del Previtali. Più che una permanenza stabile presso Mantegna, come risulterebbe dal Vasari, sembra che il C., recandosi forse nella non lontana Mantova per ripetuti, brevi soggiorni, avesse avuto già nel 1502 a Verona uno studio separato, dato che in quell'anno è chiamato "pictor" nell'estimo della contrada di S. Maria in Organo (Simeoni, p. 66). Della stessa data risulta essere anche la pala dell'altar maggiore, SS. Caterina, Sebastiano e Rocco, attualmente smarrita, già nella chiesa veronese di S. Caterina presso Ognissanti (Franco, Fiorio, p. 29). I contatti con la cultura emiliana, in specie con L. Costa, riecheggiano nelle quattro tavole con le Storie dell'infanzia di Cristo, degli Uffizi, un tempo portelle dell'altare dei Magi nella chiesa di S. Cosimo a Verona, collocate dal Vasari tra "le prime opere che facesse, uscito che fu di sotto al Mantegna…", ma considerate posteriori al 1508 dalla Franco Fiorio (p. 83) per i contatti con la cultura lombarda. Nel 1508 il C. è documentato a Verona dove, già vedovo della figlia di Baldassare Gandoni (Simeoni, p. 66), che secondo il Vasari era morta di parto, acquistò una casa a nome del figlio Bernardino. Con l'Annunciazione ad affresco nella chiesetta del convento di S. Gerolamo, firmata e datata 1508, una delle sue opere più note e certamente tra le migliori, si può dire concluso il periodo giovanile del Caroto.
La fase intermedia dell'attività pittorica del C. va indubbiamente messa in relazione con il suo interesse per la pittura lombarda ed è collegabile con il soggiorno del pittore alla corte di Anton Maria Visconti a Milano, riferitoci dal Vasari. Nell'ambiente cosmopolita di colui che divenne conte di Sesto Calende nel 1514, egli entrò probabilmente attorno a questa data in contatto con il Bramantino, con il Luini, con Cesare da Sesto e con l'arte fiamminga. Mentre era a Milano, il C. fu "chiamato da Guglielino marchese di Monferrato" (Vasari, p. 283). Ricordi della pittura fiamminga, lo sfumato leonardesco, nonché spunti tratti dalle opere del Luini e del Solario sono infatti presenti nella Pietà proveniente da Casale (Torino, coll. Fontana), un'opera, firmata e datata 1515, importantissima per la cronologia carotiana. Il C. è documentato a Casale Monferrato nel 1516 e nel 1517 (Vesme, p. 41); nel 1518, dopo la morte del marchese mecenate (Vasari, pp. 283 s.), è probabile, ma non certo, che abbia lasciato il Monferrato; certo è che vi si trovava nel 1523 (Vesme, p. 41) per curare sue proprietà immobiliari. A quel periodo va assegnato il S. Sebastiano, firmato, in S. Stefano a Casale Monferrato (Franco Fiorio, p. 49, puntualizza la data al 1523), anch'esso di ispirazione lombarda, bramantinesca, in specie per quanto riguarda la tipologia del santo, ma anche con segni correggeschi (Del Bravo, p. 10). Agli anni 1517-1518 risale anche una rarissima moneta con Ritratto di Bonifacio Paleologo giovane, marchese del Monferrato, firmata "F. Caroti op." e nota già al Vasari (cfr. Milanesi, p. 286 n. 2). Poco dopo il suo ritorno a Verona il C. dipinse probabilmente il polittico di S. Giorgio in Braida (datato 1510-1515 da Del Bravo, p. 7), ancora pieno di reminiscenze lombarde (Cesare da Sesto, Bramantino).
La quasi continua presenza del C. a Verona dopo il 1523 - le notizie si susseguono in quel tempo con una certa regolarità - viene testimoniata sia dai documenti di archivio sia dalle opere datate.
Anche in questo periodo della maturità, il C. si dimostra un eclettico convinto. Il continuo mutare del suo linguaggio pittorico sembra alludere a diversi viaggi a Bergamo, a Ferrara e a Mantova (sono noti i suoi rapporti con Margherita Paleologa, duchessa di Mantova: Franco Fiorio, p. 23), ma forse anche a Bologna e a Parma. Del 1524è un affresco in palazzo Portalupi a Verona, Dio Padre e le sette Virtù, eseguito per Giulio della Torre; la presenza del C. a Verona è documentata anche nel 1526(ibid., p. 22) e nel 1527, anno in cui è datata la Natività di Maria (Bergamo, Acc. Carrara, n. 1.045).Questa tavola, testimonianza dell'influsso della cultura ferrarese garofaliana subito in quel tempo, insieme con la Strage degli Innocenti (dello stesso museo) faceva parte di una predella citata dal Vasari sull'altare della Madonna in S. Bernardino a Verona. Nel 1528il C. datò la pala di S. Fermo Maggiore (Madonna in gloria e santi), uno dei suoi quadri più noti, anch'esso lodato dal Vasari, con elementi stilistici raffielleschi ed infiltrazioni fiorentine (Del Bravo, p. 12, cita al confronto rapporti con G. Bugiardini), e l'Annunciazione, giàa San Pietro in Cariano, villa Monga (attualmente forse negli Stati Uniti), dello stesso anno, dipinta per la chiesa veronese di S. Bartolorneo, con un ritorno ai prototipi lombardi leonardeschi. Attorno al 1528, nel periodo certamente culminante dell'attività del C., in un momento stilistico affine alla pala di S. Fermo, va riferito anche lo stupendo S. Giovanni in Patmos della Galleria nazionale di Praga, con componenti miste sia lombarde sia toscane (infatti M. Bacci, Piero di Cosimo, Milano 1966, p. 127, attribuisce il dipinto ad un seguace di Piero di Cosimo). Esso doveva far parte di una composizione più ampia con il Padre Eterno nella parte superiore, come dimostra una copia anteriore alla spartizione, conservata significativamente in Toscana (Cortona, Acc. Etrusca; fot. della Sopr. alle Gall. di Firenze, n. 31.880), che reca un'iscrizione in basso a sinistra: "… no di Baccio Bonetti, da Cortona, . 1634 .", che va riferita piuttosto al donatore che al pittore. Sempre nel 1528il C. è nominato a Verona nel testamento di Gerolamo Pompei (Franco Fiorio, p. 22)e nel 1529 nei registri della contrada di S. Maria Antica, dove gli vengono attribuiti cinquant'anni di età (Simeoni, p. 65). Nel 1530 il pittore firma la Sacra Famiglia, già nella collezione Crespi a Milano, di gusto manieristico, come quella n. 114 del Museo di Castelvecchio di un anno posteriore; entrambe dimostrano una adesione ai modi di Giulio Romano (Del Bravo, p. 12, vi nota componenti correggesche). Sempre del 1531è la Resurrezione di Lazzaro, firmata e datata, del palazzo arcivescovile di Verona.
Le ultime due opere datate del C. (di un eclettismo superficiale e prive di partecipazione profonda) risalgono, rispettivamente, al 1540 la paia d'altare, mal giudicabile per il cattivo stato di conservazione, con lo Sposalizio di s. Caterina, nella parrocchiale in Bionde di Visegna, e al 1545 la pala con S. Orsola in S. Giorgio in Braida a Verona, di impronta raffaellesca. Negli ami 1541, 1543, 1545 e nel 1554 il C. è ricordato dai documenti a Verona (Simeoni; Franco Fiorio, p. 23), ma sembra aver già rinunciato nell'ultimo decennio della sua vita all'attività pittorica, non riuscendo più ad assimilare le idee nuove. Nel 1555 il C. fa il suo testamento, rogato il 29 aprile (Simeoni, p. 66), e muore probabilmente poco dopo. Fu sepolto, secondo il Vasari (p. 288), "nella sua cappella di San Niccolò nella Madonna dell'Organo, che egli aveva delle sue pitture adornata".
Fonti e Bibl.: Si rinvia agli studi più recenti di M. T. Franco Fiorio, G. F. C., Verona 1971 (bibl.: pp. 137-139; catalogo ragionato delle opere: pp. 78-129), e di P. Marchiori, G. F. C., in Maestri della pittura veronese, a cura di P. P. Brugnoli, Verona 1974, pp. 161-172 (bibl.: pp. 171 s.; catal. delle opere: pp. 168-170); ma vedi anche: G. Vasari, Le vite…, a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 280-88; A. Vesme, G. F. C. alla corte di Monferrato, in Arch. stor. dell'arte, I(1895), pp. 33-42; L. Simeoni, Nuovi docc. sul C., in L'Arte, VII(1904), pp. 64-67; C. Del Bravo, Per G. F. C., in Paragone, XV (1964), 173, pp. 3-16; B. B. Fredericksen-F. Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Century Ital. Paintings in North American Public Collect., Cambridge, Mass. 1972, p. 47; G. F. Viviani, La villa nel Veronese, Verona 1975, pp. 371, 375 s., 515, 613; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VI, pp.33 s.; Encicl. Ital., IX, p. 124; Dizion. enciclop. Bolaffi dei pitt. e degli incisori ital. dall'XI al XX sec., III, pp.92-96 (con un elenco delle opere attribuite al C., riapparse di recente sul mercato: ad esempio, il Ritratto del marchese del Monferrato, Sotheby, giugno 1970).