QUAGLIA, Giovanni Genesio
QUAGLIA, Giovanni Genesio. – Figlio di Guido, terziario francescano, nacque a Parma nella prima metà del XIV secolo.
Nei secoli scorsi fu confuso per omonimia, ora con il beato Giovanni Buralli da Parma, ministro generale dell’Ordine dei Minori, morto nel 1289 (Wadding, 1906, p. 141), ora con il medico Giovanni da Parma, lettore domenicano a Bologna nel 1313 (Sbaraglia, II, 1806, pp. 79 s.). La sua vera identità è stata definita grazie a Ireneo Affò (1789, pp. 97-103), che ricostruì le sue attività e dette una giusta successione cronologica alle sue opere, desumendola dai riferimenti autobiografici al loro interno.
Divenne frate minore molto giovane, come egli stessso ricorda nel proemio del De civitate Christi (Proemio, Porta XI, II: «huius ego civitatis (sc. Christi) amator factus, a teneris annis terrena contempsi, et de vitae praesentis exilio cupiens ad ipsius beatissima moenia pervenire, vestigiis Beati patris Francisci Domino Iesu Christo perseveranter adhaesi»). Secondo la consuetudine degli ordini francescani, fu mandato a perfezionare gli studi in Inghilterra e a Colonia, dove frequentò Luca Mercatore («memini me, dum adhuc iuvenis essem et amore sapientie proficiscerer ad studium Angliae, vidisse quendam Lucanum Mercatorem in civitate Coloniae fidelissimum in arte sua»).
Fu baccelliere e lettore in numerosi Studi generali, tra i quali Bologna nell’anno 1367 (Bullarium Franciscanum, 1902, VI, p. 499). Nel 1373 scrisse l’Hexaemeron super Genesim, grazie al quale ottenne probabilmente la laurea magistrale, conseguita nel 1373 a Bologna (Ehrle, 1932, p. 104; Cortese, 1983, p. 315).
L’opera, tuttora inedita, fu individuata nell’Ottocento dal francescano Fidele da Fanna (morto nel 1881) che segnala i seguenti codici: Gratz, Universitätsbibliothek, 195, ff. 93r-176r. Wurzburg, Biblioteca Padri Conventuali, 1.2; Einsiedeln Stiftsbibliothek, 20 (XV), ff. 1-227.
Un paio di anni più tardi si trovava a Padova, dove scrisse, forse nel 1375 (e in ogni caso ante 25 dicembre 1386, data della trascrizione nel ms. 195 della biblioteca di Graz da parte di Bartolomeo da Mantova: Teetaert, 1937, p. 1433), una delle sue opere più diffuse, il Rosarium, ‘firmandola’ grazie a un acrostico, formato dalle lettere incipitarie dei principali capitoli del testo: «Frater Iohannes Genesius Quaja de Parma doctor frater minor» (Affò, 1789 p. 103).
Si tratta di un trattato di pedagogia ed edificazione morale, imperniato su citazioni («rose pulcherrime» sbocciate tra le spine degli errori umani) di poeti e filosofi, disposte in sestine e da studiare a memoria. L’opera, usata nelle scuole, ebbe larga diffusione, come mostra l’alto numero di manoscritti: Firenze, Biblioteca Laurenziana, Plut. XIX, 29; Milano, Biblioteca Ambrosiana, D. 44 sup.; Bologna, Biblioteca comunale, A. 942; Universitaria, 1212 (2391); Padova, Biblioteca Antoniana, XX, 439; Museo civico, CM 206; Roma, Biblioteca Angelica, 522 (D. 8. 25), ff. 1-63; Città del Vaticano, Vat. Lat. 7633; Torino, Biblioteca nazionale, 1302 (H.V.40); Assisi, Biblioteca comunale, 440, ff. 1r-81r; Serra S. Quirico, Biblioteca comunale, Mss., 7 (40); Graz, Universitätsbibliothek, 195, ff. 3r-43v; Bruxelles, Bibliothèque royale, 21826, ff. 1r-48r; Siviglia, Biblioteca Colombiana, BB.145.3.
Più tardi fu assegnato come lettore a Pisa, dove «humaniores litteras publice tradebat a Gambacurtis accitus» (Papini Tartagni, 1932, p. 84).
Ciò è confermato dalla dedica del De civitate Christi al «serenissimus miles magnificusque dominus» Benedetto figlio primogenito di Pietro Gambacorta, signore di Pisa dal 1370 al 1392, e da quella dei Proverbia, dedicati all’altro figlio Andrea, morto nel 1381. È evidente dunque la considerazione nutrita per l’erudito francescano da Pietro, che si interessava all’insegnamento pubblico delle discipline umanistiche e riconosceva in Quaglia un pedagogo di grande esperienza cui affidare l’educazione dei propri figli.
Nell’impostazione del De civitate Christi (che fu edito a Reggio Emilia nel 1501 e a Roma nel 1523: Wadding, 1906, p. 141) Quaglia («Sacrae theologiae professor excellentissimus») riproduce la forma quadrata della Gerusalemme celeste giovannea, protetta in ciascuna porta da un apostolo cui corrisponde una virtù indispensabile per chi vi abita, allo scopo di illustrare agli allievi, catturandone l’attenzione e la memoria con un gioco di rimandi allegorici, la strada della pratica delle virtù e del raggiungimento della città celestiale. L’opera è contenuta nei seguenti codici (Fabiani, 2014, pp. 27-31): Firenze, Biblioteca Laurenziana, Plut. XX, 30; Assisi, Biblioteca Sacro Convento, 181, ff. 1r-61r; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 5057; Graz, Universitätsbibliothek, 195, ff. 43v-86v; Eich-statt, Biblioteca del seminario, 283; Magonza, Biblioteca Pubblica, Carth. 117 (LXXII); Milano, Biblioteca Ambrosiana, A.117 inf. 2.
I Proverbia (detti anche Apophtegmata virorum illustrium, Sbaraglia, 1806, p. 425, editi due volte, parzialmente sulla base del codice di Fabriano nel 1879 e integralmente sulla base del codice Boncompagni nel 1888) sono costituiti da una raccolta di cento massime, in versi latini e volgari, abbinati in coppie di distici e conclusi da una auctoritas biblica o da una sentenza di filosofi e autori classici o di scrittori cristiani. Le lettere iniziali dei cento versi latini formano l’acrostico, ripetuto alla fine dell’opera, con i nomi dell’autore e del destinatario delle sentenze: («Frater Iohannes Genesius Quaia de Parma, sacre theologie magister ordinis fratrum minorum, professor illustris, fecit hoc opus ad honorem Dei, beate Marie Virginis et beati Francisci et amore nobilis Andree nati celsi domini Petri Gambacurte»). I Proverbia sono traditi dai seguenti mss.: Fabriano, Biblioteca comunale, 20 (incompleto, con 30 sentenze); Firenze, Biblioteca nazionale, II.II, 15, ff. 38v-39v (mutilo); II.II.67, ff. 141r-151r; II.IX.141, ff.70v-72v (incompleto); Roma, Biblioteca Boncompagni, 537; S. Daniele del Friuli, Biblioteca comunale Guarnieriana, 165; Assisi, Biblioteca comunale, 440, f. 81v; Parigi, Bibliothèque nationale, Nouvelles acquisitions latines, 1905, ff. 96r-103v.
Non è databile con precisione, tra le opere di Quaglia, l’inedita Expositio super Pater noster, un breve commento a tale preghiera, destinato probabilmente ai novizi di Bologna o Pisa (Roest, 2004, p. 238 n. 24; cfr. Ravenna, Biblioteca Classense, 176; Torino, Biblioteca nazionale, 1302 (H.V.40); Milano, Biblioteca universitaria, D XIII, 41; Graz, Universitätsbibliothek, 195, ff. 87r-92v), mentre va probabilmente attribuita al periodo quaresimale del 1386 l’ultima opera di Quaglia, il De conflictu vitiorum et virtutum, iniziata a Venezia (Fabiani, 2014, p. 27), cui collaborò nella seconda parte il suo allievo diretto Giovanni da Verona.
Sinora ritenuto opera di un anonimo duecentesco, ma ora edito criticamente e attribuito a Quaglia e al suo allievo da Lorenzo Fabiani, il De conflictu è un testo molto complesso, costituito da un poemetto in lingua volgare che descrive una psicomachia e da un florilegio latino in stretto dialogo con i versi. La puntuale analisi dei rapporti tra i manoscritti, il confronto dell’usus scribendi con le opere sicure (De civitate Christi e Proverbia), l’uso di medesime auctoritates classiche, patristiche e filosofiche non lasciano dubbi sull’attribuzione di quest’opera che: «si pone in una zona di confine della produzione di Giovanni Quaglia: in parte saldamente legato alla sua opera più impegnata e ricca dal punto di vista dottrinale, in parte (con particolare riferimento ai versi volgari) attento ad un pubblico non necessariamente colto e aperto ad una pedagogia più grossa» (Fabiani, 2014, p. 36).
Anche questo poemetto, chiaramente concepito per richiamare gli uomini sul retto sentiero della virtù, rientra dunque nel filone allegorico-didascalico, caratterizzante tutta la produzione di Genesio Quaglia, che può essere ritenuto uno dei primi testimoni dell’Umanesimo cristiano.
Morì probabilmente a Parma verso il 1398.
Fonti e Bibl.: Bullarium Franciscanum, VI, Roma 1902, n. 1253, p. 499.
J.A. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae latinitatis, Padova 1754, III, p. 30; IV, pp. 112 s.; I. Affò Ofm, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, raccolte dal padre Ireneo Affò minor osservante, II, Parma 1789, pp. 97-103; J.H. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores Ordinis S. Francisci, Romae 1806; A. Pezzana, Continuazione delle memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma 1827, VI b, p. 119; A. Zonghi, Saggio di sentenze trasportate in poesia volgare da fr. Giovanni di Genesio di Quaglia da Parma dell’Ordine de’ Minori, Fabriano 1879; H. Narducci, Sentenze morali ridotti in versi latini ed italiani da fr. Gio. Genesio da Parma, in Miscellanea francescana, III (1888), pp. 131-139; U. d’Alencon, O.M. Cap., Description d’un manuscrit inédit de Jean Quaglia de Parme, in Études franciscaines, XI (1904), pp. 565-567; L. Wadding, Scriptores ordinis minorum, Romae 1906; P. Silva, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni con il resto della Toscana e con i Visconti, Pisa 1912; E. d’Alençon, O.M. Cap., Jean de Parme (Le Bienheureux), in Dictionnaire de théologie catholique, VIII, Parigi 1924, pp. 794-796; F. Ehrle, I più antichi statuti della facoltà teologica di Bologna, Bologna 1932; N. Papini Tartagni, Lectores publici ordinis fratrum minorum conventualium a saec. XIII ad saec. XIX, tratto dal cod. 83 dell’Archivio dei Santi Dodici Apostoli in Roma, in Miscellanea francescana XXXII (1932), p. 84; B. Pergamo, Ofm, I francescani alla facoltà teologica di Bologna (1364-1500), in Archivum franciscarum historicum, XXVII (1934), pp. 15-20; A. Teetaert, Quaglia Jean Genese, in Dictionnaire de théologie catholique, XIII, Parigi 1937, pp. 1431-1436; G. Melani, in Enciclopedia cattolica, X, Città del Vaticano 1953, pp. 364 s.; C. Piana, Chartu-larium Studii Bononiensis S. Francisci (saecc. XIII-XVI) , in Analecta Franciscana, XI (1970), pp. 31-35; P. Péano, Jean-Genès de Parme, in Dictionnaire de spiritualité ascétique et morale, VIII, Parigi 1974, pp. 834 s.; A. Poppi, La tradizione biblica al Santo, in Storia e cultura al Santo, Vicenza 1976, pp. 195 s.; M.W. Bloomfield, Incipits of latin works on the virtues and vices, 1100-1500, Cambridge 1979; D. Cortese, Giovanni di Genesio Quaia di Parma e la sua attività padovana, in Il Santo. Rivista antoniana di storia dottrina arte, XXIII (1983), 1-2, pp. 313-322; B. Roest, Franciscan literature of religious instruction before the Council of Trento, Leiden 2004, pp. 220, 238, 403 s.; R. Quinto, Manoscritti medievali nella Biblioteca dei Redentoristi di Venezia (S. Maria della Consolazione, detta ‘della Fava’), Padova 2006, p. 127; L. Fabiani, La battaglia dei vizi e delle virtù. Il “De conflictu vitiorum et virtutum” di G. G. Q., Roma 2014.