ROSSI, Giovanni Francesco
de. – Giovanni Francesco de Rossi, di cui s’ignora la precisa data di nascita, era figlio di Domenico (non si conosce, invece, il nome della madre), scultore originario di Fivizzano, nell’odierna provincia di Massa e Carrara, e assai attivo a Roma in alcuni importanti cantieri diretti da Gian Lorenzo Bernini fino al 1654, anno della sua morte. Si deve dunque presumere che il giovane Giovanni Francesco abbia imparato i rudimenti del mestiere dal padre elaborando poi un linguaggio vagamente algardiano, probabilmente favorito dalla collaborazione con Ercole Ferrata.
La prima presenza dello scultore in una commissione pubblica è fissata tradizionalmente ai primi anni Quaranta nella chiesa romana di S. Caterina a Magnanapoli, per la quale eseguì le due statue monumentali in stucco della santa eponima e di S. Domenico per le nicchie del portico d’ingresso. La tradizionale datazione all’esordio del decennio, proposta da Rudolf Wittkower (1935), deve essere più plausibilmente spostata verso la fine; l’architetto Giovan Battista Soria lavorò all’edificazione della facciata tra il 1643 e il 1648 e si deve supporre che l’esecuzione delle due statue sia stata avviata soltanto verso la fine di questo cantiere (Curzietti, 2011). Si possono invece datare con certezza al 1647 le due figure in stucco della Misericordia e della Fortezza assise sull’arco della navata maggiore della basilica di S. Pietro che apre verso la prima cappella di destra: sotto la direzione di Bernini, Giovanni Francesco realizzò la prima in collaborazione con il padre Domenico e la seconda in completa autonomia (Enggass, 1978). Sempre nello stesso anno troviamo lo scultore impegnato nell’esecuzione di «due angeli per l’altare della Santissima Madonna delle Gratie» (Curzietti, 2011), da identificare con il primigenio allestimento dell’altare – oggi perduto e sostituito a opera di Antonio Asprucci nel 1792 – della Madonna di Loreto, che fu incoronata per la prima volta dal Capitolo vaticano nel 1644.
Al 1648 risale il coinvolgimento di Rossi nei lavori della cappella Pasqualoni in S. Lorenzo in Lucina, per la quale scolpì quattro busti-ritratto di esponenti della famiglia, oggi non identificabili a causa della rimozione degli epitaffi alla metà dell’Ottocento. Per queste opere, il cui ultimo pagamento risale al maggio del 1657, lo scultore fu retribuito per un totale di 126 scudi (Curzietti, 2011). Nel 1649, nel corso dei restauri della basilica lateranense promossi da Innocenzo X in vista del Giubileo, venne assegnata all’artista l’esecuzione di uno dei dodici rilievi in stucco che sovrastano le nicchie della navata centrale, disegnate da Francesco Borromini: la Discesa di Cristo nel Limbo costituisce una delle migliori prove di Rossi, anche grazie ai suggerimenti compositivi forniti da Alessandro Algardi, consulente del cantiere per la parte scultoreo-decorativa. Del rilievo esistono due modelli preparatori in terracotta: il primo, in controparte rispetto alla redazione finale, si trova al Victoria and Albert Museum di Londra ed è assegnato ad Algardi da Jennifer Montagu (1985), mentre il secondo, al Museo nazionale di palazzo Venezia, già attribuito ad Antonio Raggi (Sculture in terracotta…, 1991; Barberini, 1994), è più probabilmente dello stesso Rossi per la qualità non elevatissima della modellazione (Ferrari - Papaldo, 1999; Giometti, 2011).
Ancora al 1649-50 deve essere collocato l’intervento dello scultore nella cripta del tempietto di S. Pietro in Montorio, nella cui volta realizzò in stucco una serie di riquadri con storie della vita di s. Pietro (Giometti, 2009, p. 359).
Terminati i suddetti lavori, Rossi deve aver lasciato Roma per la Polonia, forse alla ricerca di un maggiore riconoscimento professionale. Le cause e le modalità del suo arrivo sono ancora da chiarire, ma è assai probabile che l’invito gli sia giunto da Ludovico Fantoni, segretario del re Giovanni Casimiro (1648-68), che soggiornò in Italia dall’autunno del 1650 fino al maggio del 1651 (Mossakowski, 2009, p. 37). Rossi approdava in un ambiente in cui l’arte italiana era già grandemente apprezzata e che vantava, fin dall’inizio degli anni Trenta del secolo, la presenza dell’architetto e musicista Giovanni Battista Gisleni (1600-1672), con il quale avrebbe più volte collaborato. L’artista divenne dunque un vero e proprio ‘scultore di corte’, come stanno a testimoniare lo stipendio di 300 zloty che ricevette tra la metà del 1651 e la metà del 1653 e i due busti del re Giovanni Casimiro e della regina Ludovica Maria Gonzaga, oggi al Nationalmuseum di Stoccolma (Tomkiewicz, 1957, pp. 201-207; Kozak, 1976, p. 193, schede nn. 218-219). In questi anni fu molto proficua la collaborazione con Gisleni, attestata dal monumento del vescovo Piotr Gombicki nella cattedrale di Cracovia, opera firmata (GIO. FRA.CO ROMANO) e di cui esiste il disegno preparatorio redatto dall’architetto (Gabinetto disegni e stampe del Castello Sforzesco di Milano, fondo Martinelli, vol. I, n. 66; Czyżewski - Walczak, 2015, p. 195), con alcune modifiche rispetto alla messa in opera del sacello. Una versione in stucco del busto dello stesso vescovo è conservata nella chiesa di S. Maria a Cracovia, in una nicchia sopra l’ingresso della sacrestia. Sempre al concorso con Gisleni, seppur in via dubitativa, si possono associare il monumento di Teodora Krystyna Sapieha nella chiesa di S. Michele a Vilnius e quello del vescovo Jerzy Tyszkiewicz nella cattedrale di S. Stanislao della stessa città (Gabinetto disegni e stampe del Castello Sforzesco di Milano, fondo Martinelli, vol. I, n. 58; Czyżewski - Walczak, 2015, p. 202), di cui resta soltanto il busto del prelato benedicente che poggia su un basamento mistilineo. Inoltre Zygmunt Waźbiński (1987, pp. 246 s.) assegna con buona ragione a Rossi il busto del vescovo Adam Kos nel monumento del prelato nella cattedrale di Chełmża.
L’esperienza professionale di Rossi in Polonia si concluse nel 1655, anno in cui lo scultore fece ritorno a Roma, probabilmente richiamato dalle incombenze familiari dovute alla scomparsa, occorsa il 6 febbraio 1654 (Guerrieri Borsoi, 2004, pp. 199 s.), del padre Domenico, che lo aveva nominato erede universale. Questa nuova stagione professionale si aprì con l’ingresso dello scultore in un grande cantiere berniniano, quello della decorazione di S. Maria del Popolo, per il quale realizzò le figure in stucco di S. Teresa, S. Caterina da Siena, S. Martina e S. Agnese, assise a coppie rispettivamente sul primo e sul quarto arco del lato destro della navata, e per le quali ricevette 130 scudi tra il 24 agosto 1655 e il 14 novembre 1656 (Cugnoni, 1883, pp. 524-526). Dopo essere stato ammesso all’Accademia di S. Luca nel luglio del 1657 (Wittkower, 1935, p. 64), lo ritroviamo, l’anno seguente, a collaborare con Carlo Rainaldi, dal quale ricevette 80 scudi «a conto d’alcune figure» per l’altare maggiore di S. Girolamo della Carità (Curzietti, 2011, p. 106). La decorazione dell’altare fu rinnovata nel 1737, e dunque non sappiamo quale sia stato l’effettivo apporto di Rossi, ma la Carità e la Fede in stucco adagiate sull’arcone potrebbero essere assegnate alla sua mano, come già notava Alberto Riccoboni (1942, p. 194). Più problematico risulta associare a degli interventi precisi i pagamenti effettuati dal cardinale Vincenzo Costaguti, tra il 1658 e il 1660, per lavori non ben specificati forse nella sua villa di Porta Pia, e da Benedetto Cossa, tra il 1659 e il 1661, ancora per un’opera non identificata (Curzietti, 2011, pp. 106 s.).
Il 16 dicembre 1660 Rossi fu chiamato dai Pamphilj a partecipare alla grande impresa decorativa di S. Agnese in Agone, insieme a Ercole Ferrata, Melchiorre Cafà, Antonio Raggi: entro il 1664 portò a compimento il rilievo per il primo altare laterale destro, con Papa Sisto III ed Eufemiano che ritrovano il cadavere di s. Alessio (Titi, 1987), forse la sua opera più conosciuta, anche se non pienamente riuscita a livello compositivo. Sempre nella stessa chiesa pamphiliana, nel 1669 collaborò con Ferrata nel portare a termine il rilievo con il Martirio di s. Eustachio di Cafà, scomparso prematuramente nel 1667. Nel corso di questo decennio Rossi fu impegnato in realizzazioni scultoree di varia natura: nel 1661, ad esempio, scolpì il busto per il monumento funebre di Giacomo Gamba in S. Maria ad Martyres (Pantheon; oggi nella prima cappella a destra), commissionato dal fratello del defunto e saldato per un totale di 80 scudi (Curzietti, 2011, p. 110). Al 1662 risale invece la commissione per la figura assisa di S. Tolomeo, destinata a essere posta sotto l’altare maggiore della cattedrale di Nepi, ove giunse nel 1664 (Felini, 1999, pp. 1-3), mentre nel 1663 Rossi fu chiamato nuovamente dai Pamphilj per un’impresa collettiva nella chiesa di S. Nicola da Tolentino, ove eseguì in stucco l’ottagono con la Beata Chiara da Montefalco per la seconda campata della volta della navata centrale e dieci Angeli,sempre in stucco, per le prime due coppie di finestre e per il finestrone della controfacciata. Sempre in questo contesto, il 2 giugno 1664 venne pagato a saldo per il compimento del rilievo marmoreo con S. Nicola da Tolentino tentato dal demonio, collocato sopra l’ingresso del convento, ora Pontificio Collegio Armeno (Bertolotti, 1882; Zandri, 1987, pp. 96-98).
In quello stesso anno iniziò a lavorare al Cenotafio del cardinale Francesco Cennini de’ Salamandri, poi collocato nella controfacciata di S. Marcello al Corso nel 1668, mentre nel 1665 ricevette il saldo per aver eseguito le dieci Erme per l’esedra del giardino di palazzo Spada (Heimburger Ravalli, 1977). Visto il buon risultato ottenuto, il marchese Orazio Spada pensò di affidargli anche la decorazione con una Gloria di angeli e putti per la volta della cappella di famiglia in S. Maria in Vallicella, su disegno di Camillo Arcucci. La prima redazione dell’opera, risalente al 1666, non venne apprezzata dal marchese, e anche la seconda versione, eseguita subito dopo, non incontrò l’approvazione del committente; soltanto nel 1667, con l’ampliamento della volta a opera di Carlo Rainaldi, Rossi realizzò la composizione finale, comprensiva anche dei tondi in stucco dorato con Storie di s. Carlo Borromeo; forse a causa dei vari accidenti intercorsi durante la lavorazione, il saldo finale gli fu corrisposto soltanto il 5 febbraio 1677 (Pampalone, 1993, pp. 33, 39-41).
Gli anni Settanta del secolo si aprirono per lo scultore con un lavoro per il marchese Fabrizio Naro, il quale, tra il settembre del 1671 e lo stesso mese del 1673, gli corrispose 166 scudi per due ritratti di marmo: si tratta quasi certamente di due opere destinate alla cappella in S. Maria sopra Minerva, in cui compaiono i ritratti dei membri più illustri della famiglia, tra i quali spicca l’effigie del cardinale Gregorio scolpita da Bernini. Tuttavia, al momento attuale, non è possibile identificare i due busti eseguiti da Rossi, e l’attribuzione allo scultore di quello ritraente Bernardino Naro, scomparso proprio nel 1671, resta dubitativa (Curzietti, 2011, p. 113). Sempre alla Minerva, Rossi prese parte all’impresa collettiva del sepolcro del cardinale Carlo Bonelli, su progetto di Rainaldi, realizzando tra il 1674 e il 1675 la figura della Temperanza, per la quale ricevette un compenso di 190 scudi (Giometti, 2005, pp. 174-178), mentre l’anno seguente lavorò nella cappella dell’abate Elpidio Benedetti in S. Luigi dei Francesi, eseguendo in stucco il coro di angeli adoranti e putti reggighirlanda che emergono dalle nuvole della cupola (Giometti, 2009, p. 361). L’ultima opera nota di Rossi, risalente al 1677 circa, è il monumento ad Antonio Borani nella chiesa di S. Isidoro, ricordato per la prima volta da Filippo Titi a partire dall’edizione del 1686; dopo quest’intervento non si hanno ulteriori notizie sullo scultore.
Fonti e Bibl.: F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma (1674-1763), ed. comparata a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Firenze 1987, pp. 76, 90, 146, 172, 180, 202, 206 s.; A. Bertolotti, Artisti modenesi, parmensi e della Lunigiana a Roma nei secoli XV, XVI e XVII. Ricerche e studi negli archivi romani, Modena 1882, p. 97; G. Cugnoni, Appendice al Commento della Vita di Agostino Chigi il Magnifico, in Archivio della Società romana di storia patria, 1883, vol. 6, pp. 139-172, 497-539 ; R. Wittkower, R. G.F., in U. Thieme - F. Beker, Künstlerlexikon, XXIX, Leipzig 1935, p. 64; A. Riccoboni, Roma nell’arte: la scultura nell’Evo moderno, dal Quattrocento ad oggi, Roma 1942, pp. 192-194; W. Tomkiewicz, Francesco Rossi i jego działalność rzeźbiarska w Polsce, in Biuletyn Historii Sztuki, XIX (1957), pp. 199-217; S. Kozak, Schede nn. 218-219, in Stzuka dworu Wazów w Polsce (catal.), a cura di A. Fischinger, Kraków 1976, pp. 193, 230, 235, 238; M. Heimburger Ravalli, Architettura, scultura e arti minori nel Barocco italiano. Ricerche nell’archivio Spada, Firenze 1977, p. 147; R. Enggass, New attributions in St. Peter’s. The spandrel figures in the nave, in The Art Bulletin, 1978, vol. 60, n. 1, pp. 96-108; J. Montagu, Alessandro Algardi, I-II, New Haven-London 1985, pp. 29, 118, 240, 254, 344 s.; Z. Waźbiński, Uno scultore algardiano in Polonia: «Gio. Fra.co Rossi Romanus», in Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, a cura di M. Fagiolo, Roma 1987, pp. 241-249; G. Zandri, San Nicola da Tolentino, Roma 1987, pp. 65, 89, 96-98; Sculture in terracotta del barocco romano. Bozzetti e modelli del Museo nazionale del Palazzo di Venezia (catal.), a cura di M.G. Barberini, Roma 1991, pp. 35 s.; A. Pampalone, La cappella della famiglia Spada nella Chiesa Nuova. Testimonianze documentarie, Roma 1993; M.G. Barberini, I bozzetti ed i modelli di Cavaceppi, in Bartolomeo Cavaceppi scultore romano (1717-1799) (catal.), a cura di M.G. Barberini - C. Gasparri, Roma 1994, pp. 115-137; A. Bacchi, G.F. de R., in Scultura del ’600 a Roma, a cura di A. Bacchi, Milano 1996, p. 841; G. Felini, Scultura romana del Seicento a Nepi: il San Tolomeo di G.F. de R. ed il San Romano di Ercole Ferrata, in Biblioteca Società. Quaderni della rivista del consorzio per la gestione delle biblioteche comunale degli Ardenti e provinciale Anselmo Anselmi di Viterbo, XXXI (1999), pp. 1-8; O. Ferrari - S. Papaldo, Le sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, ad ind.; M.B. Guerrieri Borsoi, La decorazione di Santa Marisa Porta Paradisi, in Studi sul Barocco romano. Scritti in onore di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Milano 2004, pp. 197-207; C. Giometti, Nuovi contributi per Michel Maille scultore in marmo, in Prospettiva, 2005, nn. 117-118, pp. 173-182; C. Giometti, “Li stucchi sono bellissimi, e ricchissimi d’oro”. La fortuna della decorazione in stucco a Roma in epoca tardo-barocca, in Material of sculpture. Between technique and semantics. Atti del Convegno… 2007, a cura di A. Lipinska, Breslavia 2009, pp. 349-366; S. Mossakowski, Gli anni romani di Giovanni Battista Gisleni, in Biuletyn Historii Sztuki, LXXI (2009), 1-2, pp. 35-56; J. Curzietti, La decorazione della cappella Pasqualoni in San Lorenzo in Lucina. Note e documenti su Domenico e G. F. de R., in Storia dell’arte, XLII (2011), 128, pp. 98-121; C. Giometti, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia. Sculture in terracotta, Roma 2011, pp. 48, 59; K.J. Czyżewski - M. Walczak, The monuments with portrait busts of the bishops of Cracow: on the history of the reception of Roman Baroque models of sepulchral art in Poland (Bernini - Algardi - Rossi), in Artibus et historiae, 2015, n. 71, pp. 181-223.