MOCENIGO, Giovanni Francesco
– Nacque a Venezia, il 5 luglio 1558, nel palazzo di S. Samuele, sul Canal Grande, da Marco Antonio di Pietro e da Elisabetta di Benedetto Vitturi, ultimo di sei figli: Pietro Giuseppe, Leonardo Vincenzo, Zaccaria e Giovanni Natale i fratelli, Cecilia la sorella. Gli fu dato il secondo nome di Francesco per distinguerlo da Giovanni Natale (nato il 24 dic. 1554), morto in tenera età.
Il padre ebbe una lunga carriera politica, ma non solo: in tarda età – cosa insolita a quei tempi – spesò e guidò di persona fanti durante la crisi di Cipro (1570-71); ottenne più volte la nomina al Senato e al Consiglio dei dieci (26 sett. 1582). Dei fratelli, oltre al più noto Leonardo (1551-1627), Pietro Giuseppe (1548-1620) fu più volte senatore e amministrò il patrimonio della famiglia, accrescendolo con le doti delle sue due mogli, Pisana di Vettore Pisani, nipote per parte della madre Paola di Marco Foscari, influente procuratore di S. Marco, e Foscarina, erede di un altro procuratore, l'altrettanto noto Giacomo Foscarini. Zaccaria (1553-71), nella sua breve vita, fu poeta celebrato in una delle Imprese illustri di G. Ruscelli, nell'edizione aumentata di F. Patrizi (Venezia 1572). Cecilia si accasò (1568) con Domenico di Vincenzo Cappello, del ramo di S. Maria Formosa, omonimo e pronipote del famoso capitano generale da Mar.
Poche le notizie sulla formazione culturale del M., che dovette essere accurata, così come imponevano importanza della famiglia, parentele e abbondanti mezzi economici. Si interessò, di volta in volta, senza peraltro mai distinguersi particolarmente, di letteratura, storia, architettura. Subì molto l'influenza di Giovanni Battista Leoni (1553-1609), come sembrano suggerire i quindici anni di frequentazione dichiarati in una delle trentanove lettere a lui indirizzate dal letterato (Leoni, I, p. 68, in data 16 febbr. 1585). Ai tempi dell'interdetto, Leoni – poligrafo, erudito, residente veneziano a Napoli nel 1579, segretario del cardinale Philippe de Lenoncourt a Parigi – fu autore, con lo pseudonimo di Giovanni Simone Sardi, di Due discorsi sopra la libertà ecclesiastica (Venezia 1606) in difesa delle ragioni della Serenissima. Dedicò al M. la lettera introduttiva (4 marzo 1582) alle sue Considerationi sopra l'historia d'Italia di messer Francesco Guicciardini (Venetia 1583).
Il M. fu l'unico dei fratelli a garantire la discendenza: il 23 apr. 1583 sposò Cecilia di Sebastiano Nani, del ramo di S. Provolo, la quale diede alla luce, nel palazzo di famiglia di S. Samuele, ben dieci tra figli e figlie. Di costoro, il solo Leonardo Melchiorre (1589-1658) ebbe a sua volta prole. Nello stesso 1583, il 15 settembre, il M. ricevette il saviato agli Ordini, confermatogli l'anno successivo (12 settembre), consueto apprendistato verso una carriera politica fortemente condizionata, nonostante la morte del padre (20 giugno 1585), da quelle dei fratelli. Gli rimanevano gli interessi culturali e l'assidua presenza nelle accademie, tra le altre quella di Dionisio Contarini e la più famosa, a S. Luca, di Andrea di Giacomo Morosini, in seguito nominato pubblico storiografo, nonché le visite alle aggiornate librerie veneziane. Fu spesso nel negozio «All'Insegna della Minerva» di Giovanni Battista Ciotti, che fu editore di Leoni.
Interessatosi a un libro di Giordano Bruno, il De triplici minimo et mensura (Francofurti 1591), chiese a Ciotti se fosse possibile che il filosofo «venisse a Venezia per insegnarmi li secreti della memoria e li altri che egli professa» (Spampanato, p. 688). Questi, attratto dalla prospettiva di un incarico all'Università di Padova e contattato da Ciotti, che a Pasqua si era recato alla fiera di Francoforte, accettò l'invito, nonché le generose proposte economiche del M., giungendo a Venezia nell'autunno del 1591. Accolto negli ambienti culturali veneziani più in vista – fu più volte invitato da Andrea Morosini, dove erano «soliti ridursi diversi gentiluomini ed anco prelati a trattenersi in raggionamenti di littere, e principalmente di filosofia» (ibid., p. 740) – alloggiò prima a «camera locanda», poi, dopo un periodo passato a Padova, nel palazzo Mocenigo a S. Samuele (marzo 1592), per circa due mesi. La delusione per gli insegnamenti avuti o, più probabilmente, il non essere stato in grado di valutare per tempo la levatura e le profonde implicazioni politiche e religiose del pensiero di Bruno convinsero il M. a presentare denuncia all'inquisitore veneziano fra Gabriele da Saluzzo (23 maggio 1592), nominando suoi contesti due librai, Ciotti e un non meglio noto Iacobus Brictanus, originario di Anversa ma residente a Venezia, nonché lo stesso Andrea Morosini. La denuncia fu ribadita il 26 e il 29 dello stesso mese. Bruno fu accusato «di disprezzare le religioni, di negare la Trinità, di avere opinioni blasfeme sul Cristo, di non credere alla transustanziazione, di sostenere che il mondo è eterno e che vi sono mondi infiniti, di credere alla metempsicosi, di praticare l'arte divinatoria e magica, di negare la verginità di Maria, di disprezzare i dottori della Chiesa, di ritenere che i peccati non vengano puniti, di essere già stato processato a Roma, di indulgere al peccato della carne» (Aquilecchia, 1982, p. 663). Alle denunce il M. allegò tre libri da lui sequestrati (De la causa, De minimo e De monade) e il manoscritto della terza parte delle lezioni zurighesi di Bruno, che il discepolo Raphaël Egly avrebbe pubblicato a Zurigo nel 1595 con il titolo Summa terminorum metaphysicorum. Dopo la consegna di Bruno all'Inquisizione romana a seguito del voto favorevole del Senato (7 genn. 1593), nei primi mesi del 1594, su richiesta del tribunale romano, il M. ribadì da Venezia le accuse, aggiungendo che, nella copia del Cantus Circaeus da lui consegnata due anni prima, il pontefice romano veniva rappresentato sotto la specie del «porco» (Ricci, p. 518).
Nella vicenda rimane tuttavia in ombra il ruolo del fratello Leonardo, che pure viveva nel palazzo di S. Samuele con il M. ed era già una voce ascoltata nella politica veneziana, per di più in un contesto dove si fronteggiarono apertamente la posizione filocuriale del procuratore di S. Marco de supra, Federico di Francesco Contarini, convinto fautore della consegna di Bruno all'Inquisizione romana, e l'altra, più articolata, di Leonardo Donà, da Roma – dove era giunto come ambasciatore di complimento ai papi Urbano VII, Gregorio XIV, Innocenzo IX e Clemente VIII, i primi tre morti a breve distanza –, il quale dovette tenere conto delle implicazioni di politica estera generate dalle confessioni agli inquisitori, come traspare da un suo scambio di lettere con il Senato (3 e 10 ott. 1592, cfr. Spampanato, pp. 749-751; Ricci, p. 499).
Nonostante la famiglia lo sostenesse apertamente, il clamore suscitato dal processo fu la fine delle ambizioni politiche del Mocenigo. Venne eletto – il suo piezo, ovvero chi ne propose la candidatura, fu il fratello Pietro – a una magistratura minore, provveditore sopra gli Offici (28 dic. 1597), e con l'appoggio del cognato Giacomo di Sebastiano Nani tentò, senza fortuna, l'elezione a officiale alle Rason Vecchie (27 maggio 1601). Qualche mese dopo si mosse il fratello Leonardo per sostenerlo, con chiaro gesto politico, per l'incarico di esecutore alle Acque (1° genn. 1602), ma non bastò. Non ebbe successo nemmeno all'elezione dei Dieci savi alle decime in Rialto (7 nov. 1604). Ripresentatosi, la ottenne poco più tardi (28 giugno 1605), quando la crisi dell'interdetto era iniziata: a Leonardo stava per essere affidata la podestaria di Brescia e gli equilibri politici veneziani erano radicalmente cambiati.
Come uno dei Dieci savi alle decime, avrebbe potuto successivamente concorrere per il Senato, seguendo in questo padre e fratelli, ma qualche mese dopo la fine del suo mandato (1° luglio 1606) il M. si ammalò e il 6 apr. 1607 morì a Venezia nella parrocchia di S. Trovaso, dove era andato ad abitare probabilmente per consentire l'inizio dei lavori di ricostruzione del palazzo sul Canal Grande, portata a termine dai figli.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Libro d'oro, Matrimoni, reg. 89 (=II), c. 177r; Nascite, reg. 53 (=III), c. 289r; Necrologi, reg. 159 al 6 apr. 1607; Misc. codd., I, St. veneta, 21: M.A. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, V, c. 193r; Santo Uffizio, b. 69 (sono le carte, peraltro dall'anno 2009 escluse dalla consultazione, del processo a G. Bruno); Venezia, Arch. storico della Curia patriarcale, Chiesa S. Samuele, Registri dei battesimi, reg. 1(3 ag. 1583, 26 giugno 1584, 27 nov. 1585, 3 genn. 1587, 20 sett. 1589, 6 marzo 1593, 27 ott. 1594, 3 giugno 1596, 21 genn. 1598); Ibid., Biblioteca del Civico Museo Correr, Provenienze diverse, Venier, Consegi: codd. 64 (13 sett. 1583, 12 sett. 1584; 67, al 28 dic. 1597, 31 genn. 1599; 68 al 27 maggio 1601, 1° genn. 1602, 10 nov. 1602, 7 nov. 1604, 26 giugno 1605; 69, al 1° luglio 1606, 10 apr. 1607, registrazione della morte del M.); Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 17 (=8306): G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, III, c. 101r; G.B. Leoni, Lettere familiari..., I, Venetia 1592, pp. 44-76, 81 s., 85-87, 99, 121; II, ibid. 1593, pp. 19-21; G. Zabarella, La rosa overo Origine e nobiltà regia, et augusta della serenissima fameglia Mocenico, Padova 1658, pp. 23 s., 32; C. Cantù, Gli eretici d'Italia, III, 2, Torino 1866, pp. 726 s.; F. Albanese, L'Inquisizione religiosa nella Repubblica di Venezia, Venezia 1875, pp. 139-144; D. Berti, Giordano Bruno da Nola sua vita e sua dottrina, Torino 1889, passim; V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Roma 1931, ad ind. (con ampia silloge dei documenti veneziani del processo a Bruno); L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, in Rivista storica italiana, LX (1948), pp. 542-597; LXI (1949), pp. 5-59 (riedito in volume Roma 1993); G. Aquilecchia, Giordano Bruno, Roma 1972, pp., 77, 79 s., 83, 85 s., 88, 94 (riedito con bibl. aggiornata Torino 2001); M. Firpo, Ciotti, Giovanni Battista, in Diz. biogr. degli Italiani, XXV, Roma 1981, p. 693; G. Aquilecchia, Bruno, Giordano, ibid., XIV, Roma 1982, pp. 662-665; G. Spini, Ricerca dei libertini, Firenze 1983, pp. 74, 76, 78, 80, 103; M. Ciliberto, Giordano Bruno, Bari 1990, pp. 6, 27, 259-265, 276; S. Ricci, Giordano Bruno nell'Europa del Cinquecento, Roma 2000, pp. 458, 460 s., 463 s., 468, 470, 477, 479 s., 483-492, 498, 501, 503, 509, 514 s., 517-519, 522, 530, 539, 554; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Mocenigo, tav. XI.