BARBIERI, Giovanni Francesco detto il Guercino
Nacque a Cento (Ferrara) l'8 febbr. 1591 da Andrea e da Elena Ghisellini. Il soprannome "Guercino", con il quale egli fu ed ègeneralmente conosciuto, trae origine da una forma di strabismo provocato da uno spavento avuto nell'infanzia. Secondo il Passeri i genitori erano contadini e il padre faceva il taglialegna (il Calvi dice semplicemente che la famiglia "abitava tra i villici in qualità di pigionante in una piccola casa fuori di Cento"). Fantastico appare il racconto del Passeri secondo il quale il giovane Guercino avrebbe frequentato la casa dei Carracci a Bologna (erano clienti di suo padre) e Annibale lo avrebbe incoraggiato a dedicarsi alla pittura: Annibale lasciò Bologna per Roma nel 1595, quando il Guercino aveva solo quattro anni. Secondo il Malvasia, l'inclinazione del Guercino per la pittura si manifestò assai presto: egli menziona una Madonna di Reggio (ancora esistente quando scriveva il Calvi, 1808) che l'artista avrebbe dipinto sulla facciata della sua casa all'età di otto anni. La formazione artistica del Guercino fu ben poco influenzata da brevi periodi di studio presso maestri emiliani minori: Bartolomeo Bertozzi da Bastiglia (Modena), G. B. Cremonini e Benedetto Gennari da Cento e il quadraturista Paolo Zagnoni. Il gusto pittorico del B. fu stimolato piuttosto da artisti emiliani dall'individualità più spiccata: in particolare da Ludovico Carracci a Bologna, B. Schedoni a Parma e lo Scarsellino a Ferrara, tutti validamente impegnati a superare i limiti del tardo manierismo in Emiìia. In particolare la Sacra Famiglia con s. Francesco (1591) di Ludovico per la chiesa dei cappuccini di Cento (ora nella Pinac. di Cento) fu, come appare chiaro, un'opera fondamentale per la prima formazione del Guercino ed egli stesso più tardi ne diede atto. Inoltre Ludovico, caposcuola della pittura bolognese di questo periodo, fu tra i primi a riconoscere le eccezionali qualità del giovane artista. Per esempio, nel 1617, nelle lettere a don Ferrante Carli egli lo nominava più volte: "si porta eroicamente... dipinge con somma felicità d'invenzione. E gran disegnatore e felicissimo coloritore; e mostro di natura e miracolo da far stupire chi vede le sue opere" (Bottari-Ticozzi, I, pp. 286-289).
Altra importante esperienza per il giovane Guercino fu il soggiorno a Venezia nel 1618: qui egli studiò le opere dei grandi pittori del sec. XVI e fu particolarmente colpito dalla pittura di Tiziano. La critica contemporanea generalmente non accetta la ipotetica visita del Guercino a Roma nella prima decade del Seicento, dove sarebbe stato influenzato in modo determinante dalla maniera rivoluzionaria del Caravaggio. Pare apocrifa l'asserzione del Passeri che egli avesse incontrato il Caravaggio e che ne fosse stato nominato assistente per la decorazione della cupola del santuario di Loreto. Questo incontro sarebbe avvenuto prima della partenza del Caravaggio da Roma nel 1606, ma sembra molto improbabile che una impresa tanto importante fosse affidata a un artista così giovane e ancora così poco conosciuto come era a quell'epoca il Guercino (come Hess ha notato nel commento al Passeri, probabilmente questo episodio riguardava, invece, Guido Reni). Inoltre le tonalità cupe e il gioco drammatico di luci e ombre che caratterizzano l'opera del Guercino precedente al suo primo accertato soggiorno romano (1622) appaiono essersi svolte indipendentemente dal Caravaggio ed essere piuttosto un tentativo di sviluppo di certe implicazioni insite nello stile pittorico di Ludovico Carracci.
Fra le prime commissioni importanti ricevute dal Guercino a Cento furono gli affreschi decorativi nella casa di Alberto Provenzale (1614), in cui D. Mahon (The Burlington Magazine, LXX [19371, pp. 112 ss.) ha ravvisato chiare tracce dello studio degli affreschi dei Carracci a palazzo Fava a Bologna. Nel 1615-17 il Guercino decorò varie stanze della casa di Bartolomeo Pannini sempre a Cento: si tratta di uno dei complessi più poeticamente suggestivi della pittura italiana del sec. XVII e comprende le Storie di Ulisse, vari soggetti mitologici e una serie di vignette che illustrano aspetti della vita quotidiana di Cento, oltre ad alcune deliziose scene di vita agreste in Emilia (questi affreschi sono ora nella piccola pinacoteca di Cento). A quest'ep;Dca evidentemente il Guercino cominciava ad essere conosciuto al pubblico colto di Bologna. Secondo il Malvasia, già nel 1613 un gruppo di pittori bolognesi si recò a Cento per vedere le sue opere e nello stesso anno il B. eseguì diverse pitture per i Pepoli di Bologna. Nel 1615 il cardinale arcivescovo di Bologna, Alessandro Ludovisi, chiamò il giovane pittore a Bologna per conoscerlo di persona e su consiglio di Ludovico Carracci acquistò per 75 scudi tre pitture con gli Evangelisti e promise di acquistare il quarto della serie, una volta terminato (i quadri si trovano ora nella Pinac. di Dresda). Nel 1617 il cardinale Ludovisi acquistò altre tele tra cui la bella Resurrezione di Tabita ora nella Gall. Pitti. Nello stesso anno il Guercino affrescò la Lotta di Ercole con l'Idra nel palazzo Tanari a Bologna, opera che colpì a tal punto Ludovico Carracci da fargli dichiarare che per essa non sarebbe stato possibile ricompensare adeguatamente il pittore.
Secondo il Malvasia, nel 1617 il Guercino era tanto noto che la sua bottega era frequentata da ventitré allievi provenienti persino dalla Francia. E grazie a questo interesse per l'insegnamento il Guercino si lasciò persuadere dal suo amico e protettore don Antonio Mirandola di Cento a stendere un libro per illustrare i primi principi del disegno. Della breve descrizione del Malvasia ("teste, mani, piedi, braccia e torsi per insegnare a principianti d'ell'arte") sembrerebbe trattarsi di un libro di disegni illustranti le varie parti del corpo umano. Quando, durante la già ricordata visita a Venezia, il manoscritto originale venne mostrato a Palma il Giovane (con il quale evidentemente il B. intendeva studiare), il Palma avrebbe esclamato: "molto più di me sa questo discepolo". Il manoscritto del Guercino fu inciso nel 1619 da Oliviero Gatti e, con il titolo Primi elementi per Introdurre i Giovani al Disegno..., fu dedicato a Francesco Gonzaga, duca di Mantova, il quale rispose generosamente con un dono di cento scudi e la commissione di una pittura il cui soggetto era a scelta dell'artista. Il Guercino consegnò personalmente al duca il quadro, Erminia tra i pastori, e restò ospite alla corte di Mantova per quindici giorni; in questa occasione il duca lo insignì del titolo di cavaliere. Una seconda onorificenza il B. ricevette un anno dopo, quando un suo autorevole ed illustre protettore, il cardinale Iacopo Serra, il quale era legato papale a Ferrara, lo creò cavaliere dell'Aurata Milizia.
Del 1620 è una delle opere più conosciute del Guercino, il S. Guglielmo d'Aquitania (ora nella Pinacoteca di Bologna), commissionato da Cristoforo Locatelli come pala d'altare per la chiesa bolognese di S. Gregorio. Dato che nella chiesa il quadro doveva essere collocato vicino a un'opera di Ludovico Carracci, il Guercino, nella sua modestia, era riluttante ad accettare la commissione; la circostanza lo sollecitò comunque a impegnarsi seriamente e ne risultò uno dei capolavori più significativi del barocco italiano: una composizione straordinariamente vigorosa e drammatica resa con colori vellutati e ricchi, in cui l'azione scaturisce da un potente contrasto di luci e ombre.
Nel febbraio 1621, eletto papa col nome di Gregorio XV il cardinale Alessandro Ludovisi, questi si affrettò a convocare a Roma il suo pittore favorito. Secondo il Malvasia il Guercino giunse in Vaticano il 12 maggio 1621 con l'incarico di decorare la Loggia della Benedizione per 22.000 scudi. Questo progetto non venne mai eseguito, probabilmente a causa della morte del pontefice (8 luglio 1623); nondimeno durante i tre anni (1621-23) di soggiorno a Roma il B. portò a termine una serie di opere importanti.
Oltre al ritratto del pontefice (Stafford House, Londra), esegui numerosi affreschi nella villa suburbana dei Ludovisi (il cosiddetto casino Ludovisi): nella volta di una stanza al pianterreno della villa dipinse un'Aurora, opera di grande lirismo e alto esempio di decorazione illusionistica barocca. Il romano Agostino Tassi eseguì le quadrature. In un'altra stanza, sempre al piano terreno, il B. dipinse, mettendosi così a competere con gli specialisti della pittura di paesaggio, Paolo Brill e G. B. Viola, una deliziosa scena con figure maschili e femminili elegantemente abbigliate che passeggiano in un giardino, mentre in secondo piano una nota umoristica è data da un gruppo di visitatori investiti da getti d'acqua. In una stanza dell'appartamento al primo piano egli dipinse la Fama che attraversa i cieli con tromba e ramo d'olivo in mano, annunciatrice di pace. Il papa commissionò al Guercino la pala d'altare per la cappella di S. Petronilla in S. Pietro: di dimensioni straordinariamente grandi, doveva rappresentare la Sepoltura della santa. Per questa pittura (Roma, Musei Capitolini) l'artista ricevette 1000 scudi e una catena d'oro. L'opera ebbe non solo l'entusiastica approvazione degli amatori, ma anche vivaci accoglienze nell'ambiente artistico romano. Il Lanfranco, per esempio, dichiarò che "quel solo quadro bastava ad atterrire qualunque pittore" (Calvi, p. 19). Il Guercino eseguì numerose commissioni per altri importanti clienti romani, famiglie patrizie e alti e influenti prelati. Per il cardinale Scipione Borghese dipinse un S. Crisogono in gloria per il soffitto della chiesa di S. Crisogono a Trastevere (l'originale è a Stafford House, Londra, mentre in situ è una copia); a palazzo Patrizi (ora Costaguti) il B. dipinse a fresco una bella decorazione con il Carro di Armida, ecc.
Dopo la morte di Gregorio XV il Guercino volle ritornare a Cento presso la famiglia per portare a termine le commissioni che aveva lasciato incomplete quando era stato chiamato a Roma. Da questo momento sino al 1641 egli stabilì il suo studio a Cento dove riceveva le commissioni e accoglieva visite di personaggi importanti. Tra questi fu la regina Cristina di Svezia, a proposito della quale si narra che avesse chiesto il permesso di toccare la mano destra dell'artista che, come essa disse, aveva creato tante cose meravigliose. Poco dopo il suo ritorno a Cento il Guercino ricevette l'incarico di dipingere per tale Daniele Ricci una Semiramide, che fu poi inviata in dono a Carlo I d'Inghilterra. Il re fu tanto impressionato da questo quadro da offrire all'artista, secondo il Malvasia, un posto di pittore alla corte inglese. Né questo fu l'unico invito del genere che il pittore ebbe: nel 1633 fu chiamato a Modena dagli Estensi per dipingere i ritratti della famiglia e fu quindi sollecitato a restarvi come pittore di corte. Nel 1639 gli fu offerto un analogo incarico alla corte di Luigi XIII; qualche tempo prima aveva dipinto per la regina di Francia la Morte di Didone (la Didone oggi nella Galleria Spada è una copia autografa acquistata dal cardinale Bernardino Spada); il re di Francia gli offrì un generoso stipendio annuo, alloggio e mantenimento. E' evidente che a quest'epoca il B. era tra i pittori più quotati in Europa: ma egli preferì continuare a vivere semplicemente e in rustica pace nella sua città natale che affettuosamente chiamava "la mia diletta".
Nel maggio 1626, per menzionare una delle sue più importanti attività di questo periodo, il Guercino cominciò a lavorare agli affreschi della cupola della cattedrale di Piacenza. La decorazione era stata iniziata dal Morazzone, che aveva completato, però, al momento della morte, solo due degli otto Profeti progettati per gli scomparti della cupola; il Guercino dipinse gli altri sei profeti. Fortunatamente queste decorazioni si salvarono nel rimaneggiamento dell'interno della cattedrale, eseguito intorno al 1900, che distrusse altri importanti elementi della decorazione barocca di questa splendida chiesa romanica.
Dal gennaio 1629 sino alla morte, si può seguire l'attività del Guercino quasi mese per mese dalle pagine di un libro dei conti tenuto da suo fratello, il pittore di nature morte Paolo Antonio, che teneva studio col Guercino e ne amministrava la casa. Il libro dei conti fu poi continuato dal Guercino stesso dopo la morte del fratello. Questo importante documento, che sino al 1772 appartenne alla famiglia Gennari e poi passò al cav. Filippo Hercolani, fu pubblicato da J. A. Calvi nella sua biografia del Guercino del 1808 (ripubblicata nell'ediz. del 1842 della Felsina pittrice del Malvasia; l'autografo si trova ora nella Bibl. comunale di Bologna, ms. 331). Vi troviamo la lista delle commissioni ricevute dal Guercino in questo periodo insieme con le date, il nome del cliente e il prezzo ricevuto per l'opera. Gran partedell'attività del Guercino venne naturalmente assorbita da clienti residenti in Emilia e in Lombardia (per un elenco cfr. il catalogo delle opere compilato da H. Voss, in Thieme-Becker o il già menzionato libro dei conti).
Nel 1642 il Guercino si trasferì da Cento a Bologna: è certo non senza significato il fatto che nell'agosto dello stesso anno era morto Guido Reni, il pittore che regnava allora a Bologna (il Calvi nota anche che la fortificazione di Cento da parte di Taddeo Barberini, generale delle armate papali, preoccupava molto il Guercino). Il B. stabilì il suo studio in una casa nei pressi della cattedrale di S. Pietro e vi rimase, come il pittore più importante di Bologna, sino alla morte. Il fratello Paolo Antonio continuò ad amministrare l'andamento della casa, e la sua morte nel 1649 costituì un gravissimo colpo per il Guercino che cadde in uno stato di profonda malinconia. Il duca di Modena, Francesco I, venuto a conoscenza del fatto, si adoperò perché il Guercino si potesse trattenere nella sua residenza estiva di Sassuolo in campagnia di altri pittori quali Bartolomeo Gennari, A. M. Colonna, ecc. Al suo ritomo a Bologna il morale dell'artista si era sollevato e suo cognato Ercole Gennari si trasferì con la famiglia nella sua casa per amministrare l'andamento domestico.
Sino alla morte il Guercino continuò a prendere attiva parte alla vita artistica di Bologna. Egli fu fra l'altro uno dei direttori della scuola di disegno dal vero (Accademia del Nudo), nel palazzo del conte Ettore Ghisiglieri.
I biografi più antichi del Guercino insistono sulla sua semplicità e sulla sua modestia e ricordano numerosi esempi della sua pietà religiosa: una cappella nella chiesa del Rosario di Cento, per esempio, fu costruita a sue spese (13770 lire bolognesi) e fu fornita di una pala d'altare di sua mano e dì due statue laterali. Morì scapolo, dopo breve malattia, il 22 dic. 1666, a 75 anni. Fu sepolto, secondo la sua volontà, vestito da monaco cappuccino, vicino a suo fratello, nella chiesa bolognese di S. Salvatore.
La vicenda evolutiva dello stile del Guercino, attentamente analizzata da Denis Mahon nel suo volume Seicento, Art and Theory, è alquanto tormentata. Le opere del periodo giovanile (1615-20) sono eseguite con una maniera ardita, pittoricamente drammatica ("prima maniera gagliarda* la defini più tardi l'artista stesso in una lettera al collezionista messinese Antonio Ruffo) e lo pongono in prima fila fra quegli artisti che nel secondo e terzo decennio del secolo stavano esplorando le possibilità e definendo il carattere di quello stile oggi chiamato "barocco". D'altra parte le esperienze del soggiorno romano - specialmente l'influsso dei classicheggianti Domenichìno e G. Reni e l'amicizia con l'influente teorico dell'arte monsignor Agucchi, segretario dì Gregorio XV - provocarono nello stile del Guercino un deciso indirizzo in senso classico. Al vigoroso dinamismo delle forme nello spazio della sua "prima maniera"subentrò una organizzazione più planimetrica; l'incessante e autonomo movimento della luce sulle forme si tramuta in una graduazione di luce più tiepida che le definisce. Al posto della tipologia rustica caratteristica delle sue opere giovanili troviamo figure che tendono all'ideale; gli atteggiamenti sono studiati e graziosi; un nuovo senso di decoro guida il comportamento dei personaggi. Questo sviluppo è stato generalmente considerato, in ultima analisi, come mortificatore del naturale istinto pittorico del Guercino (Marangoni, 1920), ma resta il fatto che alcune delle opere più belle del B. (come la Madonna col Bambino e s. Bruno nella Pinacoteca di Bologna) sono frutto di questa ultima fase dei suo sviluppo.
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