MARATTI, Giovanni Francesco (al secolo Gaetano)
Nacque probabilmente nel 1704 a Roma (Torroncelli, p. 222) o, secondo alcune ipotesi, nella vicina Genzano (Pirotta - Chiovenda, p. 229), da Francesco. I genitori assecondarono la sua inclinazione al chiostro, così il M. entrò nell'abbazia di Vallombrosa nel 1721, a soli 17 anni, emettendo i voti il 24 febbraio dell'anno successivo. Sin da quel periodo, trascorso prima a Vallombrosa, poi, per il completamento degli studi, presso il monastero di S. Michele di Passignano sul Trasimeno, il M. cominciò a interessarsi alle scienze naturali, in particolare allo studio delle piante, sotto la supervisione dell'abate Bruno Tozzi, esperto botanico, con il quale si dedicò all'esplorazione delle aree circostanti il monastero.
Lo studio della fitoterapia e della botanica all'interno dell'Ordine vallombrosano, forte di una lunga tradizione fin dal Medioevo, si impose nei secoli XVII e XVIII all'attenzione di tutta Europa grazie a personaggi di spicco come gli abati Virgilio Falugi, autore delle Prosopopoeiae botanicae (Firenze 1697-1705), Biagio Biagi e lo stesso Tozzi.
Diversi anni più tardi, nel novembre del 1739, il M. fu nominato priore della badia di Galloro, presso Ariccia. Compì escursioni nella zona dei colli Albani in compagnia di un medico locale, Giovanni Antonio Brunetti di Moncalieri, e divenne un grande esperto delle specie vegetali di quel territorio. Grazie alla fama acquisita, nel 1747 il M. fu chiamato dal rettore C. Argenvilliers a Roma come lettore di botanica pratica presso La Sapienza, dietro sollecitazione di Benedetto XIV, dal quale ottenne con breve apostolico, del 17 marzo 1747, la carica di abate titolare. La cattedra di botanica pratica, distinta per iniziativa del pontefice da quella di botanica teorica, comportava oltre all'insegnamento della disciplina specifica, accompagnato dall'ostensione dei semplici, la direzione in qualità di prefetto dell'orto medico botanico dell'Università.
Il M. pronunciò la sua prolusione il 22 maggio 1747 e da allora, per i successivi trent'anni, diresse il giardino dei semplici, che si estendeva per circa un ettaro e mezzo sul colle del Gianicolo. Quando assunse la carica, il luogo si trovava in stato di trascuratezza dopo aver vissuto, dal 1678 al 1708, un primo periodo di splendore sotto la direzione del naturalista G.B. Trionfetti. Il M. arricchì il giardino con nuove specie che andava scoprendo durante le sue perlustrazioni nei dintorni di Roma e con piante che scambiò e acquistò utilizzando i suoi numerosi contatti con illustri colleghi di altre città. In questo modo consolidò la notorietà del giardino anche al di fuori dell'ambito romano. J.E. Ferber lo visitò nel 1772, attestandone la ricchezza delle specie; Ph. Commerson, celebre botanico, aveva in tale considerazione l'orto romano da pensare di donare la sua preziosa collezione di piante.
Tra i più stretti collaboratori del M. era il chirurgo, botanico e chimico Liberato Sabbati, che tenne all'orto di Roma la carica di custode dal 1749 al 1779, ma già precedentemente e in più occasioni aveva frequentato il M., a cui fu molto legato personalmente e professionalmente: lo testimonia la dedica al maestro M., carica di stima e riconoscenza, posta in fine alla sua Synopsis plantarum, stampata a Ferrara nel 1745.
Il rilievo acquisito dal M. nell'ambito della botanica è testimoniato anche dalla sua appartenenza a importanti accademie, come quella dei botanofili di Cortona e la Società botanica fiorentina, e dalle amicizie con celebri colleghi, sia italiani sia stranieri, tra i quali Carlo Allioni, l'inglese James Dickson e il francese Antoine Gouan. Prestigioso fu, inoltre, l'incarico di scrivere le approbationes (i giudizi tecnici sull'operato degli autori e dei vari collaboratori ai volumi) dei primi quattro tomi dell'Hortus Romanus (Roma 1772-76), opera in otto volumi iniziata da G. Bonelli e proseguita da Niccolò Martelli (allievo del M. e suo successore sulla cattedra di botanica pratica), coadiuvato da L. Sabbati e poi dal figlio di lui Costantino. L'autorevolezza del M. è sottolineata dallo stesso Bonelli all'inizio del primo tomo, laddove il M. è definito "in re botanica, et in methodo tournefortiana peritissimo" (Hortus Romanus, I, p. II).
Il M. morì a Roma alla fine di gennaio del 1777. Fu sepolto nel monastero di S. Prassede, dove aveva sempre dimorato negli anni trascorsi a Roma, nella cappella di S. Giovanni Gualberto.
P.O. Swartz denominò Marattia un genere di felci (della famiglia delle Marattiaceae), all'interno del quale si annoverano una sessantina di grosse felci tropicali. Il M., infatti, approfondì il tema della riproduzione delle felci (allora chiamate piante "dorsifere"), sostenendo erroneamente che possedessero fiori: la tesi fu esposta in Descriptio de vera florum existentia, vegetatione, et forma in Plantis Dorsiferis, sive Epiphyllospermis, vulgo capillaribus (Roma 1760), breve pubblicazione completata da una tavola con 12 figure. Su quest'opera il M. scrisse, alcuni anni più tardi, nel 1768, un'apologia in latino, per difendere le proprie teorie dalle obiezioni avanzate dallo studioso Michel Adanson (Bothanophili Romani ad cl. virum Io. Christophorum Amadutium Ariminensem epistola, qua cl. v. Io. Franciscum Marattium Vall. antistitem ad Adansonii Galli censuris vindicat, in Nuova Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, XX, Venezia 1770, pp. 241-247).
L'opuscolo Plantarum Romuleae et Saturniae in Agro romano (Roma 1772) tratta invece nello specifico di due piante da lui scoperte, la Romulea, così denominata in quanto individuata a Roma in cinque specie o varietà, e la Saturnia, reperita nella zona del Gianicolo, secondo la tradizione mitologica sede dei campi coltivati di Saturno. Il M. ne fornisce i caratteri distintivi, quelli specifici e i luoghi di localizzazione.
Nell'opera De Plantis zoophytis et lithophytis in mari Mediterraneo viventibus (ibid. 1776) muta ancora il campo di indagine. In questa sede sono affrontati, in uno studio per generi, specie, varietà e quasi sempre con indicazioni sulle localizzazioni principali (il litorale Tirreno e alcune delle sue isole), i litofiti e gli zoofiti, tra i quali alcioni, idre e coralli. Di questi ultimi si discuteva in quegli anni l'appartenenza al mondo vegetale o animale, e il M. li comprende nel secondo, anche se già diversi studi dell'epoca avevano messo in dubbio una simile convinzione.
Particolarmente importante in quanto espone la summa delle sue approfondite conoscenze delle specie botaniche nelle zone di Roma e dell'Agro romano è l'opera in due volumi Flora Romana, pubblicata postuma a Roma nel 1822 a cura del padre domenicano Maurizio Benedetto Olivieri. La descrizione delle piante, secondo quanto riportato nella prefazione dal tipografo G. Salviucci (Flora Romana, I, p. IX), è basata sui sistemi di Rivinus (A. Bachmann), di G.P. Tournefort e di C. Linneo. Nella dedica iniziale a papa Pio VII, Olivieri racconta di essere venuto in possesso casualmente, acquistandola da un libraio, della stesura manoscritta del M., che per ragioni ignote non era stata data alle stampe prima della morte del botanico, pur essendo già pronta intorno al 1772 (ibid., pp. III s.). Olivieri, che non era botanico ma professore di lingua e umanità greca all'Università romana, ordinò e riorganizzò l'opera, apportando alcuni cambiamenti che non la rendono di facile consultazione. In essa, infatti, sono fusi i due cataloghi, che il M. aveva tenuto distinti, della flora dell'orto botanico e delle piante ritrovate nel corso degli anni nell'Agro romano. Una più recente analisi testuale ha evidenziato, inoltre, come l'opera non nasca dall'integrazione di due soli esemplari manoscritti, ma da più cataloghi di piante preparati dal M. in tempi differenti (Torroncelli, p. 224). Inoltre, l'assenza di un erbario secco costituisce un ulteriore elemento che non rende agevole l'utilizzo dei volumi. Malgrado tali limiti, l'opera denota una conoscenza approfondita e puntuale della flora dei dintorni di Roma, frutto di decenni di escursioni e di studi. Molte specie segnalate e descritte dal M., tra cui alcune rare, furono effettivamente ritrovate nelle vicinanze dei luoghi da lui indicati (Pirotta - Chiovenda, p. 234; Carano, p. 204).
Il M. lasciò un segno rilevante nel campo della botanica, sia come florista ed esperto conoscitore delle piante del circondario romano e del Lazio, sia come scopritore di nuove entità.
Con il M. e con l'altro illustre botanico vallombrosano, F. Witman, si chiude la grande stagione di studi in questo settore all'interno della congregazione che aveva condotto ad affrontare complessi problemi classificatori e ad affermare una maggiore indipendenza dagli studi di medicina degli orti medico-botanici, nei quali acquisirono maggior peso e rilevanza le ricerche sperimentali prettamente botaniche, basate sull'osservazione diretta delle piante.
Fonti e Bibl.: Abbazia di Vallombrosa, Biblioteca, Mss., III.8: Prosopopoeiae botanicae Io. Tournefort methodo dispositae a d. Io. Fran. Maratti hieromonaco Vall.; Hortus Romanus iuxta systema Tournefortianum paulo strictius distributus a Georgio Bonelli…, I, Romae 1772, pp. II, VIII, 7 s.; F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli studi di Roma, IV, Roma 1806, p. 262; O. Raggi, Monumenti sepolcrali eretti in Roma agli uomini celebri per scienze lettere ed arti, I, Roma 1841, pp. 231 s.; G.A. Pritzel, Thesaurus literaturae botanicae, Lipsiae 1872, p. 202; P.A. Saccardo, La botanica in Italia, I, Venezia 1895, p. 102; R. Pirotta - E. Chiovenda, Flora romana, II, Roma 1901, pp. 229-236; E. Carano, La botanica in Roma e nel Lazio, in Le scienze fisiche e biologiche in Roma e nel Lazio, a cura di G. Agamennone et al., Roma 1933, pp. 203 s.; G. Negri, Vallombrosa nella storia della botanica toscana, in L'abbazia di Vallombrosa nel pensiero contemporaneo, Livorno 1953, pp. 184 s.; M. Mazzucotelli, Ambienti monastici italiani e mondo scientifico del XVIII sec., in Settecento monastico italiano. Atti del I Convegno… 1986, a cura di G. Farnedi - G. Spinelli, Cesena 1990, pp. 825 s.; Id., Botanica e fitoterapia nel monachesimo italiano, in Ecologia e civiltà cristiana. Atti del XIX Convegno, Fonte Avellana… 1990, Urbino 1991, pp. 252 s.; Id., Monaci, scienziati e docenti universitari, in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all'Unità nazionale (1768-1870) Atti del II Convegno… 1989, a cura di F.G.B. Trolese, Cesena 1992, pp. 540 s.; Id., Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia, II, Seregno 1999, pp. 206 s.; A. Torroncelli, Botanica e botanici nei manoscritti casanatensi: testimonianze significative in una biblioteca domenicana, in Historia plantarum. Erbe, oro e medicina nei codici medievali, a cura di V. Segre Rutz, Modena 2002, pp. 222 s., 232; G. Melzi, Diz. di opere anonime e pseudonime…, I, Milano 1848, p. 144; II, ibid. 1852, p. 9; T. Sala, Diz. storico-biografico di scrittori, letterati, artisti dell'Ordine di Vallombrosa, II, Firenze 1929, pp. 21 s.; Diz. degli istituti di perfezione, IX, Roma 1997, col. 1701 (s.v. Vallombrosa).