GABRIELI, Giovanni
Nacque a Venezia tra il 1554 e i primi mesi del 1557 (1556 more veneto) da Pietro di Fais e da Paola Gabrieli, sorella di Andrea (i figli della coppia assunsero il cognome Gabrieli). Il registro dei morti della parrocchia di S. Samuele e il necrologio dei provveditori alla Sanità lo indicano morto all'età di cinquantotto anni il 12 ag. 1612, mentre la lapide originale nella Chiesa di S. Stefano, oggi perduta, ne avrebbe fissato il decesso alla stessa data, ma all'età di cinquantasei anni.
Non molto si conosce sulla sua giovinezza, ma si presume che, allievo dello zio Andrea, abbia messo presto in luce le sue doti di organista e compositore, poiché già nel 1575 figura tra i "virtuosi" del duca Alberto V di Baviera; di ciò è prova il fatto che in questo stesso anno una sua composizione dal titolo Quand'io era giovinetto. Hor ch'io son già vecchiarello trova ospitalità nel Secondo libro de madrigali a cinque voci de floridi virtuosi del Serenissimo Duca di Baviera (edito a Venezia presso Cosimo Bottegari).
Alla corte di Monaco il G. sarebbe stato accolto per intercessione dello zio Andrea (ivi figura assai nota) che volle allontanare il nipote da Venezia, colpita nello stesso 1575 da una grave epidemia di peste.
Era un momento di particolare splendore nella storia della cappella ducale bavarese, il cui organico, sotto la direzione di Orlando di Lasso, si era andato ampliando fino a comprendere una sessantina di virtuosi, gran parte dei quali scelti tra i più celebri strumentisti e cantori della penisola (G. e F. Guami, M. Trojano, O. Romano, I. de Vento, F. Cornazzani).
Dopo il rientro a Venezia (presumibilmente nel 1579, dopo la morte del duca Alberto) le notizie sulla sua attività divengono scarse fino al 1584, anno in cui figura come organista presso la Scuola Grande di S. Rocco. Dalla lista dei pagamenti della Confraternita (oggi presso l'Archivio di Stato di Venezia) si evince che fu impegnato in tale ufficio a partire dal febbraio 1584 fino al 1606 (Manzini, p. 54).
Nel 1584 fu nominato organista temporaneo della Cappella di S. Marco; l'anno seguente ebbe la nomina a primo organista.
Da alcuni indizi documentari relativi ai mandati di pagamento presso la cappella ducale, si può facilmente desumere quale fosse la stima dei procuratori nei confronti del musicista: già il 13 genn. 1585 gli fu fatto dono di 10 ducati "per la servitù prestata nei bisogni della chiesa"; altri 10 ducati li ebbe il 19 ag. 1586 e ancora un anticipo di un anno di salario il 30 dic. 1586 per "la diligentia colla quale lui esercita il suo carico" (Benvenuti, p. LXXI). Ed è probabile che quest'ultima somma, circa 200 ducati, fosse una sovvenzione per sopperire alle spese di stampa dei Concerti di Andrea, deceduto nel 1585.
L'intensa opera di pubblicazione dei lavori dello zio lo avrebbe impegnato in realtà per lungo tempo, il che, a detta di alcuni critici, non avrebbe giovato alla diffusione delle sue opere: è infatti soltanto nel 1597 che diede alle stampe la raccolta delle Sacrae symphoniae… senis, 7, 8, 10, 12, 14, 15, & 16, tam vocibus, quam instrumentis, editio nova (A. Gardano, Venezia 1597), dedicata ai fratelli Fugger.
Si perdono in seguito le notizie sulla sua attività artistica, mentre da alcuni documenti contenuti nei libri dei procuratori di S. Marco veniamo a conoscenza delle sue precarie condizioni di salute; già nel 1600 nelle liste dei pagamenti compare il nome di un suo sostituto. Affetto da litiasi, o "mal di pietra", morì a Venezia il 12 ag. 1612.
L'ottima fama di cui il G. godette in vita e dopo la morte è testimoniata dai numerosi omaggi che gli furono tributati dai contemporanei; l'eccezionalità della sua opera doveva essere ampiamente percettibile ai numerosi allievi, come H. Schütz e A. Grani, gli scritti dei quali mettono in risalto, oltre alle notevoli capacità artistiche, le speciali doti umane del maestro (Manzini, pp. 64 s.).
Giudizi ancora favorevoli espressero gli italiani Girolamo Diruta, Ludovico Zacconi e Giovanni Maria Artusi e, tra gli stranieri (oltre a Gregor Aichinger e Sesthus Calvisius), Michael Praetorius che, pur non conoscendo personalmente il G., ne valorizzò l'opera in più parti del suo Syntagma musicum (Wolfenbüttel 1619).
Non meno importanti le testimonianze dello storico Alberici, che lo cita "musico eccellentissimo" nel suo Catalogo de gl'illustri et famosi scrittori (D'Alessi), e di G. Stringa.
Sulla scia del Winterfeld, cui si deve il primo e approfondito studio sull'opera del G., passate e recenti pubblicazioni hanno messo in evidenza il contributo recato dal musicista all'evoluzione del linguaggio strumentale, concepito secondo una sensibilità espressiva inedita, libera dagli schemi più convenzionali della tradizione cinquecentesca e già aperta alle future conquiste dell'arte barocca.
Sebbene la maggior parte della sua produzione rimanga affidata alla tradizione manoscritta, l'esame delle poche composizioni a stampa pervenuteci ha permesso di evidenziare il carattere evolutivo della sua scrittura, ampiamente percettibile sia nei brani di musica sacra sia nelle opere strumentali. Tra le prime testimonianze della sua arte vocale, i mottetti del 1587 non si discostano dai modelli stilistici offerti da Andrea: la tecnica policorale si coniuga con una più varia e sciolta versione dei rapporti contrappuntistici, laddove nella combinazione delle diverse tessiture sonore valgono quei criteri di distribuzione dell'organico trattati dal Praetorius nella terza parte del suo Syntagma musicum.
L'emancipazione dal modello è già evidente nelle Sacrae symphoniae del 1597, ove, superate le tradizionali maniere contrappuntistiche, la maggiore aderenza al testo poetico si manifesta nell'originale pluralità delle scelte stilistiche (passi omofoni si alternano a sezioni in stile dialogico) e nel carattere ritmicamente più scorrevole e spigliato della scrittura. Non diversamente, dal punto di vista armonico, l'impiego del cromatismo (seppure limitato a pochi passi del testo) concorre a esaltare il contenuto espressivo dell'immagine verbale (come sulla parola "cognesco" del Miserere a 6 voci, per accentuarne il carattere di supplica o per intensificare l'immagine di soave dolcezza all'inizio dell'O quam suavis a 8 voci). Quanto agli strumenti, il cui impiego è previsto dallo stesso autore nel frontespizio della raccolta ("tam vocibus quam instrumentis"), questi conservano, alla maniera di Andrea, caratteri di pretta vocalità. Fa eccezione l'Omnes gentes a 16 voci ove il motivo di fanfara, nell'episodio a cori riuniti, suggerisce immagini di musica strumentale.
È soltanto con le Symphoniae sacrae del 1615 che il musicista "senza rompere i ponti col passato, amplia, sviluppa il concerto dei cori e vi introduce nuovi elementi di sonorità e di colore" (D'Alessi). Il complesso strumentale, ormai indipendente dalle voci, si avvale di una scrittura dai caratteri propri, laddove uno specifico idioma espressivo (caratterizzato da ornamenti, ritmi punteggiati, motivi di fanfara, note di piccolo valore) apporta nuovo e decisivo impulso all'interpretazione del testo poetico. Nuove risorse espressive vengono offerte peraltro dal variato rapporto tra voci e strumenti, così come si evince dai brani più originali della raccolta: il tranquillo andamento armonico dei sei tromboni nel Suscipe clementissime Deus (a sostegno di un organico vocale costituito da due alti, due tenori e due bassi) prelude chiaramente alla forma del "concerto" con accompagnamento di basso continuo; non meno significativo l'inserimento di parti prettamente strumentali (introduzioni o intermezzi) nei mottetti Quem vidistis pastores (2 cornetti e 2 tromboni), Surrexit Christus (2 cornetti, 2 viole, 4 tromboni) e Iubilate Deo (2 cornetti, 5 tromboni e fagotto).
Della produzione di musica profana restano pochi esempi, sparsi nelle migliori antologie a stampa del tempo. Inevitabile, riguardo ai lavori giovanili, il confronto con la produzione di Andrea e in particolare con le giustiniane a 3 voci, il cui modello è ampiamente percettibile sia nell'adozione di una scrittura semplice e accordale, sia nell'impronta chiaramente popolaresca dell'elemento ritmico. Una maggiore aderenza al testo poetico si manifesta peraltro nei madrigali a 5 e 6 voci, ove l'audace condotta armonica (si veda Amor s'è in lei a 6 voci del 1587 per il particolare uso del cromatismo) prelude a soluzioni ancora inedite nell'arte polifonica del tempo. Dell'ultima produzione si ricordano, tra i madrigali per doppio coro, il dialogo Addio dolce mia vita a 10 voci del 1587 (per la singolare distribuzione delle parti di Damone e Clori rispettivamente tra il coro "basso" e quello "alto"), Sacri di Giove augei a 12 voci del 1587 (omaggio ai Fugger), e, tra le musiche d'occasione, Udite chiari tritoni a 16 voci.
Nonostante i notevoli contributi recati alla definizione di un nuovo stile corale, è in ambito strumentale che la critica ha riconosciuto al G. una posizione determinante nel panorama musicale del tempo. Estremamente favorevoli le condizioni in cui il musicista si trovò a operare: è verosimile che la basilica di S. Marco disponesse in quegli anni di una multiforme compagine orchestrale, la cui ragguardevole entità (circa venti suonatori) doveva incidere favorevolmente sulla sperimentazione di nuove formule compositive. Tra i generi allora in voga fu quello della canzone che apparve al G. il più idoneo a esaltare una nuova e suggestiva dimensione sonora, la cui essenza dialettica genialmente mutuò dalle esperienze più avanzate della tecnica policorale.
Per quanto oggi si conosce, si deve ipotizzare che le quattro canzoni a 4 voci del 1608 fossero state realizzate in epoca precedente, poiché, sostanzialmente affini a quelle del bresciano Fiorenzo Maschera (cui si devono i primi esempi del genere), sono assai lontane dai lavori stilisticamente più audaci inclusi nelle Sacrae symphoniae del 1597. Indicate con i termini di canzone o sonata, le sedici composizioni contenute in quest'ultima raccolta presentano generalmente un avvio imitativo, una successiva articolazione a cori alternati e un episodio finale a cori riuniti; peraltro, l'infittirsi delle ornamentazioni, l'inedita presenza di indicazioni dinamiche e il ricorso all'arte della diminuzione testimoniano il totale affrancamento dal linguaggio vocale. Riguardo al sesto brano della raccolta, la celebre Sonata pian e forte, gli studiosi si sono a lungo interrogati sulla reale accezione del termine "sonata", finendo con l'accogliere le indicazioni fornite dal Praetorius nella terza parte del suo Syntagma musicum: "le sonate sono gravi e solenni, alla maniera dei mottetti, mentre le canzoni trascorrono gaie, liete e rapide con molte note nere" (III, p. 22). Quanto alle indicazioni dinamiche, queste sembrerebbero strettamente legate alla struttura del brano (p nel coro separato, f nei cori riuniti). Ha inoltre destato speciale interesse la presenza, negli ultimi brani della raccolta (canzone nona e decima), del termine "concerto", vocabolo impiegato per sottolineare sia il contrasto tra il "tutti" strumentale e le due voci del cantus sia l'alternanza tra l'organo (in sostituzione delle voci medie e basse) e le parti soliste. Una considerazione a parte meritano infine le ventuno composizioni (da 3 a 22 voci) edite postume nel 1615 come Canzoni e Sonate: il notevole ampliamento delle possibilità sonore e l'accresciuta mobilità delle voci fanno di questa tarda produzione del G. l'espressione più moderna della sensibilità strumentale del tempo.
L'elenco delle opere del G. risulta, al confronto con i suoi contemporanei, particolarmente gravoso poiché la scarsa entità di pubblicazioni e la mancanza di una tradizionale ripartizione per generi hanno reso assai arduo ordinare, anche cronologicamente, la materia. Della produzione a stampa, vivente l'autore, fu edita soltanto la già citata raccolta delle Sacrae symphoniae, mentre furono pubblicate postume le Symphoniae sacrae… liber secundus, senis, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, & 19, tam vocibus, quam instrumentis, editio nova (B. Magni, Venezia 1615) e le Canzoni et sonate… a 3, 5, 6, 7, 8, 10, 12, 14, 15, & 22 voci, per sonar con ogni sorte de instrumenti, con il basso per l'organo (Id., ibid. 1615); quanto alle rimanenti edizioni originali si tratta per lo più di composizioni incluse in antologie miscellanee, o comunque in raccolte contenenti più di un autore; si ricordano tra queste le seguenti: Concerti di Andrea, & di Gio. Gabrieli… continenti musica di chiesa, madrigali, & altro, per voci et stromenti musicali, a 6, 7, 8, 10, 12, & 16… libro primo et secondo (A. Gardano, ibid. 1587); Intonationi d'organo di Andrea Gabrieli, et di Gio. suo nepote… composte sopra tutti li dodici toni della musica… libro primo (Id., ibid. 1593); Ricercari di Andrea Gabrieli… composti et tabulati per ogni sorte di stromenti da tasti… libro secondo (ibid. 1597); Giovanni Gabrielis et H. Hasleri honori et amori G. Gruberi… Hymenai 6 v. (Kauffmann, Norimberga 1600); Reliquae sacrorum concentuum Giovan Gabrielis, Johan-Leonis Hasleri (ibid. 1615).
Una tangibile testimonianza della sua arte è affidata inoltre alle numerose partiture manoscritte conservate a Vienna, Berlino, e Torino. Per le composizioni del G., sia in manoscritto sia a stampa, si rimanda a Kenton (Musicological studies and documents, pp. 107-221) e ora a R. Charteris, G. G. (ca. 1555-1612), A thematic catalogue of his music with a guide to the source materials and translations of his vocal texts, Stuyvesant, NY, 1996. È in corso l'edizione integrale delle opere del G.: Opera omnia, a cura di D. Arnold, Roma 1956-74, poi proseguita dallo stesso e da R. Charteris (Collected works), Neuhausen-Stuttgart 1991 e anni seguenti.
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