SACCHI, Giovanni Giacomo
SACCHI, Giovanni Giacomo (in religione Giovenale). – Nacque a Milano il 22 novembre 1726, primogenito di Giuseppe Agostino, notaio e giureconsulto originario di Barzio in Valsassina, e Maddalena Stampa, di Gravedona.
Compiuti i primi studi nelle Scuole Arcimboldi, il collegio di S. Alessandro in Zebedia (ebbe per condiscepoli Pietro Verri e il matematico e astronomo Paolo Frisi), nel 1742 fu ammesso nella Congregazione dei chierici regolari di S. Paolo. Dopo il noviziato, trascorso a Monza, il 14 ottobre 1743 prese i voti assumendo il nome di Giovenale. Svolti gli studi di filosofia a Pavia, nel 1749 entrò a far parte del corpo docente delle scuole di S. Giovanni delle Vigne di Lodi come insegnante di retorica, pronunciando in latino l’orazione d’apertura dell’anno scolastico. A questi anni risale probabilmente l’inedito Compendio dell’arte rettorica (Perugia, Biblioteca comunale Augusta, Mss., 1759, cc. 29r-36v), cui seguì, anni dopo, la Eloquentiae latinae et italicae compendiaria institutio (Bologna 1818; di un’edizione Milano 1777 non vi è oggi alcun riscontro).
Il 30 novembre 1749 fu ordinato sacerdote. Nei quasi dieci anni dell’insegnamento lodigiano il barnabita approfondì la conoscenza e lo studio del greco e dell’ebraico. Con lettera del 12 aprile 1755 avviò un durevole scambio epistolare con padre Giambattista Martini (Bologna, Museo della Musica, I.10.1-41, 43-54; H.72.98, 100). Sacchi proponeva al francescano bolognese la composizione musicale dei cori per il suo Giuseppe venduto, «azione boschereccia» (manoscritto a Milano, Archivio storico dei barnabiti, cart. Ms. 4a) che, come spiegato dallo stesso Sacchi, avrebbe dovuto essere «semplice e grave e piena di dolce e pietoso affetto, quale era quella che usarono i Greci, maestri di ogni eccellente arte» (Guasconi, 1937, p. 112). Andato in scena il 23 maggio per l’elezione di padre Paolo Filippo Premoli a proposto generale della Congregazione, il primo risultato della collaborazione tra Sacchi e Martini fu coronato da successo, documentato in una lettera di tre giorni dopo (i cori musicati tanto del Giuseppe quanto dell’oratorio La deposizione dalla croce di N. S. Gesù Cristo, del 1758, sono a Bologna, Museo della musica, HH.64).
Nella concezione teatrale di Sacchi spettava al coro una funzione cruciale, come si evince dall’inedito Trattato sull’azione tragica (Milano, Archivio storico dei barnabiti, cart. Ms. 18, c. 1r): «sommamente è giovevole il coro che succede, perché dilettando gli ascoltatori col canto conserva ed accresce ad un tempo gli affetti già desti dall’atto antecedente, ed alcuna volta li prepara alle cose che devono seguire. La interposizione de’ balli e di intermezzi faceti nuoce assaissimo, né sarà mai possibile che la tragedia presso di noi riacquisti la sua forza antica e l’onore che gli è dovuto se noi non ritorneremo all’uso de’ cori, l’uso dei quali darà certamente sempre maggior diletto che non danno presentemente tutte le arie insieme d’un melodramma» (Merzagora, 2008, p. 264).
Nel settembre del 1758 Sacchi passò al collegio Longone di Milano, dove insegnò fino alla morte. Durante un trentennio videro la luce i suoi lavori teorici più significativi.
Se la sua produzione drammaturgica si arricchì di una nuova opera (l’«azione drammatica» Pericle), con l’opuscolo Al Sig. Abate Parini: lettera di uno scolaro del R. P. Branda [...] in difesa del medesimo (pubblicato anonimo, Milano 1760), Sacchi si schierò a favore del barnabita Paolo Onofrio Branda, autore del dialogo Della lingua toscana, nella polemica linguistica che lo oppose a Giuseppe Parini: ciò non impedì peraltro a Sacchi di esprimere, nei confronti di Parini, una stima sincera, testimoniata dalla missiva al confratello Angelo Cortenovis del 13 dicembre 1786 (Cazzani, 1980, pp. 97 s.; Merzagora, 2008, pp. 261 s.).
La produzione di Sacchi oggi più nota, relativa a questioni di musica e di drammaturgia, si aprì con la dissertazione Del numero e delle misure delle corde musiche e loro corrispondenze (Milano 1761) e si chiuse con lo Specimen theoriae musicae (Bologna 1788). Degni di nota sono poi i lavori biografici che videro impegnato, nella piena maturità, il barnabita: dalla traduzione dal latino della Vita di Benedetto Marcello patrizio veneto di Francesco Fontana, inserita nelle Vitae Italorum doctrinae excellentium di Fabroni (IX, Pisa 1782, pp. 272-378), alla Vita del cavaliere don Carlo Broschi (Venezia 1784; ed. moderna a cura di A. Abbate, Napoli 1994; trad. tedesca di Christoph Martin Wieland in Der deutsche Merkur, luglio 1788, pp. 116-138), ossia del cantante Farinelli (Carlo Maria Michele Angelo Broschi), morto nel settembre del 1782, basata in parte su relazioni avute da padre Martini (cfr. le lettere di Sacchi a Martini dal novembre del 1781 al gennaio del 1784).
Membro delle Accademie delle Scienze di Bologna e di Mantova, favorevolmente recensito sul Giornale de’ letterati di Tiraboschi (per esempio nei tomi XLV, 1787, pp. 150-171, e XLVII, 1790, pp. 282-294; a sua volta il barnabita espresse pareri lusinghieri intorno ad alcuni tomi della di lui Letteratura italiana), Sacchi tenne proficui rapporti con eminenti matematici come Frisi – per la sua morte compose un’elegia latina, apparsa nelle Memorie appartenenti alla vita ed agli studj del signor don Paolo Frisi edite da Pietro Verri (Milano 1787, pp. 105-110) –, il gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich, Luigi Lagrange, Sebastiano Canterzani e Giordano Riccati; quest’ultimo gli indirizzò due lettere «intorno al risorgimento della musica» apparse sul Giornale de’ letterati d’Italia (XLI, 1790, pp. 170-190, 31 luglio e 5 settembre 1788).
In questa sede si colloca la polemica con il gesuita Saverio Bettinelli (Massera, 1981; Gozza, 1984). Nel tomo II dell’opera Del risorgimento d’Italia (Bassano 1775, p. 179), questi aveva espresso un severo giudizio nei confronti della musica moderna, individuandone nel «vezzo soverchio» e «affettazione» alcuni dei principali difetti. Contro queste affermazioni si scagliò proprio Riccati nelle citate lettere a Sacchi: il fisico e matematico veneto aveva infatti contrapposto, alle critiche del gesuita mantovano, l’inoppugnabile importanza delle scoperte caratterizzanti la musica moderna, come l’acquisizione e il consolidamento del sistema accordale e il perfezionamento del meccanismo delle modulazioni. Sacchi replicò allora a Riccati, ma rivolgendosi contestualmente anche a Bettinelli: se del primo accolse la tesi di difesa, del secondo mise in risalto la buonafede (Giornale de’ letterati d’Italia, XLII (1790), pp. 158-201), sottolineando inoltre, in una successiva lettera per un non identificato «amico di Bettinelli», come «in verità l’arte è lontana dalla perfezione e i vizi sono quelli appunto che il sig. Ab. Bettinelli accenna, e non sono leggieri» (Continuazione del Nuovo giornale de’ letterati d’Italia, XLIII (1790), p. 230). Il vero problema, per Sacchi, stava nel fatto che gli stessi musicisti coevi avessero una conoscenza lacunosa delle qualità della musica moderna; il che, unito a una qualità esecutiva spesso insufficiente, ne determinava in negativo il giudizio finale. Per Sacchi l’arte dei suoni è peraltro foriera di numerosi vantaggi pedagogici, come illustrato nel saggio Della natura e perfezione della antica musica de’ Greci, e della utilità che ci potremmo noi promettere della nostra applicandola secondo il loro esempio alla educazione de’ giovani (Milano 1778, pp. 156-195).
Stimato da Cesare Cantù (che lo elogia in L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, Milano 1854, p. 184), il nome di Sacchi è oggi ricordato principalmente per alcune querelles che infiammarono il mondo musicale, non solo milanese, del secondo Settecento. Più marginale fu, nell’ambito linguistico e prosodico, l’accusa mossa al barnabita dall’abate Francesco Venini, secondo cui Sacchi si sarebbe allontanato dalla realtà per aver «creduto di poter ridurre alle medesime regole la versificazione latina e italiana» (Dissertazione sui principj dell’armonia musicale e poetica (Parigi 1784), p. 164); da accuse simili sembra volersi difendere Sacchi nella Lettera a Francesco Zanotti pubblicata sul Giornale de’ letterati di Pisa (IV, 1771, pp. 127-138). Tanto Sacchi quanto Zanotti, unitamente a Gasparo Gozzi, vengono del resto elogiati da Ippolito Pindemonte per la chiarezza e la semplicità espositiva (Elogio di letterati italiani, Verona 1826, p. 239).
Il dibattito che oppose Sacchi ad Andrea Draghetti era invece incentrato sulla liceità dell’estensione della legge della continuità all’ambito musicale, elaborata dal confratello Boscovich nella dissertazione De continuitatis lege et ejus consectariis pertinentibus ad prima materiae elementa eorumque vires (Roma 1754) e nella Philosophiae naturalis theoria (Vienna 1758), sulla scorta del continuitatis principium leibniziano. Nella Risposta al chiarissimo Sig. Giuseppe Tartini Sacchi, partendo dal concetto di armonia insito nelle sfere celesti, e ricordando al contempo come, per la prima legge di Keplero, le orbite dei pianeti siano ellittiche, spiega come «gli incrementi e decrementi sia delle distanze sia delle celerità delle orbite de’ pianeti sono continui ed infiniti: per contrario i gradi della scala musica sono numerati e disgiunti. La natura dunque in quelli vuole la continuità; in questi dimanda il salto, e tanto necessariamente lo dimanda che l’orecchio nostro di quel picciol numero di voci che la scala musica formano si compiace assaissimo: tutte le altre intermedie possibili, che infinite sono, gli sarebbero intollerabili» (Della divisione del tempo nella musica, nel ballo e nella poesia, Milano 1770, pp. 246 s.). Contro questa linea teorica Draghetti aveva sostenuto, nello Psychologiae specimen (Milano 1771, I, pp. 45-53), l’idea di un passaggio continuo da un suono all’altro, attraverso consonanze e dissonanze. Sacchi replicò che la consonanza dipendeva dai segmenti della corda vibrante, più o meno commensurabili rispetto a un preciso rapporto armonico (Risposta [...] al P. Andrea Draghetti della Compagnia di Gesù, Milano 1771). A un’ulteriore presa di posizione di Draghetti (Replica alla Risposta del Padre Giovenale Sacchi, Milano 1772), Sacchi non reagì. La polemica fu seguita anche all’estero, come dimostrano due recensioni apparse sul Journal des sçavants (dicembre 1772, pp. 817 s., 867-870) e un articolo, peraltro favorevole al gesuita piemontese, sul Journal historique et littéraire (marzo 1774, p. 184). Giuseppe Tartini e Antonio Eximeno criticarono l’opera teorica di Sacchi, il primo in riferimento a Del numero e delle misure, il secondo a Della divisione del tempo. Se nei confronti del violinista il barnabita mantenne intatta stima, progettando anche una lettera in risposta alle osservazioni mossegli (cfr. la lettera del 3 aprile 1771 a Giuseppe Paolucci, in Premoli, 1921, p. 487), Sacchi non giudicò fondate le critiche del gesuita spagnolo.
Morì a Milano il 23 settembre 1789.
Sacchi non aveva potuto coronare l’intento di completare l’Estro poetico-armonico di Benedetto Marcello facendo musicare i salmi mancanti. Dopo vari infruttuosi tentativi di realizzare l’importante ma oneroso progetto editoriale, prima in Italia (Bodoni) poi in Germania (Breitkopf), aveva raggiunto un accordo con l’editore Jacques Chardon: costui aveva lanciato una pubblica sottoscrizione per la Continuazione del Salterio Marcelliano (una bozza del solo testo poetico dei salmi è Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.P.E.XI.41). Per la messa in musica delle parafrasi italiane dei Salmi LI-LVI i rapporti intessuti con Giordano Riccati e padre Martini furono determinanti: vi concorsero infine Andrea Basili (LI), Luigi Mariani (LII, LV, LVI), Giuseppe Paolucci (LIII) e Stanislao Mattei (LIV), mentre Vincenzo Manfredini non consegnò il proprio lavoro, utilizzandolo invece per il concorso a maestro di cappella del Duomo di Milano, cui partecipò anche Mariani (Luppi, 1996, p. 127).
Su Sacchi si conservano, entrambi manoscritti, due documenti biografici redatti da Stefano Rota (Perugia, Biblioteca comunale Augusta, Mss., 1759, cc. 39r-45v) e Lodovico Corio (Milano, Biblioteca Ambrosiana, R 140 inf., 39 cc.). Il Museo della musica di Bologna conserva un ritratto di Sacchi, di mano di Donnino (Domenico) Riccardi. Altre opere: Delle quinte successive nel contrappunto e delle regole degli accompagnamenti. Lettera al sig. Wincislao Pichl, Milano 1780; Don Placido, dialogo dove cercasi se lo studio della musica al religioso convenga o disconvenga, Pisa 1786. L’archivio di S. Barnaba di Milano conserva sei fascicoli di opere di Sacchi, solo in parte edite, unitamente a una parziale trascrizione dei carteggi.
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