GHERARDINI, Giovanni
Figlio primogenito di Michele, medico, e di Clara Bellinzaghi, nacque il 27 maggio 1778 a Milano, dove trascorse quasi tutta la vita. Svolti i primi studi presso le scuole Taverne, ove ebbe come maestro padre G. Sommariva, passò poi al liceo di Brera e si segnalò tra i più solerti nell'apprendere l'arte poetica da A. Fugazza, sicché già nel 1796 componeva versi poi pubblicati nel Parnasso democratico (Bologna 1810). Nel 1797 intraprese gli studi di medicina presso l'Università di Pavia. Conseguita la laurea nel 1801 e sostenuti gli esami di pratica nel 1802, esercitò la professione per alcuni anni, nel rispetto della volontà paterna, per poi dedicarsi completamente alle lettere. Nel 1805, per interessamento di G. Rasori, docente dell'Università di Pavia, suo maestro e amico, il G. pubblicò la traduzione italiana e il commento a Gli amori delle piante del poeta-botanico inglese E. Darwin e fu nominato prosegretario per la statistica al ministero dell'Interno del Regno d'Italia. Grazie a tale incarico, mantenuto sino al 1814, il G. entrò in contatto e quindi si legò d'amicizia con M. Gioia, segretario della statistica e suo superiore.
Nel 1806 il G., succedendo a V. Cuoco, cominciò a collaborare con l'abate A. Guillon nella direzione del Giornale italiano, che contribuì a trasformare, da organo del governo napoleonico, in un bollettino politico ricco di spazi dedicati agli argomenti letterari, in cui si impegnarono F. Cherubini e G. Paganini, traduttori rispettivamente dal tedesco e dall'inglese. La loro firma compariva il 13 dic. 1815 in calce alla dichiarazione con cui, fusosi il Giornale con la Gazzetta di Milano per volontà del restaurato governo austriaco, il G. annunziava di abbandonare la redazione.
Frattanto si era dedicato agli studi lessicografici pubblicando anonimamente una raccolta di Voci italiane ammissibili benché proscritte dall'elenco del sig. Bernardoni (Milano 1812), che insisteva, malgrado le esigenze puristiche, sulla difficoltà di abolire parole di uso comune in leggi e codici, richiamandosi al repertorio lessicografico di G. Bernardoni (Elenco di alcune parole oggidì frequentemente in uso, ibid. 1812), ove con cautela alcuni forestierismi giuridici e amministrativi venivano sostituiti o eliminati.
Pur mostrandosi tutt'altro che esterofilo, il G. non cessò di interessarsi alle culture straniere: nel 1816 tradusse la Vita di G.C. Fox, politico inglese, mentre nel 1817, su incitamento di V. Monti, suo caro amico, volse in italiano e commentò il Corso di letteratura drammatica di A.W. Schlegel, confutando, da buon classicista e conoscitore dell'arte drammatica italiana, i severi giudizi di quel teorico del romanticismo sul Metastasio, sull'Alfieri e sul Goldoni. L'interesse per il teatro, oltre a procurargli contatti con uomini di spettacolo come il coreografo S. Viganò, lo spinse a cimentarsi felicemente nel melodramma: nel 1817 compose il libretto La gazza ladra, derivato dal melodramma francese di T.-B. d'Aubigny e L.-Ch. Caignez, La pie voleuse (1815), e musicato da G. Rossini. Fu inoltre autore di tre melodrammi giocosi: È fatto il becco all'oca; Il bacchettone; Il naso in pericolo, che nel 1813 fu designato alla premiazione (ma non premiato per dissenso della censura) al concorso milanese per melodrammi bandito dalla direzione dell'Istruzione pubblica del Regno Italico, della cui commissione fece parte anche il Monti. Queste opere, benché si distinguessero tra i melodrammi giocosi dell'epoca, non furono musicate e vennero pubblicate dal G., insieme con la commedia in prosa Ipocrisia e credulità, nei Componimenti drammatici (ibid. 1818), unico volume, cui sarebbero dovuti seguire altri cinque mai dati alle stampe.
Dal 1819 al 1821 il G. fu supplente di storia nel liceo Longone di Milano. Intanto portava avanti diversi lavori e, oltre a intraprendere, su incarico del governo, la compilazione della Introduzione alla grammatica italiana per uso delle scuole elementari (ibid. 1825) e quella di un libro di letture scolastiche, le Novellette morali (ibid. 1822), attendeva alla traduzione, uscita a Milano nel 1820, della parte dedicata all'Italia del trattato De la littérature du midi de l'Europe, di J.-C.-L.-S. de Sismondi. Sempre nel 1820 apparvero a Milano gli Elementi di poesia ad uso delle scuole, in cui, pur condividendo la fede nella libertà creativa e sentimentale, si opponeva moderatamente alle teorie romantiche, difendendo la cultura italiana e le sue radici.
In questa disamina dei vari generi poetici, giudicata dal Monti un vero gioiello, il G. ricorda ai giovani che la cultura greca e latina può lasciare indifferenti i popoli nordici, ma coinvolge appieno gli Italiani, che direttamente ne discendono. Di qui la sua sollecitazione a rifarsi alla tradizione, e l'esortazione a ispirarsi alla storia antica e alla mitologia, validissime nel suscitare commozione, nonostante l'avversione dei critici romantici al passato classico.
Dal 1822 al 1824 il G. lavorò alla traduzione di un'opera francese, l'Enciclopedia domestica, che informava sui progressi della tecnica e dell'industria. Per l'editore G. Silvestri di Milano, fu curatore di diversi testi della collana dei "Classici italiani", fra cui le Opere scelte di T. Tasso (1823-25), di G. Gozzi (1821-22), di F. Algarotti (1823) e di A. Cocchi (1824); le Commedie scelte di C. Goldoni (1821); i Melodrammi giocosi di G.B. Casti (1824); diverse raccolte di opere del sec. XVIII (Melodrammi seri, 1822; Melodrammi giocosi, 1826; Commedie, 1827; Poesie satiriche, 1827; Apologhi, 1827).
Fu in questi anni che il G., grazie a una cospicua eredità pervenutagli, nel 1824, dallo zio materno C. Bellinzaghi poté emanciparsi economicamente dalla famiglia, senza peraltro ridurre il proprio impegno e facendo funzione, nel 1825, di segretario all'ispettorato in capo alle scuole elementari per la Lombardia.
Tra il 1828 e il 1829 lo colpì assai dolorosamente la scomparsa degli amici V. Monti e M. Gioia; quest'ultimo gli lasciò in eredità ventidue manoscritti, da lui poi ordinati e donati alla Biblioteca di Brera. Tuttavia lavorò febbrilmente per proseguire gli studi che il Monti, al fine di riformare il vocabolario della Crusca secondo i principî del classicismo, aveva svolto nella sua Proposta (1817-24), senza però intraprendere la vera e propria compilazione di un vocabolario.
Alla fine degli anni Venti il G. diede inizio a tale impresa, effettuando un accuratissimo spoglio di un grande numero di autori e consegnando i primi risultati alla raccolta lessicografica Voci e maniere di dire additate ai futuri vocabolaristi (ibid. 1838-40), fondata su un criterio che combinava un lessico ("voci") ricco, comprensivo di vocaboli antichi e legittimati dall'uso, con costrutti grammaticali e sintattici ("maniere di dire") rigorosamente derivati dagli scrittori trecenteschi e cinquecenteschi. Raccogliendo le note apposte alle Voci e maniere, il G. redasse poi l'Appendice alle grammatiche italiane (ibid. 1843) che, in un'ottica classicheggiante e rigoristica, apportava una cospicua serie di osservazioni al patrimonio grammaticale italiano. Si delineò così nel G. un'ambivalente personalità filologica che in materia lessicografica combatté il purismo, sostenendo i linguaggi tecnici e l'introduzione di voci moderne, anche se di origine dialettale, mentre grammaticalmente guardò con intransigenza alla tradizione.
L'attività di studio fu talmente intensa che nel 1834 il G. si ammalò e fu costretto per alcuni anni a sospendere le ricerche. Fu allora che, non volendo lasciare opere postume, decise di distruggere molti lavori manoscritti; nel 1835, inoltre, vittima di un'emiparesi destra, si chiuse in casa e vi trascorse quasi interamente i successivi venticinque anni della sua vita. Nel 1837 una lieve ripresa gli consentì di ultimare le Voci e maniere.
Nel 1841 fu nominato membro effettivo dell'Istituto lombardo di scienze, lettere e arti, lo stesso che, nel 1813, aveva preso l'iniziativa, ben accolta dal Monti, di riformare il vocabolario della Crusca. Assiduo collaboratore della Biblioteca italiana, il G., con U. Foscolo, M. Leoni e M. Gioia, coadiuvò G. Rasori nella redazione degli Annali di scienze, lettere e arti.
Il G. fu anche promotore, senza particolare fortuna, di una riforma ortografica, che descrisse diffusamente nella Lessigrafia italiana (ibid. 1843): escludendo la possibilità di un accordo ortografico in una nazione priva di uniformità di pronuncia e avvalendosi dei criteri prevalenti in Francia e Spagna, proponeva di ritoccare la grafia di alcune parole ricorrendo all'etimologia e all'analogia. Derivando da quest'opera un elenco di parole scritte secondo i suoi criteri, dette alle stampe il Manuale lessigrafico (ibid. 1843).
A coronamento delle sue ricerche, il G. pubblicò il Supplemento ai vocabolari italiani (I-VI, ibid. 1852-57), esauriente raccolta lessicografica improntata sui medesimi principî vigenti nelle Voci e maniere, apprezzata e utilizzata da lessicografi successivi, fra cui N. Tommaseo e gli stessi accademici della Crusca. Questi ultimi avevano già copiosamente utilizzato, nelle sette dispense pubblicate fino al 1852 della nuova edizione del loro vocabolario, tutta la produzione del G., astenendosi peraltro dall'indicare gli autori di cui si erano serviti. In vari luoghi dell'Appendice alle grammatiche e nella Nota ai lettori premessa al Supplemento il G. manifestò il proprio disappunto per non essere stato ricordato e per aver visto le proprie osservazioni non accettate integralmente.
Nel 1859, oltre alla nomina di cavaliere dell'Ordine di S. Maurizio e Lazzaro, ricevette quella di socio corrispondente dell'Accademia dei Quiriti in Roma.
Il G. morì a Milano l'8 genn. 1861.
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