MORELLI, Giovanni Giacomo Lorenzo
MORELLI, Giovanni Giacomo Lorenzo. – Nacque a Verona il 25 febbraio 1816 da Giovanni Lorenzo Morell, di origine svizzera, proprietario terriero, commerciante e presidente del tribunale di commercio cittadino, e da Ursula Zavaritt, anch’ella di origine svizzera; terzogenito, perse il padre e due fratelli (Giovanni e Edoardo) in tenera età. La madre nel 1821, alla morte del marito, si trasferì a Bergamo, presso la famiglia di suo padre Ambrogio, che era giunta in Italia per svolgere un’attività nell’industria serica.
Entrambe le famiglie d’origine erano di religione protestante. Non essendo cattolico Morelli non poté accedere alle scuole lombardo-venete e la sua istruzione primaria avvenne alla Kantonschule di Aarau (Svizzera), negli anni 1826-32, per proseguire dal 1833 al 1836 all’Università di Monaco, dove conseguì la laurea in medicina sotto la guida del biologo e anatomista Ignatius Döllinger con una tesi di anatomia umana dal titolo: De regione inguinali, edita l’anno seguente. La formazione medica di Morelli, che pur non esercitò mai la professione, si rivelerà decisiva per l’approccio critico e la formulazione del futuro metodo attributivo sperimentale delle opere pittoriche, influenzato dall’analisi tassonomica e comparativa più che dalla semeiotica medica. Il nome fu italianizzato alla fine anni Trenta dallo stesso Morelli, che però pubblicò il suo primo scritto sotto lo pseudonimo di Nicolaus Schäffer: Balvi magnus, das ist die kritische Beleuchtung des balvischen Missale (1836), un’acuta parodia dell’ambiente artistico di Monaco al tempo di Ludovico I di Baviera, illustrata da incisioni satiriche di Ernst Fröhlich, e ricca di precoci commenti riguardo alla cultura storico-artistica classicista con vivaci analisi iconografiche ed estetiche.
Nel 1837, intenzionato ad ampliare le sue conoscenze scientifiche, s’iscrisse alla facoltà di scienze naturali dell’Università di Erlangen per seguire i corsi di anatomia comparata e fisiologia. Fu fondamentale in questo periodo la lettura dei trattati zoologici illustrati di Johann Baptist Ritter von Spix e di anatomia comparata di Georges Cuvier, teorico della correlazione tra le parti, metodo che permetteva di risalire da un singolo frammento anatomico fossile, osservando il suo preciso carattere morfologico, alla classe, all’ordine, al genere e alla specie zoologica di appartenenza. Nella città bavarese frequentò l’ambiente accademico e artistico, entrando in contatto con i pittori Wilhelm Kaulbach e Bonaventura Genelli, avviando con quest’ultimo un intenso scambio epistolare su questioni artistiche e di stile, che osservava da un punto di vista comparativo, influenzato dai suoi studi anatomici. Proseguì col dedicarsi alla sua vena satirica scrivendo un secondo breve trattato intitolato Das Miasma diabolicum, edito a Strasburgo nel 1839. Il testo, sempre sotto pseudonimo, ha anche in questo caso un tono antiaccademico e moraleggiante, venato di allusioni e controversie letterarie, polemiche anticattoliche, cultura fisiognomica e osservazioni medico-scientifiche.
A partire dal 1838 iniziò un periodo di viaggi e soggiorni nelle capitali europee: dopo Berlino e Parigi, si recò ripetutamente a Firenze, Roma, Napoli, Palermo. In ogni città entrò in contatto con la società colta, approfondendo i suoi interessi per la letteratura e l’arte. A Berlino, in particolare, frequentò il salotto della scrittrice Bettina Brentano von Arnim e conobbe lo scienziato Alexander von Humboldt e gli artisti Karl Blechen, Wilhelm Stier e prese lezioni di connoisseurship dagli storici dell’arte Gustav Friedrich Waagen, Karl Eduard von Liphart e Karl von Rumhor. Nell’agosto del 1838 accompagnò il geologo Louis Agassiz in Svizzera per un’indagine sulla morfologia dei ghiacciai, in cui il metodo comparativo anatomico cuvieriano fu esteso alla formulazione della teoria delle ere glaciali. Questa esperienza poté suggerire a Morelli l’idea di applicare lo stesso metodo al campo dell’arte. Nel corso di un altro soggiorno a Parigi, dove trascorse tutto il 1840, coltivò sempre più gli interessi storico- artistici e letterari rispetto a quelli scientifici, pur entrando in contatto con scienziati di rilievo tra cui François Arago e Félix Savart. Nella capitale francese incontrò anche l’esperto e collezionista d’arte Otto Mündler con il quale instaurò un’amicizia duratura di intensi scambi intellettuali. Nello stesso anno si recò a Firenze dove fu accolto dall’ambiente erudito e letterario (Gino Capponi, Giovan Pietro Vieusseux, Giovan Battista Niccolini) e dove ebbe un altro incontro, decisivo per la sua formazione, con il giurista e patriota Giovan Battista Giorgina, che in seguito frequentò quando fu nominato senatore del Regno d’Italia. Altra figura dell’ambiente fiorentino che ebbe una decisiva influenza sul giovane Morelli fu Niccolò Antinori, discendente dell’antica famiglia toscana, con il quale intrattenne per tutta la vita rapporti epistolari. Nel 1842 visitò per la prima volta Roma rimanendone fortemente coinvolto sul piano emotivo, come testimoniano alcune lettere scritte agli amici fiorentini in cui racconta le assidue visite a gallerie e rovine antiche che stimolarono i suoi progetti letterari e teatrali, come per la commedia Gli artisti, rappresentata a Torino nel 1860.
Dal 1844 la sua dimora abituale fu Bergamo, da cui si spostava frequentemente per recarsi in altre residenze di famiglia nei pressi di Como e Verona. Il 22 marzo di quell’anno, in una lettera all’amico Capponi, Morelli riferisce un incontro con Manzoni, la cui amicizia si trasformò in seguito in un’assidua frequentazione, fino alla morte dello scrittore. Si dedicò in questo periodo, in forma anonima – e pertanto la questione è ancora dibattuta dalla critica – alla traduzione in italiano di due importanti scritti di Schelling, uno su Dante, l’altro Sopra la relazione tra l’arti e la natura del 1808, edito in Lo Spettatore industriale (1845) e in seguito nelle opere di Niccolini (1858). Altra traduzione di rilievo ma rimasta inedita furono le conversazioni tra Johann Peter Eckermann e Goethe. Le riflessioni sull’arte e dalla filosofia naturale derivate dall’idealismo tedesco lasciarono una marcata impronta sulla sua formazione intellettuale.
Con l’avvio dei moti del 1848 Morelli prese parte attivamente all’insurrezione delle Cinque giornate di Milano e all’occupazione di Monza. La conoscenza di diverse lingue, e in particolare del tedesco, lo favorì nei rapporti di mediazione diplomatica, permettendogli di assumere un incarico del Governo provvisorio della Lombardia presso la Dieta germanica a Francoforte sul Meno per perorare la causa italiana. In questa occasione pubblicò l’opuscolo intitolato Worte eines Lombarden an die Deutschen, un discorso a favore della liberazione italiana dal giogo austriaco. Rientrato in Italia si recò a Venezia per partecipare alla difesa della città come tenente di fanteria. Il generale fallimento dei moti insurrezionali della penisola lo indusse a ritirarsi a vita privata. Si poté così dedicare interamente agli studi soggiornando parte a Bergamo, parte nelle residenze di campagna di famiglia. Tra il 1849-50 divenne consulente artistico del marchese Giuseppe Arconati Visconti, uomo politico e deputato, che lo ospitò presso la sua villa del Balbianello a Lenno, sul lago di Como, con l’incarico di curare le nuove acquisizioni e il restauro dei dipinti della sua collezione. Nel decennio 1850-60, con l’amico Mündler, ebbe assidue frequentazioni degli ambienti intellettuali milanesi, in particolare del cenacolo sorto attorno al pittore e restauratore Giuseppe Molteni a cui prendevano parte collezionisti come Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Charles Lock Eastlake, storico dell’arte e primo direttore della National Gallery di Londra, e l’archeologo e diplomatico inglese Austen Henry Layard, primo biografo di Morelli, conosciuto a Torino e a lungo suo corrispondente epistolare. La frequentazione delle botteghe dei restauratori, in seguito anche di quella di Luigi Canevaghi, e i rapporti con il teorico del restauro Giovanni Secco Suardo, contribuirono ad accrescere notevolmente le sue capacità nell’analisi della condizione materiale dei dipinti, come punto di partenza per proporre le attribuzioni e suggerire acquisti.
A Milano, divenuta crocevia del mercato dell’arte internazionale, ebbe importanti e duraturi contatti con collezionisti inglesi e italiani (i nobili Carlo Giovannelli, Giovanni Barracco, Emilio Visconti Venosta) di cui fu consulente per acquisti che avevano anche l’obiettivo di arginare il flusso di opere verso il mercato estero. Caso celebre, nel 1875, fu l’essere riuscito ad impedire l’acquisto da parte della Gemäldegalerie di Berlino, diretta da von Bode, della Tempesta di Giorgione, messa in vendita dalla famiglia veneziana Manfrin, facendola acquistare invece da Giovannelli. Altro incontro di rilievo agli inizi degli anni Cinquanta avvenne con Francesco De Sanctis, al quale Morelli sottopose i suoi scritti teatrali. Nel 1855 rifiutò l’offerta della cattedra di letteratura italiana al Politecnico di Zurigo, e suggerì per il medesimo incarico De Sanctis, che vi insegnò fino alla nomina a ministro della Pubblica Istruzione.
L’attività di studio e consulenza artistica nella compravendita di dipinti indussero Morelli a iniziare, pur con pochi mezzi, una collezione personale di opere che nel 1860 era già cospicua, con importanti presenze di scuola lombarda e veneta. Lo stesso anno Massimo d’Azeglio, con il consenso di Manzoni, assecondando gli interessi artistici di Morelli, lo incaricò di redigere una guida della Pinacoteca di Brera, pubblicazione che non venne portata a termine. Dalle lettere ad Antinori emergono in questi anni numerose informazioni riguardanti le talentuose capacità attributive di Morelli, che assumeranno in seguito una precisa connotazione metodologica nella pubblicazione degli scritti.
Nel 1859 aveva ripreso l’attività politica e militare assumendo il ruolo di comandante della guardia nazionale di Bergamo. Per meriti patriottici, l’anno seguente, Vittorio Emanuele II lo nominò cittadino del Regno di Sardegna e di conseguenza ottenne l’elezione come deputato del nuovo Regno subalpino, in rappresentanza della città di Bergamo (10 maggio 1860). Si trasferì a Torino, schierandosi nelle file del partito liberal-moderato di Cavour. Mantenne il seggio anche nelle legislature degli anni 1861, 1865 e 1868, per rinunciare però alla ricandidatura nel 1870. Nella sua attività parlamentare si dedicò a curare gli interessi del suo collegio elettorale, ma soprattutto rivolse le sue attenzioni alle tematiche di tutela del patrimonio artistico e monumentale e al sistema educativo. Nel suo doppio ruolo di politico e storico dell’arte, nel 1861, venne incaricato, direttamente da Cavour, di redigere in collaborazione con Giovanni Battista Cavalcaselle – conosciuto a Milano nel 1857 – il catalogo degli oggetti d’arte dei conventi e congregazioni soppresse di Marche e Umbria. L’inventario rappresentò un esempio sperimentale nell’applicazione del metodo della connoisseurship internazionale alle esigenze amministrative. Lo scambio professionale tra i due storici dell’arte si rivelò tuttavia burrascoso ed ebbe strascichi polemici negli anni successivi. Seguirono altri incarichi: per conto di De Sanctis, ministro della Pubblica Istruzione, effettuò un’indagine sullo stato dell’istruzione pubblica in Italia, in particolare sugli statuti dell’Accademia di belle arti di Firenze, e prese parte – con d’Azeglio e Giuseppe Mongeri – alla commissione per la formulazione di un progetto di legge sulla conservazione dei beni artistici, per il quale Morelli suggerì anche la nascita di una scuola di restauro.
Fulcro dell’iniziativa sarebbe dovuta essere l’elaborazione di un piano organico di riforma e accrescimento delle gallerie pubbliche e lo stimolo al formarsi di raccolte private che facessero argine al flusso crescente di esportazioni di opere italiane all’estero, la razionalizzazione degli interventi governativi attraverso la stesura di inventari e di un catalogo delle opere di maggior pregio presenti sul territorio dello Stato. Di grande importanza, in questo senso, fu la proposta che nel 1862 Morelli rivolse – in via epistolare a De Sanctis – di creare un museo della scultura lombarda all’Accademia di Brera a Milano, in seguito pienamente realizzato al castello Sforzesco.
Allo scoppio della terza guerra d’indipendenza, cinquantenne, mostrò un suo rinnovato coinvolgimento patriottico arruolandosi volontario nel 44º battaglione della guardia nazionale mobile del colonnello Enrico Guicciardi, combattendo come capitano in Valtellina e distinguendosi in particolare nella battaglia dello Stelvio (11 luglio 1866). Nel 1867, a seguito della morte della madre e poco dopo della zia, diradò i suoi soggiorni bergamaschi trasferendosi progressivamente a Milano dove risiedette stabilmente a partire dal 1874. Tra l’estate del 1868 e quella dell’anno seguente, compì un lungo e importante viaggio di studio tra Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda, Germania e Austria, in compagnia di Mongeri, docente dell’Accademia di Brera, dedicandosi all’approfondimento in particolare dell’arte fiamminga e olandese con numerose visite presso collezioni pubbliche e private. Nel 1870, in concomitanza con la fine dello Stato pontificio, si recò a Roma, dove prese parte alle aste del Monte di pietà e fece importanti acquisti di opere di scuola toscana e olandese per sé e per il cugino Giovanni Melli alla morte del quale, nel 1873, ereditò le collezioni pittoriche, numismatiche e librarie che lui stesso aveva contribuito a creare. Tappa successiva dei suoi viaggi di studio fu la Spagna (1872) dove, oltre a coltivare i suoi interessi artistici, si occupò di prendere informazioni riguardo alla realtà politico-amministrativa spagnola, facendone relazione in un’udienza privata a Vittorio Emanuele II. Sotto il ministero Minghetti, il 6 novembre 1873, gli giunse la nomina di senatore del Regno d’Italia per meriti patriottici. In quegli anni le attività di Morelli nell’intermediazione per acquisti e come consigliere artistico, nonché soprattutto come catalogatore, si fecero più assidue; fu coadiuvato nell’impegno da Gustavo Frizzoni, alla cui educazione si era dedicato per i legami di famiglia con il padre, dopo la sua morte. A partire dal 1874 la collaborazione con Frizzoni, per la sua attitudine allo studio e alla ricerca, divenne molto assidua nei progetti d’inventariazione del patrimonio artistico italiano. Tale impegno culminò nella nomina di Morelli a presidente del Comitato centrale per la conservazione delle belle arti, con l’incarico di redigere il primo catalogo dei dipinti delle scuole classiche di proprietà pubblica e privata e il catalogo delle opere da acquistare per completare la storia dell’arte rappresentata nelle sue scuole. L’impresa, interrotta per le scadenze elettorali, fu ripresa solo alla fine degli anni Ottanta da Adolfo Venturi.
Nel biennio 1874-76 pubblicò sulla rivista viennese Zeitschrift für bildende Kunst una serie di scritti, dedicati alle opere pittoriche presenti nelle Gallerie Borghese e Doria-Pamphili di Roma, frutto dei suoi pluriennali studi e attribuzioni, celandosi dietro lo pseudonimo anagrammatico di Ivan Lermolieff, tradotto a sua volta in lingua tedesca da Johannes Schwarze, variante germanica del medesimo nome slavo. L’alter ego di Morelli impersonava un perplesso conoscitore russo in visita alle collezioni d’arte italiane, che affermava di provenire da Gorlag, in realtà Gorle, cittadina in provincia di Bergamo. La scelta del doppio mascheramento della propria identità e nazionalità, già utilizzato in precedenti scritti, oltre a essere un valido strumento narrativo, rispecchia uno dei tratti peculiari della personalità di Morelli, ispirata alla discrezione e alla riservatezza sino alla segretezza riguardo alle proprie attività in campo giornalistico, politico e artistico (Anderson, 1991). La struttura delle pubblicazioni è quella di una rassegna dei quadri esposti nelle gallerie, con l’obiettivo di riordinare i cataloghi dei pittori restituendo i dipinti ai loro veri autori. Questo obiettivo critico, venato spesso nella scrittura da un tono polemico e ironico, permise a Morelli di offrire al lettore il proprio meticoloso metodo di studio finalizzato a innovative attribuzioni, basandosi sulla considerazione degli aspetti formali dei dipinti presi in esame in una chiave di «dissociazione visuale» (Wind, 1983) o secondo un «paradigma indiziario» (Ginzburg, 1986).
L’osservazione, la comparazione e la correlazione tra gli aspetti formali di minore e maggiore importanza, in una prospettiva di studio complessivo dei dipinti e non utilizzando solo dettagli isolati, sono alla base del metodo di Morelli.
Per identificare la mano di un maestro, e distinguerla da quella dei copisti o dei falsari, è indispensabile – sosteneva – osservare tre classi di caratteri formali distintivi: posizione e movimento del corpo, forma del viso, colorito, panneggio; la seconda, e più rilevante, è la categoria che comprende particolari anatomici quali mani, unghie, lobi di orecchie o fondali di paesaggio, accordi di colore. Terza, e più marginale serie di caratteri, sono le «materiali piccolezze», tipiche di ogni pittore, in cui tanto l’artista di nome quanto il copista non impiegano particolare cura nell’esecuzione, così da far risultare più evidenti le differenze, secondo un principio di naturale produzione istintiva (Anderson, 1991). Un passo morelliano è chiarificatore: «Come la maggior parte degli uomini, tanto parlando quanto scrivendo, hanno parole e frasi favorite e abituali maniere di dire che introducono nel discorso talora senza intenzione, ossia senza avvedersene, e non di raro anche dove non ci stanno, così quasi ogni pittore ha certe maniere abituali ch’egli mette in mostra e che gli sfuggono senza che se ne accorga […]. Ora chi vuole studiare un maestro intimamente e conoscerlo meglio deve dirigere il suo occhio a queste materiali piccolezze – un calligrafo le chiamerebbe girigognoli» (Della pittura italiana, 1897, p. 87).
La sintesi nell’indagine attribuzionista di questi tre livelli avrebbe permesso a un «piccolissimo numero di illuminati e indipendenti amici dell’arte e artisti» d’individuare razionalmente le caratteristiche generali del lavoro autografo di ciascun artista. Morelli distingue due maniere di vedere: una «dipendente dall’occhio esterno, l’altra dall’occhio interno», secondo una corrispondenza e una capacità di osservazione, che va al di là delle apparenze, come avviene nel parallelismo spirito-natura nella fisiognomica, nella grafologia e nella Naturphilosophie, con cui il pensiero e la pratica di Morelli ha molti punti di contatto. Tra le tecniche artistiche alle quali applicare il suo metodo, indicava il disegno antico: sia per la migliore conservazione originaria del supporto cartaceo sia perché rispetto al dipinto esso permetteva una lettura più sicura dei caratteri dell’originale, frutto d’immediatezza tale da individuare lo stile peculiare dell’artista o l’appartenenza ad una determinata scuola. Nei saggi sui dipinti degli antichi maestri della Galleria Borghese, improntati a questo metodo, comparivano numerose nuove attribuzioni, come un Ritratto d’uomo di Holbein che Morelli assegnava a Raffaello. Venivano respinte le attribuzioni tradizionali di molte altre opere.
Le reazioni agli scritti di Morelli da parte degli studiosi e direttori di musei tedeschi e austriaci, veri obiettivi dell’autore, e in particolare Wilhelm von Bode, si polarizzarono tra accettazione e rifiuto. Tra le adesioni più significative al metodo morelliano vi fu quella di Johann Paul Richter, un giovane studioso che divenne suo assiduo corrispondente, abile discepolo e riconosciuto conoscitore e collezionista. Nel 1880 l’investigazione critica sui dipinti e disegni degli antichi maestri – grazie anche alla collaborazione di Richter – si estese alle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino con la pubblicazione, dopo lunga gestazione, del volume Die Werke italienischer Meister, successivamente tradotto anche in inglese (1883, in ed. rivista 1892- 93) e in italiano con il titolo Le opere dei maestri italiani nelle Gallerie di Monaco, Dresda e Berlino (1886).
Il tono polemico e a tratti satirico di Morelli prendeva esplicitamente di mira, con la nuova opera, i libri di Joseph Archer Crowe e Giovan Battista Cavalcaselle, cui il metodo sperimentale morelliano si opponeva. Le nuove attribuzioni vennero in gran parte accolte dalle direzioni dei musei, come nel caso emblematico della Venere dormiente di Dresda attribuita a Sassoferrato la cui autografia, dopo il restauro, passò a Giorgione pur ammettendo un possibile intervento di Tiziano. Nel 1881 uscirono su riviste viennesi, sempre a nome Lermolieff, alcuni articoli dedicati a Raffaello in forte polemica con le conoscenze fino ad allora consolidate riguardo alla formazione del maestro marchigiano, avanzate da Anton Springer, e all’attribuzione di un corpus cospicuo di disegni conservato presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia e in altre collezioni europee, che Morelli attribuì a Pinturicchio in opposizione alle opinioni di Eugène Müntz. La polemica coinvolse nuovamente Crowe e Cavalcaselle che nel 1883 avevano pubblicato una monografia su Raffaello.
Nel 1885, a nome di Marco Minghetti, amico di Morelli nonché ex ministro degli Esteri, uscì una raccolta di studi su Raffaello, precedentemente pubblicati su Nuova Antologia, frutto della collaborazione critica di entrambi. In una lettera datata 22 giugno 1882, e indirizzata a Minghetti, si apprende dell’incontro di Morelli a Zurigo con Jacob Burckhardt, con il quale intrattenne un ricambiato rapporto di stima e scambio intellettuale.
Solo a partire dal 1890 iniziò la pubblicazione in tedesco del corpus degli scritti di Morelli, che egli stesso aveva previsto in tre volumi con il titolo di Kunstkritische studien über italienische Malerei. Il primo, sulla Galleria Borghese e Doria-Pamphili a Roma, apparve nello stesso anno come versione ampliata e rivista degli articoli risalenti agli anni Settanta e apparve postumo nel 1897, tradotto da Frizzoni; mentre nel 1891 apparve il secondo volume degli scritti che comprendeva il testo rivisto sulle gallerie tedesche edito nel 1880. Solo il terzo tomo non poté essere seguito direttamente dall’autore e, incompiuto, comparve nel 1893 a cura di Frizzoni.
Gli ultimi anni di vita di Morelli trascorsero tra Milano e frequenti viaggi in Germania, Francia e Inghilterra per lo studio di raccolte di disegni insieme a Richter. Il 6 aprile 1889 redasse il proprio testamento nominando erede universale il cugino Giovanni Zavaritt e donando le raccolte di quadri all’Accademia Carrara di Bergamo, i disegni e stampe a Frizzoni con l’impegno, in parte disatteso, di depositare in seguito la collezione presso il Museo civico di Milano e infine i suoi libri alla Biblioteca dell’Accademia di Brera, mentre alla Civica Biblioteca Angelo Mai di Bergamo sono conservati i testi letterari. Morì il 28 febbraio 1891 dopo una breve malattia. È sepolto nel cimitero Monumentale di Milano.
Frizzoni ne raccolse e curò i manoscritti, pubblicando negli anni a seguire numerosi articoli in cui è difficile talvolta distinguere fra le opinioni proprie e quelle del maestro.
L’importanza della personalità intellettuale di Morelli, fu riconosciuta, come testimonia la vasta diffusione dei suoi scritti e del suo metodo, ed ebbe sul piano della connoisseurship internazionale numerosi seguaci: i più noti sono Bernard Berenson per l’arte rinascimentale e John Davidson Beazley per l’archeologia, ma vanno anche ricordati altri studiosi che furono più o meno influenzati dal suo lavoro Julius von Schlosser, Moritz Thausing, Franz Wickhoff della Scuola di Vienna e in Italia Adolfo Venturi. Gli scritti di Morelli furono noti a Freud, che si servì del suo metodo in particolare nella stesura del saggio sul Mosè di Michelangelo (1914).
Morelli ebbe un ruolo di primo piano per quanto riguarda la tutela e gestione politicoamministrativa del patrimonio artistico italiano durante i primi governi dello Stato unitario, avendo contribuito a gettare le basi di provvedimenti legislativi, campagne di catalogazione e progetti museologici. Con una ricca messe di studi, a partire dalla metà degli anni Ottanta del Novecento, la storiografia critica ha riscoperto e delineato la complessità della figura di Morelli, collocandolo tra gli storici dell’arte più influenti del XIX secolo.
Fonti e Bibl.: G. Frizzoni, Cenni biografici intorno a G. M., in Della pittura italiana. Studii storico- critici. Le Gallerie Borghese e Doria-Pamphili in Roma (Milano 1897), a cura di J. Anderson, Milano 1991, pp. 337-369 (con bibl. completa degli scritti); E. Wind, Critica del conoscitore d’arte, in Arte e anarchia (Art and anarchy, London 1963), trad. it., Milano 1968, pp. 53-74; C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Miti, emblemi e spie. Morfologia e storia, Torino 1986, pp. 158-165; G. M.: da collezionista a conoscitore (catal.), I-III, Bergamo 1987; G. Agosti - M.E. Manca - M. Elisabetta, et al., G. M. e la cultura dei conoscitori. Atti del Convegno internazionale, Bergamo… 1987, I-III, Bergamo 1993; G. Bora, I disegni della collezione Morelli, Bergamo 1988; G. M.: collezionista di disegni; la donazione al Castello Sforzesco (catal., Milano 1994-95), a cura di G. Bora, Cinisello Balsamo 1994; J. Anderson, in The Dictionary of art, XXII, London-New York 1996, pp. 101-103; Id., Collecting connoisseurship and the art market in Risorgimento Italy: G. M.’s letters to Giovanni Melli and Pietro Zavaritt (1866-1872), Venezia 1999; Id., I taccuini manoscritti di G. M., Milano 2000; M. Giuffredi, Fisiognomica, arte e psicologia tra Ottocento e Novecento, Bologna 2001, pp. 165- 184; J. Vakkari, G. M.’s «scientific» method of attribution and its reinterpretations from the 1960’s until the 1990’s, in Konsthistorisk tidskrift, LXX (2001), pp. 46-54; M. Lorber, Riflessi semiotici e «connoiseurship»: M., Berenson, Riegl, l’origine di un modello epistemologico, in Arte in Friuli, arte a Trieste, XXV (2006), pp. 135-152; V. Locatelli, Metamorfosi romantiche: le teorie del primo Romanticismo tedesco nel pensiero sull’arte di G. M., Udine 2011.