GADERISI, Giovanni (Iohannes Napolitanus, Giovanni di Napoli)
Nato forse nel primo ventennio del sec. XII a Napoli, era detto "Iohannes cognomento de domino Gaderisio". Suo padre, morto prima del 1163, era detto "dominus Iohannes qui fuit filius quondam domini Gaderisis".
Non è attestato dalle fonti che la sua famiglia fosse nobile (esse però menzionano che nel 1186 un Ligorio Gaderisi di Cesario "civis Napolitanus", era barone di Aversa). Arbitrario è il cognome Pizuti o Phizuti, che Ciacconio, seguito dal Penotti, dal Kehr e da altri, attribuisce al Gaderisi.
Non si hanno notizie sulla prima educazione ricevuta dal G., né sulle circostanze che lo condussero a Parigi e lo spinsero alla professione canonicale da lui compiuta nell'abbazia di S. Vittore durante il governo di Gilduino (1114-55). Il suo curriculum vitae successivo, in ogni modo, attesta che egli era molto apprezzato per la sua preparazione giuridica. Eugenio III lo innalzò alla dignità cardinalizia prima del 23 ott. 1150, quando il G. in due documenti pontifici si sottoscrive come cardinale diacono del titolo dei Ss. Sergio e Bacco ai Monti.
La promozione del G. al cardinalato poté essere connessa sia con il soggiorno di Eugenio III nell'abbazia vittorina dal 20 aprile ai primi di giugno 1147 (il 2 maggio il pontefice confermò i privilegi del cenobio) sia con il programma di riforma delle canoniche regolari propugnato dal pontefice e condiviso dallo stesso G., come si trae dai contatti, che quest'ultimo aveva con circoli ecclesiastici riformisti e con Arnolfo, il futuro vescovo di Lisieux.
Le testimonianze note relative all'attività del G. tra la fine del 1150 e il 1154 si limitano sostanzialmente alle sottoscrizioni da lui apposte alle bolle emanate da Eugenio III. Siamo tuttavia informati che intervenne a favore di Simone, un nipote di Sigiero, abate di St-Denys, che Luigi VII aveva esiliato. Anche i dati forniti dalle fonti durante i pontificati di Anastasio IV (1153-54) e di Adriano IV (1154-59) si riducono alle sottoscrizioni da lui apposte alle bolle da loro emanate. Tuttavia, dalla loro analisi si trae che, tra gli inizi dell'inverno e la fine della primavera del 1158, Adriano IV lo elevò all'ordine dei cardinali presbiteri, attribuendogli il titolo di S. Anastasia al foro Romano. La promozione è probabilmente connessa con la circostanza che Adriano IV, prima di diventare papa, era stato priore della canonica regolare di S. Rufo presso Avignone.
Nulla dicono le fonti sull'atteggiamento del G. nei confronti della politica di Adriano IV dopo il trattato di Benevento con i Normanni dell'Italia meridionale (18 giugno 1156). Sappiamo, comunque, che nel 1158 e nel 1159 egli seguì il papa nei suoi spostamenti nel basso Lazio e nella Marsica. È certo, in ogni modo, che dopo la scomparsa di Adriano IV (1° sett. 1159), prese decisamente posizione per il partito favorevole all'alleanza con i Normanni, il cui esponente più autorevole era Rolando Bandinelli, cardinale di S. Marco, cancelliere di S. Romana Chiesa, in antitesi con la corrente favorevole a Federico I Barbarossa, guidata da Ottaviano di Monticello, cardinale di S. Cecilia. Il G. fu infatti uno dei principali artefici dell'elevazione del Bandinelli al pontificato - col nome di Alessandro III - nella tumultuosa seduta che, il 7 sett. 1159, al termine del conclave riunitosi a Roma il 4 precedente, vide anche la contemporanea elezione di Ottaviano di Monticello col nome di Vittore IV, e l'inizio di un nuovo scisma.
Che il G. si sia battuto per eleggere Alessandro III e che, successivamente alla consacrazione (20 sett. 1159) sia rimasto fedele alla sua obbedienza, è provato dalla sua adesione alla lettera indirizzata dai cardinali sostenitori del pontefice a Federico Barbarossa per sollecitarlo a difendere la Chiesa romana; dalla lettera di risposta di Arnolfo di Lisieux (settembre-ottobre 1159) diretta a lui e ai cardinali Guglielmo di Pavia, Enrico di Pisa e Giacinto Orsini; e soprattutto dalla scomunica irrogatagli dal sinodo di Pavia (13 febbr. 1160).
Alessandro III, nella prima metà del 1160, delegò il G. a raccogliere in Sicilia i fondi necessari per opporsi alla politica imperiale. La missione, forse protrattasi per un biennio, si dovette concludere con un successo se il pontefice lo inviò a rappresentarlo, il 4 maggio 1162, alla consacrazione della chiesa di St-Germain-de Prés di Parigi. In seguito il G. partecipò al concilio di Tours, presieduto da Alessandro III (19 marzo 1163) nel quale Arnolfo di Lisieux pronunciò il discorso di apertura sulla libertà della Chiesa e Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, patrocinò la causa di canonizzazione di Anselmo di Canterbury. Verso la metà del 1166 fu delegato dal papa a presiedere, con Ugo di Sens, il concilio di Beauvais, riunito per sanare controversie monastiche. Nel frattempo vi era stato il riavvicinamento di Enrico II re d'Inghilterra con Luigi VII re di Francia e il riconoscimento della legittimità dell'elezione di Alessandro III.
Che il G. fosse contrario a Tommaso Becket e intrattenesse stretti rapporti con Enrico II e con Ruggero di Pont-l'Évêque, arcivescovo di York, si deduce dall'esclusione del G. dalle lettere spedite dallo stesso Becket al papa e ai cardinali tramite un "magister Henricus", nonché, dalla lettera inviata dal Becket al G. nel 1169, nella quale gli imputa di essere sensibile al denaro inglese. Il G. era a Sens, quando, il 2 nov. 1164, giunse la notizia dello sbarco in Francia di Tommaso Becket, fuggito dall'Inghilterra in seguito alla condanna inflittagli per aver violato le costituzioni di Clarendon. Qualche tempo dopo ricevette, per il tramite di Manasse, vescovo di Orléans, una relazione del re di Francia, Luigi VII, sugli avvenimenti inglesi, che fu inviata anche ad Alessandro III. Enrico II affidò a una commissione di vescovi un appello dei suffraganei di Canterbury contro il loro metropolita e, insieme, la notizia che Luigi VII aveva accolto il Becket a Soissons; la commissione, oltre a confermare l'adesione del G. e dei cardinali Bernardo, vescovo di Porto, e Guglielmo di Pavia alle tesi del sovrano inglese, si adoperò per ottenere il rilascio all'arcivescovo di York di nuove "litterae generales de legatione" (il diritto di "legatia" competeva all'arcivescovo di Canterbury in quanto "legatus natus"), oppure di "litterae de legatione […] quae redditae fuerant". Alessandro III, per non esasperare il Plantageneto, finì per accogliere la richiesta e concesse, il 27 febbr. 1164, il diritto di legazione all'arcivescovo di York. Il G. si trattenne a Sens fino al marzo 1165; poi al seguito di Alessandro III partì per l'Italia. Imbarcatosi a Meguelonne sulla stessa nave del pontefice, approdò a Messina nei primi di novembre 1165.
Negli anni 1160-62 e 1166-67 il G. svolse in Sicilia, per incarico del papa, due di quelle "legazioni" che, secondo il trattato di Benevento, dovevano essere compiute su richiesta del sovrano normanno.
Il cronista Falcando, che ci fornisce ampie notizie su queste "legazioni", giudica negativamente i risultati da esse raggiunti: accusa il G. di speculazioni lucrose e gli attribuisce la responsabilità di aver avuto una parte notevole negli intrighi allora avvenuti alle corte normanna - come, ad esempio, nel caso del tentativo compiuto dall'ammiraglio Maione di Bari di appropriarsi della corona siciliana; o come nel caso della contesa per l'assegnazione della sede arcivescovile di Palermo a Riccardo Palmer, vescovo eletto di Siracusa, membro del Consiglio di reggenza. Il G. rientrato a Roma nel 1168, si inserì nuovamente nella controversia tra Enrico II e Tommaso Becket: si adoperò infatti per convincere il pontefice ad aderire alle richieste del re circa la sospensione dei poteri di censura e di interdetto riservati all'arcivescovo di Canterbury, arrivando a sostenere apertamente Gilbert Foliot, vescovo di Londra, colpito dalla scomunica papale.
Nei primi mesi del 1177, il G. fu chiamato dal papa a far parte - insieme con i cardinali Ubaldo di Ostia, Guglielmo di Porto, Manfredo di Preneste, Pietro de Bono, Giacinto Orsini e Teodino - della delegazione incaricata di condurre con gli inviati di Federico I Barbarossa, che si trovavano a Chioggia, le trattative di pace tra la Sede apostolica e l'Impero.
Il G. partì da Anagni nel febbraio, insieme con i suoi colleghi, al seguito di Alessandro III, e il 9 marzo si imbarcò su una nave della squadra navale inviata dal re di Sicilia, Guglielmo II, per trasportarli insieme con i plenipotenziari normanni, al di là dell'Adriatico. Il 13 sbarcò a Zara, dove risiedette nel monastero di S. Niccolò. Ai primi di maggio è attestata la sua presenza a Ferrara.
Il G. partecipò attivamente ai colloqui di pace, che si svolsero a Venezia, alla presenza delle altre potenze coinvolte nel conflitto - Normanni, Comuni italiani, Bizantini - a partire dal maggio. Raggiunto l'accordo nell'ultima decade di luglio, il G. fu uno dei cardinali che, il 24 di quel mese, assolsero dalla scomunica Federico I. La pace venne ratificata il 15 agosto successivo.
Dalle sottoscrizioni da lui apposte alle bolle emanate in quel periodo, risulta che il G., una volta rientrato in patria, fece costantemente parte dell'entourage di Alessandro III. Tra la fine del 1178 e la metà dell'anno seguente, dimorò con lui nella fortezza di Tuscolo e a Roma. È probabile che abbia partecipato ai lavori del concilio Lateranense III, ecumenico XI, celebratosi a Roma tra il 5 e il 19 marzo 1179.
L'ultimo documento pontificio che reca la sua sottoscrizione è del 3 luglio 1179. Dopo questa data più nulla ci dicono di lui le fonti note.
Secondo la letteratura storica, fin dagli anni precedenti al 1162, il G. esercitava insieme con Marotta di Cesare Brancaccio il diritto di patronato sulla chiesa di S. Pietro ad Aram di Napoli, nella quale avevano istituito una canonica regolare, ove si seguiva forse la regola di Aquisgrana. In effetti S. Pietro ad Aram venne fondata e costruita proprio dal G., che ottenne dal pontefice il patronato su di essa, come risulta da una lettera di Alessandro III al priore di quella comunità, Nicolò, del 25 dic. 1174.
In una lettera del 1173 - inviata dall'abate di S. Vittore, Guarino, ad Alessandro III - rimane esplicita testimonianza degli stretti rapporti che il G. continuò a mantenere con S. Vittore di Parigi anche dopo la sua promozione al Sacro Collegio, e dei legami che unirono a quella fondazione la chiesa da lui eretta in Napoli. Da essa apprendiamo non solo che il G. aveva introdotto in S. Pietro ad Aram l'osservanza canonicale ma che, per organizzare la nuova comunità, aveva chiesto prima a Ernisio, l'immediato predecessore di Guarino, poi allo stesso Guarino l'invio di due canonici vittorini, promettendo di procedere alla regolare istituzione della nuova canonica. Sempre dalla medesima fonte siamo inoltre informati che il G. era allora impegnato a fare quanto poteva per la soluzione di una vertenza fra l'abbazia di S. Vittore e l'arcivescovo di Lund, Eskilo, a causa della mancata restituzione della cospicua somma di 300 marchi d'argento, che l'arcivescovo aveva prestato all'abate Ernisio (la vicenda si concluse senza detrimenti per S. Vittore, proprio grazie all'azione del G., come ci risulta da riscontri posteriori). Da una lettera dell'abate Étienne de Tournay, indirizzata da Ugo, abate di Noyon, si apprende di un conflitto tra il G. e i canonici di S. Pietro ad Aram per il conferimento della dignità abbaziale al priore Nicolò e per la riduzione dell'autonomia amministrativa della canonica.
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