GIROLAMI, Giovanni
Nacque a Firenze il 16 sett. 1470 da Filippo di Zanobi e da Angela di Giovanni Lorini, primogenito di sei figli, tre maschi e tre femmine.
I Girolami erano una antichissima famiglia fiorentina, alla quale, secondo la tradizione, era appartenuto s. Zanobi, primo vescovo di Firenze, vissuto nel V secolo e di cui la famiglia, ancora ai tempi del G., conservava gelosamente l'anello. Il possesso comune di questa preziosa reliquia e di un'antica casa-torre vicino alla piazza del mercato, detta appunto "la torre dei Girolami", contribuiva a tenere saldi i legami familiari. Nel XV secolo i Girolami erano titolari di una delle principali case bancarie fiorentine la cui attività si espandeva anche a Roma e in Francia ed erano attivi pure nel campo della manifattura tessile, che aveva consentito al nonno del G. di essere uno dei più ricchi cittadini di Firenze.
Secondo la "portata" al Catasto del 1480, il G. non disponeva di un patrimonio particolarmente cospicuo: oltre alla casa di abitazione e alla proprietà indivisa della torre, possedeva due botteghe e tre poderi in Val di Pesa. Sulla sua situazione economica, come sulle vicende personali, dovette pesare non poco la precoce morte del padre, avvenuta nel 1479, e il conseguente forzato scioglimento delle società da questo costituite con il fratello Francesco.
Dalla portata risulta che allora il G. frequentava la scuola di abbaco: seguiva pertanto il normale iter formativo dei rampolli del ceto mercantile fiorentino, cui seguiva di solito l'apprendistato presso qualche casa commerciale. Giunto all'età adulta, il G. si dedicò agli affari in società con il fratello Alessandro specialmente nel settore finanziario e creditizio, operando in particolare in Francia. Nel 1499 prese infatti a noleggio una nave, e nel mese di aprile 1502 ottenne da Benedetto Pagagnotti, vescovo di Vaison, l'appalto della riscossione di tutte le entrate di quel vescovato. In cambio lui e il fratello si impegnarono a versare al vescovo la somma annuale di 300 ducati d'oro e, come garanzia, fornirono i tre poderi in Val di Pesa ereditati dal padre. Tutta la vita del G. sembra caratterizzata dai rapporti con la Francia, dove doveva contare su amicizie e appoggi ad alto livello. Nell'agosto del 1502 il G. affidò a un suo rappresentante, il cugino Pellegrino Lorini, la liquidazione della società costituita con il fratello ed entrò tra i domenicani. Ricevette la tonsura e i quattro ordini minori dallo stesso Pagagnotti che, sebbene titolare della diocesi di Vaison, dimorava stabilmente nel convento di S. Maria Novella, in quanto fiorentino e appartenente all'Ordine.
Non si hanno del G. altre notizie fino al 30 nov. 1506, quando Pier Soderini, allora gonfaloniere a vita della Repubblica fiorentina, scrisse una lettera in sua raccomandazione al fratello, il cardinale Francesco Soderini. Non sono noti i rapporti del G. con i Soderini, di cui era lontano parente; dal tenore di questa lettera sembra che il cardinale non lo conoscesse di persona, ma il fatto certo è che nel 1506 iniziò tra loro un rapporto di stretta collaborazione, destinato a interrompersi soltanto con la morte di Francesco Soderini, nel 1522.
Non è molto chiara nemmeno la natura di questa collaborazione in mancanza dei libri contabili del Soderini, ma è probabile che, analogamente a quanto accadeva per altri collaboratori del cardinale, parimenti appartenenti all'Ordine ecclesiastico, il G. non ricevesse una retribuzione, ma fosse compensato per i suoi servizi con la concessione di benefici ecclesiastici.
Al G. fu affidato il compito nevralgico di tenere le relazioni con la Francia; l'importanza di questi rapporti travalicava le mire e le ambizioni personali del cardinale e, a causa della parentela con il capo del governo fiorentino, coinvolgeva le sorti politiche di Firenze. Il cardinale Soderini deteneva in Francia importanti benefici ecclesiastici ed era legato da stretti rapporti con il re, cui sembra dovesse l'elevazione al cardinalato. Oltre a essere il tradizionale alleato della Repubblica fiorentina, il re di Francia rappresentava anche l'essenziale appoggio per il regime di Pier Soderini, messo costantemente in pericolo dalle trame dei filomedicei e dalle spaccature nel gruppo degli ottimati, ai quali doveva l'elevazione al gonfalonierato.
Il primo compito affidato al G. in Francia, risalente al 30 marzo 1507, dovette essere di natura amministrativa e finanziaria: fu destinato ad affiancare Mario Maffei, altro uomo di fiducia del cardinale, che poco tempo prima era stato inviato a prendere possesso e ad amministrare in nome di questi il vescovato di Saintes. Nel redigere la lettera di accompagnamento e di presentazione al Maffei, il cardinale definisce il G. "homo intendente e pratico" e incita a fare grande affidamento su di lui. La permanenza in Francia del G. si protrasse per oltre due anni (il Maffei invece ne fu richiamato dopo pochi mesi), dato che in un atto notarile stipulato dal G. il 9 luglio 1509 a Empoli, nella casa del cardinale Soderini, egli afferma di essere appena tornato dalla Lorena.
Un'altra missione in Francia espletata dal G. per il Soderini, questa volta a carattere squisitamente diplomatico e politico, ebbe inizio nell'estate del 1510.
In questo periodo la tradizionale politica estera fiorentina basata sull'alleanza con il re di Francia entrò in crisi in seguito al delinearsi del conflitto tra Luigi XII e il papa, Giulio II. Pur fermamente intenzionati a onorare i trattati di alleanza con la Francia, né Pier Soderini né tantomeno il fratello potevano pensare di mettersi in urto con il Papato. Fu in questa preoccupante situazione che prese avvio la terza legazione in Francia di Niccolò Machiavelli, che aveva appunto lo scopo di rassicurare il re sulle intenzioni dei Fiorentini e nello stesso tempo di far presente la necessità di evitare a tutti i costi un conflitto che avrebbe avuto conseguenze nefaste per la Repubblica. Appena si ebbe notizia dell'incarico al Machiavelli, Francesco Soderini gli diresse una lettera, il 28 giugno 1510, con cui gli annunciava che in Francia avrebbe trovato il G., di cui poteva valersi proficuamente.
Incontratisi a Blois, dove si trovava la corte, il 3 ag. 1510, i due fiorentini ebbero molti colloqui, fra loro e con alcuni segretari del re, e delinearono un progetto di mediazione tra Francia e Papato, caldeggiato in particolare dal Girolami. Allo scopo di definire meglio l'iniziativa, Luigi XII accettò di incontrarsi personalmente con il G. e lo incitò a presentare ufficialmente la proposta agli organi del governo fiorentino; il G. partì immediatamente per Firenze, dove giunse il 13 agosto, fornito di un'istruzione scritta, redatta personalmente da Machiavelli, in cui erano riassunti i punti concordati con il re di Francia. La proposta di mediazione fu approvata dal governo fiorentino e il G. tornò a Blois il 1° settembre per portare la risposta al re. Il 22 settembre il G. si trovava invece a Tours, dove si svolgeva l'assemblea della Chiesa gallicana in cui furono poste le premesse per il concilio separatista dell'anno successivo.
L'iniziativa di mediazione tra Francia e Papato, portata avanti con impegno dalla Repubblica fiorentina, andò incontro a un completo fallimento, soprattutto per la decisa opposizione del pontefice, che non volle nemmeno ricevere gli oratori fiorentini; alla fine la guerra fu inevitabile.
Uno degli elementi principali del conflitto fu rappresentato dal concilio separatista che il gruppo dei cardinali francesi indisse a Milano, creando una spaccatura nel Sacro Collegio. Di fronte a questo episodio l'atteggiamento della Repubblica fiorentina era stato a lungo caratterizzato da una prudente neutralità fino a quando, nell'agosto 1511, una grave malattia di Giulio II fece presagire la sua prossima fine e la conseguente vittoria dei cardinali scismatici; allora il cardinale Soderini, ritenendo imminente la vittoria del gallicanesimo e non volendo restarne fuori, spedì in fretta il G. a Milano, dopo una breve sosta a Firenze per informare il governo fiorentino della sua iniziativa.
Il G. arrivò a Milano il 25 agosto, accompagnato dal corriere del governo fiorentino, ma, mentre quest'ultimo correttamente si diresse all'abitazione dell'oratore ufficiale della Repubblica a Milano, Francesco Pandolfini, il G. ignorò completamente l'ambasciatore e intraprese una serie di colloqui per offrire come sede del concilio gallicano la città di Pisa, da poco ricondotta sotto il dominio fiorentino. Questa iniziativa suscitò le ire del Pandolfini, che aveva ricevuto direttive affatto diverse e non era stato avvertito dell'improvvisa decisione del governo fiorentino di avallare le richieste del cardinale. L'imprevedibile guarigione del papa rese la decisione gravida di conseguenze negative sia per la famiglia Soderini, sia per la stessa Firenze. Ben presto la Repubblica cercò di correre ai ripari, manovrando per convincere i cardinali a trasferire la sede del concilio fuori dal dominio fiorentino, e alla fine ci riuscì, tanto che i cardinali tornarono a Milano. Il comportamento contraddittorio tenuto dal governo soderiniano in questa occasione contribuì ad alienargli le simpatie sia del re di Francia sia del pontefice: Firenze rimase politicamente isolata e dovette subire il sacco di Prato e il rientro della famiglia Medici, ma Pier Soderini era già stato destituito e costretto alla fuga.
In seguito il cardinale Soderini, in esilio come il fratello, dovette necessariamente ridimensionare le sue ambizioni e tenere una posizione defilata, tanto più che nel 1513 fu elevato al soglio pontificio il cardinale Giovanni de' Medici, Leone X; in conseguenza di questi fatti dovette necessariamente diminuire anche il ruolo di G. in Francia. I legami con il Soderini fecero sì che a Firenze il G. fosse ritenuto antimediceo, al pari dei fratelli e dei cugini. Egli in effetti passò fuori da Firenze la maggior parte del periodo di predominio mediceo: in particolare dal 1516 al 1518 stette quasi costantemente a Torino, prima per prendervi possesso di benefici ecclesiastici a nome del cardinale e poi come titolare degli stessi benefici a lui devoluti dal Soderini in cambio di una pensione. Nel dicembre 1517 la duchessa Filippa di Gheldria, vedova di Renato II, duca di Lorena e Bar, nominò governatore e luogotenente "de dominio Lambasco et de Orgone" il G., ma sembra che l'incarico fosse da lui ceduto al fratello Alessandro.
Intanto Francesco Soderini cercava in tutti i modi di fomentare la rivolta dei cardinali contro Leone X; questa opposizione sfociò in un vero e proprio progetto di congiura, capeggiato dal cardinale Alfonso Petrucci, scoperto nel maggio 1517: dagli interrogatori degli arrestati emerse subito la complicità del Soderini che, benché avesse poi ottenuto il perdono dal papa, preferì lasciare i domini pontifici per rifugiarsi a Fondi, feudo della famiglia Colonna. Qui rimase in volontario esilio fino alla morte del papa, avvenuta il 1° dic. 1521.
In questo periodo, disponendo di poca libertà di movimento, per Soderini tornò essenziale la collaborazione del G., che compiva viaggi in Francia e recapitava messaggi. Le sue mosse erano attentamente sorvegliate dagli agenti medicei a Roma. Quando fu raggiunto dalla notizia della morte del fratello minore, Filippo, il 17 marzo 1521, il G. si trovava a Fondi, presso il cardinale, e fece redigere una espressa dichiarazione con cui rinunciava alla sua parte di eredità a favore del fratello Alessandro. Si trovava invece in Francia nell'autunno del 1522, da dove tornò in Italia nel mese di novembre con salvacondotto di Prospero Colonna. Era di nuovo in Francia nell'aprile 1523, quando a Roma fu arrestato un gentiluomo siciliano, Francesco Imperiale, accusato di aver ordito una congiura per dare la Sicilia al re di Francia. Indosso gli furono trovate e sequestrate lettere del Soderini dirette al G. in Francia. La sua permanenza in quel Regno si dovette protrarre a lungo, dato che nel novembre 1525 ottenne la naturalizzazione francese, insieme al nipote Zanobi. Trascorse invece l'ultimo periodo della sua vita a Firenze, dove dal 1527 i Medici furono nuovamente cacciati e si ebbe l'ultima esperienza di governo repubblicano, nella quale ebbe un ruolo di spicco il cugino del G., Raffaello. Mancano notizie di un coinvolgimento diretto del G. negli avvenimenti politici di questo periodo e nelle drammatiche vicende dell'assedio e del ritorno dei Medici nel 1532. La sua presenza in città è attestata da una serie di contratti privati da lui stipulati nel 1528-30 e dalla partecipazione ad alcune "consulte", riunite dalla Signoria fiorentina per avere pareri sulle diverse questioni politiche. Si ha invece notizia - dopo la capitolazione di Firenze e l'insediamento della Balia che doveva preparare il ritorno dei Medici al potere - della sua designazione a membro per sei mesi della magistratura dei Conservatori di leggi (1° maggio - 31 ott. 1531).
Il G. risultava morto quando, il 9 apr. 1532, il fratello Alessandro rifiutò la sua eredità.
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