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Nadal, Giovanni Girolamo

di Giorgio Padoan - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Nadal, Giovanni Girolamo

Giorgio Padoan

Letterato veneziano, appartenente alla famiglia patrizia Nadal (in versione toscana, Natali); di lui restano scarse e frammentarie notizie biografiche.

Accanto agli uffici politici esercitava attività commerciali. Dotato di non trascurabile cultura classica, guardava con estrema attenzione ai nuovi interessi umanistici. Fu in relazione con Paolo de Bernardo, a sua volta in contatto diretto col Petrarca. Trascrisse il De Originibus rerum di Giovanni da Pastrengo. Fece testamento il 24 aprile 1383.

Il Massera ha avanzato l'ipotesi che l'anonima Leandreide (un tempo attribuita a L. Giustinian; la forma esatta è Leandride) sia opera del Nadal: infatti l'autore di quel poema risulta essere certamente veneziano (cfr. Leandr. II X 1-4, IV VII 85-86), discepolo di Iacopo Allegretti (Leandr. IV VI 61-66), e strettamente legato alla cerchia dei letterati della sua città e in relazione con i discepoli del Petrarca: come appunto fu G.G. Nadal. Da un passo del poema si ricava pure che il fratello dell'autore ricopriva carica vescovile (Leandr. IV VII 109-111): sulla base di questa notizia, e solo su questa, il Cicogna aveva in precedenza opinato che autore della Leandride dovesse essere il famoso poeta Leonardo Giustinian (1388-1446), fratello del primo patriarca di Venezia, s. Lorenzo Giustinian; ma l'ipotesi, che pure ebbe qualche fortuna, è manifestamente assurda per inoppugnabili ragioni stilistiche, culturali, e anzitutto cronologiche. Il fratello di Giovanni Girolamo N., Pietro, fu eletto vescovo di Iesolo nel 1372: e fu anch'egli legato alla cerchia degli amici del Petrarca. L'ipotesi del Massera ha ottenuto ora il sigillo della certezza da uno studio di, Roberta Meneghel (dal quale risulta, tra l'altro, come alla base della rassegna degli antichi scrittori, che è nel libro IV della Leandride, sia appunto l'usufruizione del De Originibus rerum del Pastrengo).

La Leandride, composta tra il 1375 e il 1383 (sono ricordati come scomparsi da poco il Petrarca e il Boccaccio, mentre Pietro da Moglio è menzionato come vivente), è un poemetto in terza rima, diviso in settanta canti raggruppati in quattro libri (notevole il fatto che un canto, IV VIII, sia in provenzale); l'interesse principale dell'opera è offerto non tanto dalla narrazione della famosa vicenda amorosa di Ero e Leandro quanto da una lunga digressione presente nel libro IV: al poeta appare Amore attorniato dai suoi fedeli, tra i quali è D.: questi, dopo averlo dissuaso a trattare argomento già toccato da Ovidio, introduce un'ampia rassegna di poeti e scrittori antichi e contemporanei (nella quale ricorrono notizie preziose - talora uniche - su letterati minori del tempo). La digressione si conclude con l'incoronazione dell'autore da parte di Dante. La Leandride è pertanto il documento e insieme il frutto più importante del dantismo veneto nella seconda metà del Trecento: D., presentato come il principe dei poeti e modello insuperabile, non vi è solo presente come personaggio: ma, insieme core Ovidio, domina quel testo, che è zeppo di riprese, spesso anche puntuali, e di echi d'immagini e di stilemi della Commedia, tanto che l'imitazione dantesca ne costituisce la caratteristica fondamentale, dimostrando nel N. conoscenza non comune e studio attentissimo dell'intero poema dantesco. Degno di rilievo è il fatto che, accanto alla menzione di poeti che furono vicini a D. (tra gli altri sono ricordati anche i figli Iacopo e Pietro), vi è cenno preciso - tanto più prezioso in quanto rarissimo - alla corrispondenza eglogistica con Giovanni del Virgilio (IV VI 19-24 " L'altro è colui che già longo la foce / di Sarpina più volte mi riprese / di mia citra vulgar con canto atroce, / Iovanni Faventino. E perché intese / e senza pare seguitò Marone, / Virgilian fu ditto alto e cortese "; e cfr. anche IV II 58-63 " Se istata fusse a me un poco seconda / l'inimica crudel de ogni animante, / tal che percosso non mi avesse l'onda / de la procella sua sì tosto, avante / la morte mia avrei con altro stile / cantato più famoso e triunfante ").

Ancora nella Leandride è notizia di una " lettura " veneziana del divino poema ad opera di Gasparo Squaro de' Broaspini altrimenti ignota (IV VII 61-63 " Gaspar Squaro, la cui lingua bona / già lesse in tua cittate il libro mio, / che via più piace quanto più si ispona ").

Bibl. - Il testo della Leandride è malamente edito in Poesie di mille autori intorno a D., a c. di C. Del Balzo, II, Roma 1890, 257-456. Su G.G.N.: A.F. Massera, A proposito della " Leandreide ", in " Archivum Romanicum " IX (1925) 190-197; R. Meneghel, in " Italia Medioevale e Umanistica " XV, in c.s. Su G. Squaro de' Broaspini, oltre alla bibliografia in calce alla voce Broaspini nella presente Enciclopedia, si veda l'articolo di E. Ragni, in Dizion. Biogr. degli Ital., XIV (1972) 378-381. Vedi anche Giustinian, Leonardo.

Vedi anche
Francesco Petrarca Petrarca (lat. Petrarca), Francesco. - Poeta e umanista (Arezzo 20 luglio 1304 - Arquà, od. Arquà Petrarca, Francesco, tra il 18 e il 19 luglio 1374). Nato ad Arezzo da Eletta Canigiani e da ser Pietro di ser Parenzo dell'Incisa in Valdarno, che era stato bandito da Firenze nel 1302 per dissidî personali ... Giovanni di Conversino Umanista (Buda 1343 - Venezia 1408). Suo padre, oriundo del Modenese, era medico di Luigi d'Angiò re d'Ungheria. Portato bambino in Italia, studiò a Ravenna, sotto Donato Albanzani, al cui circolo appartenne. Peregrinò come maestro pubblico e privato in molte città del Veneto e dell'Emilia, e anche a ... Gradenigo, Giovanni Doge di Venezia (1285 circa - 1356). Ebbe una parte notevole nella scoperta e nella repressione della congiura di Marin Faliero (1354). Eletto doge (1355), fautore di una politica di distensione con Genova e Milano, firmò una pace con queste due città nel giugno 1355. Dàndolo, Andrea Dàndolo, Andrea. - Doge di Venezia (Venezia 1306 - ivi 1354), quarto della famiglia. Entrato giovanissimo nella carriera pubblica, ricoprì le più alte cariche dello stato: nel 1328 procuratore di S. Marco, nel 1333 podestà di Trieste, nel 1336 provveditore in campo, fu il 4 genn. 1343 eletto doge. Ispirandosi ...
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