FATTIBONI, Giovanni Francesco
Nacque a Cesena il 27 dic. 1736, figlio unico del conte Carlo, la cui famiglia era stata al servizio dei Malatesta, e della contessa Anna Dandini. Lo zio, conte Ercole Dandini, aveva conosciuto Pietro Metastasio, figura a cui il F. si ispirò come massimo modello per tutto il tempo che durò la sua vena letteraria, avendo intrattenuto con lui una relazione epistolare.
Le scarne notizie sulla vita del F. si ricavano essenzialmente da un'autobiografia in versi e da un folto carteggio conservati, come d'altronde tutta la restante produzione letteraria, presso la Biblioteca comunale Malatestiana di Cesena. Si può immaginare una personalità vivace e ambiziosa, presto attratta dalla letteratura attraverso la quale il F. aspirava a raggiungere la notorietà.
Un nutrito gruppo di lettere sono indirizzate a svariati personaggi gravitanti attorno alle maggiori corti dei tempo. Il F. perorava la loro mediazione per veder rappresentate le sue opere nei teatri di quelle corti, o addirittura per farsene nominare poeta ufficiale. Le sue mire sono confermate da un carteggio del 1767 con Lorenzo Corsini, cavallerizzo maggiore del granduca Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, in cui avendo presentato il "memoriale" dei suoi quarti di nobiltà chiede insistentemente e con successo di essere ammesso cavaliere nel Sacro Militare Ordine di S. Stefano. Un altro gruppo di lettere del 1767 indirizzate a Giovanni Cristofano Amaduzzi documenta i suoi interessi di storico. Da queste abbiamo notizia che il F., sulle orme di Ludovico Antonio Muratori, pensava di formare a Cesena una Società letteraria per la redazione di una storia cittadina.
Secondo il suo piano, dettagliatamente esposto, la Società letteraria doveva essere composta da tre classi di persone: la prima, col compito di reperire le fonti e di organizzare il piano generale dell'opera; la seconda, di redigerlo; mentre alla terza era affidato lo spoglio dei libri.
Da una cronaca del sec. XVIII di G. Sassi, pure conservata dalla Biblioteca com. Malatestiana, sappiamo che il 15 febbr. 1780 comandava, assieme a Edoardo Giacomo Bandi, i soldati del "Numero dei pontifici", milizia costituita su suo suggerimento in occasione dell'anniversario dell'elezione al soglio pontificio del cesenate Pio VI. La sua fu una presenza tra le più attive sulla scena politica cesenate, sfruttando al massimo le possibilità ancora aperte alla nobiltà locale nei limiti dell'autonomia concessa.
Sposò in seconde nozze, dopo vicende sentimentali piuttosto intricate, la marchesa Maria Albizzi, con la quale ebbe quattordici anni di "coniugio infruttifero". Morirono entrambi a Loreto (prov. di Ancona) nel 1802, il F. il 10 dicembre, a poche settimane di distanza l'una dall'altro, e furono sepolti in un'unica tomba nella cattedrale di quella città; lo stesso F. aveva scritto l'epitaffio.
A raffronto delle scarse indicazioni biografiche, la Biblioteca Malatestiana conserva un cospicuo corpus di opere del F., edite o manoscritte, in versi e in prosa, quasi tutte musicate (cfr. Dell'Amore, in Studi romagn. Appendice). Di esse esistono due edizioni fondamentali: una è del 1777 (Cesena), in due tomi: Opere drammatiche umiliate dall'autore alla Santità di N. S. Pio VI, felicemente regnante; l'altra è del 1790 (Napoli), in quattro tomi: Opere drammatiche umiliate alla S. R. M. di M.a Carolina d'Austria regina delle due Sicilie, di Gerusalemme... . Per la maggior parte sono drammi o azioni sacre; ma l'edizione del 1777 comprende alcuni sonetti, anacreontiche e versi liberi.
Il F. ammette con orgoglio la sua filiazione letteraria da un unico maestro, colui che egli giudica il massimo tra gli autori del tempo: Pietro Metastasio, installato da molti anni, al tempo delle prove del F., alla corte viennese come poeta cesareo. Senza i suoi incoraggiamenti - avverte il F. nell'introduzione alle opere del 1790 - non avrebbe neanche avuto l'ardire di pubblicarle e, se la qualità letteraria raggiunta può vantare qualche pregio, ciò è dovuto solo ai suoi consigli ed ammaestramenti. E che davvero Metastasio non disprezzasse le doti del F. è dimostrato dal carteggio tra i due, dal quale il F. estrae con cura due lettere elogiative e le inserisce compiaciuto in apertura dell'edizione del 1790.
La lettura del restante epistolario rivela un atteggiamento paterno e incoraggiante dell'anziano maestro verso l'alunno diligente, che si applica con uno zelo persino eccessivo nel mettere in pratica tutti gli insegnamenti. Se proprio deve criticare, Metastasio lo fa con la consueta eleganza: lievemente, un po' tra le righe, magari prendendosela più con la materia che non vuol plasmarsi che con l'imperizia di chi scrive. Come nella lettera del 28 sett. 1761 inviata al F. dopo la lettura del suo Giacobbe che, spinto da poco nobili mire, era inadatto a suscitare l'empatia del pubblico. Risalta in questo melodramma la divaricazione totale tra il piano divino e quello umano, con uno scadimento forte della tensione dell'intreccio e del tratteggio psicologico dei personaggi. Isacco ne esce alla stregua di uno dei tanti mariti ingenui della narrativa rinascimentale, ingannato com'è dalla scaltra moglie Rebecca, interprete davvero poco credibile dei disegni della Provvidenza. Al Metastasio questo testo non poteva piacere; ma egli dice di approvare l'impostazione del Giacobbe, che enfatizza l'imperscrutabilità dei disegni divini. Se l'esito non è dei più felici è perché le "sacre carte", i testi biblici offendono il pensiero comune e "non somministrano al povero poeta que' materiali di nobile verisimile de' quali si mitrisce e s'adorna la poesia". E non ha torto, perché in altre opere del F. i momenti migliori - nel pieno rispetto della tradizione arcadica - vanno ricercati proprio nello studio interiore, nell'espressione dei sentimenti delicati e delle passioni.
Le note patetiche prendono il sopravvento anche m drammi di argomento storico come l'Epponina, ambientata al tempo dell'elezione di Vespasiano a imperatore ma nel quale il F. si concentra esclusivamente sulle arie e i recitativi che fanno emergere l'emotività dei personaggi e il tortuoso evolversi delle loro storie amorose. In questa, che è una delle sue prove migliori, si apprezza la vivacità dello stile e l'armonia interna dei tre atti che scorrono senza evidenti cali di tono fino all'irriminciabile lieto fine; l'eleganza persino troppo ricercata dei linguaggio non pregiudica un'immediatezza espressiva destinata a sollecitare le corde di un pubblico assai vasto.
In un'altra lettera del 1763 il Metastasio elogia il buon livello stilistico raggiunto nel David eletto al trono: ma è evidente anche in quest'azione sacra una cesura nettissima tra il lirismo dei dialoghi in cui David ed Egari si dichiarano il loro amore e la voce stentorea ma fredda di Sanniele, che incombe su tutte le ultime scene. A che il F. non sa muoversi con naturalezza tra le sottili architetture della lingua arcadica, cui pure si ingegna di aderire. Privo della necessaria autorità riconosciuta, vuole compiacere a tutti: ai potenti dedicatari delle opere, ai cantanti per i quali concepisce lunghe arie d'effetto ma di scarso valore letterario, al Metastasio verso il quale professa una devozione esagerata, e rinuncia così ad un'autonoinia creativa di cui forse non sentiva neppure la necessità.
La Biblioteca Malatestiana di Cesena conserva anche una serie di opere manoscritte del Fattiboni. Tra queste un trattato di poetica: Della drammatica poesia, discorsi in tredici capitoli, una Storia del vario stato della città di Cesena dalla sua origine fino al pontificato di Pio VIfelicemente regnante e due composizioni dedicate all'educazione dei figli: Mitologia ovvero storia della favola, ed una commedia burlesca dal titolo L'uomo volubile.
Fonti e Bibl.: Cesena, Bibl. com. Malatestiana, Mss. ces. 7.67.2 e 7.67-1 (contenenti due lettere autografe del Metastasio: vedi P. Metastasio, Opere, a cura di B. Brunelli, IV-V, Atilano, 1954, ad Indices); Ibid., ms. 164-34: C. A. Andreini, Notizie delle famiglie illustri di Cesena (ms. sec. XIX), III, ff. 288-290; Ibid., Coll. Mss. XXXI-4: G. Cooke, Memorie delle famiglie cesenati, s.v.; Ibid., ms. 164.70.1: G. Sassi, Cronaca (ms. sec. XIX), ff. 256-257; Ibid., Mss. ces. XVII-5, XXVII 01-1: Vita del conte G. F. F; G. Natali, Il Settecento, Abiano 1947, p. 819; Storia di Cesena, III, La dominazione pontificia, Rimini 1989, ad Indices; R. Dell'Amore, G. F. F., poeta e librettista, in Studi romagnoli, XL (1989) [ma 1993], pp. 195-210 (con l'elenco delle lettere indirizzate al F. conservate nella Bibl. com. Malatestiana, pp. 195 s.n. 4, e Appendice con elenco delle opere a stampa e mss., pp. 207-10); Id., Il cesenate Gianfrancesco F. e l'opera in musica, in La Piè, II (1990), pp. 64-65.