SBARAGLIA, Giovanni Girolamo
– Nacque a Bologna il 28 ottobre 1641 da Girolamo, appartenente a un’antica famiglia bolognese, e da Bartolomea Giuliani.
Dopo aver ricevuto la prima educazione presso l’oratorio dei Filippini, fu instradato, al pari del fratello maggiore Tommaso, verso gli studi universitari, seguendo in particolare gli insegnamenti di filosofia, impartiti da Fulvio Magnani, e quelli di medicina, sotto la direzione di Agostino Cucchi. Quest’ultimo era uno dei principali difensori a Bologna della tradizione medica galenica, che in quegli anni si contrapponeva sempre più apertamente al fronte dei sostenitori delle scoperte anatomiche recenti, nel quale era schierato il giovane Marcello Malpighi. Oltre a dividersi sul piano delle credenze scientifiche, i giovani membri delle famiglie Sbaraglia e Malpighi avevano relazioni conflittuali a causa di alcune dispute sui confini delle rispettive proprietà terriere. Questi conflitti ebbero un esito tragico nel 1659 quando, al termine di una lite, Bartolomeo Malpighi, fratello minore di Marcello, ferì a morte Tommaso Sbaraglia.
Nel 1663 Giovanni Girolamo conseguì la laurea in filosofia e medicina all’Università di Bologna, a cui seguì nello stesso anno l’aggregazione ai rispettivi collegi professionali. Nel 1664 discusse pubblicamente dieci tesi per ciascuna di queste discipline, un passo fondamentale per ottenere un incarico di insegnamento nello Studio della sua città. Il successo riscontrato in questa occasione gli consentì di ottenere una lettura stipendiata di logica, che dopo tre anni si trasformò in una cattedra di medicina pratica. Nel 1668 Sbaraglia fu anche ascritto tra gli anatomici dell’università, che costituivano un gruppo di élite all’interno del corpo accademico e che a turno assumevano l’incarico della serie annuale delle lezioni pubbliche di anatomia. Nel 1673 questo incarico fu affidato a Sbaraglia che, stando al resoconto fattone da Malpighi, espose una visione della struttura e delle funzioni del corpo umano in parte basata sulle ricerche anatomiche dei decenni precedenti, ma senza mettere in discussione alcuno dei capisaldi della fisiologia galenica. Una posizione analoga venne espressa da Sbaraglia nelle lezioni impartite dalla cattedra di medicina teorica, alla quale passò nel 1670 e che tenne per i successivi quarant’anni, nonché nel primo scritto da lui pubblicato in forma anonima, intitolato De recentiorum medicorum studio e recante l’indicazione di stampa Gottinga 1687, ma probabilmente uscito a Bologna due anni dopo.
In questa dissertazione epistolare, a cui ne seguì una seconda nel 1691, Sbaraglia attaccò i medici che avevano introdotto nella ricerca anatomica il metodo comparato e l’uso del microscopio. Questi nuovi metodi, pur modificando in parte la descrizione della struttura delle varie parti del corpo umano, non avevano portato a cambiamenti di rilievo nella comprensione delle loro funzioni rispetto agli insegnamenti degli antichi e soprattutto non avevano prodotto alcun miglioramento nella cura delle malattie. La scoperta della circolazione del sangue, ad esempio, aveva modificato la concezione del cuore, ora pensato non più come il ‘sole del microcosmo’ che attraeva il sangue dal fegato ma come un ‘asino da macina’ che spingeva il sangue nelle arterie, ma ciò non aveva avuto alcuna conseguenza nel trattamento delle malattie che colpivano quest’organo. Ugualmente inutili dal punto di vista pratico erano state le osservazioni condotte al microscopio sulla struttura fine di organi quali il cervello, il fegato e i polmoni, oppure sulla composizione delle piante, che pure tanto spazio avevano nelle opere degli anatomisti moderni. Secondo Sbaraglia, queste ricerche distoglievano l’attenzione dal vero compito del medico, che consisteva nello studiare le malattie e i rimedi attraverso l’esperienza clinica, l’osservazione ripetuta dei casi e l’uso dell’analogia nel confronto tra patologie.
Nonostante Sbaraglia non lo citasse mai esplicitamente, il principale bersaglio polemico delle sue dissertazioni era Malpighi, ormai divenuto uno degli anatomisti più famosi dell’epoca. Oltre a motivi scientifici e personali, la contesa tra i due riguardava anche l’ambito professionale. Entrambi erano infatti medici importanti e riconosciuti sia a livello locale, sia in qualità di consulenti chiamati a intervenire di persona o per lettera nella cura di pazienti altolocati al di fuori dello Stato della Chiesa. In particolare, Sbaraglia assunse l’incarico di medico stipendiato di vari ordini religiosi con sede a Bologna, tra cui i domenicani e i gesuiti, nonché dei collegi degli studenti spagnoli e fiamminghi. Inoltre, e a differenza di Malpighi, era anche membro del Collegio di medicina, all’interno del quale svolse più volte il ruolo di protomedico, che costituiva la massima autorità della sanità bolognese. A queste cariche univa quelle di promotore alla laurea degli studenti germanici e di censore librario per conto del S. Uffizio, oltre a ricoprire vari incarichi nelle magistrature cittadine. Proprio negli anni in cui uscirono i primi scritti polemici di Sbaraglia contro Malpighi, i due si trovarono su fronti contrapposti nella battaglia relativa a una proposta di riforma dell’Università di Bologna promossa dal cancelliere dello Studio, Antonio Felice Marsili.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta del Seicento Sbaraglia aveva ormai raggiunto una posizione di prestigio professionale tale da ricevere la proposta di una cattedra primaria di medicina all’Università di Padova, che tuttavia rifiutò. Sul fronte scientifico continuò a combattere la battaglia contro le pretese innovatrici degli anatomisti moderni e a favore di un approccio empirico e clinico alla pratica medica. Nel trattato De vivipara generatione scepsis (Bologna 1696) si schierò contro la teoria ovista della generazione, mentre nelle Oculorum et mentis vigiliae (Bologna 1704) elaborò una lunga critica delle opere di Malpighi, morto dieci anni prima. Questa posizione apertamente antimalpighiana costò a Sbaraglia molti attacchi da parte di allievi ed epigoni del suo avversario, ma influenzò anche il giudizio sostanzialmente negativo formulato dalla storiografia posteriore, che lo ha per lo più considerato un esponente di un conservatorismo sterile o ne ha addirittura ignorato le opere. Tuttavia, alcune tesi sviluppate da Sbaraglia rivestono un grande interesse, come l’approccio empirico alla medicina o gli argomenti contro la dottrina di derivazione cartesiana circa l’assenza di anima negli animali. Questi argomenti, esposti nella Entelechia seu anima sensitiva brutorum, opera pubblicata postuma a Bologna nel 1716, facevano ricorso a un impianto neoaristotelico e mettevano in risalto alcune effettive debolezze della concezione dei viventi elaborata all’interno della filosofia meccanicistica.
All’inizio del nuovo secolo la salute di Sbaraglia dovette peggiorare sensibilmente, dato che a più riprese ottenne di essere esentato dal tenere i corsi universitari. Tuttavia il suo nome compare nell’elenco dei docenti fino al 1710, quando, il 6 o l’8 giugno fu colpito da un colpo apoplettico, cui seguì, dopo poche ore, la morte.
Rimasto celibe e senza figli, lasciò una cospicua eredità, costituita anche da una ricca biblioteca, alla sorella Eufrosina, che in sua memoria fece erigere un monumento progettato dal famoso artista Donato Creti. Il monumento, tuttora conservato, si trova all’interno del palazzo dell’Archiginnasio, accanto a quello del suo avversario Malpighi.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di studio, Requisiti dei lettori, b. 25, Elenco dei lettori con stipendi, b. 5; Bologna, Biblioteca universitaria, mss. 962, 1074, 1329-31, 1840, 3649.5, 4110; Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, B 941; Autografoteca Pallotti, XXVII.1698.
S. Danielli, Epistola responsiva doctori Joanni Dominico Gotti, Bologna 1710; Giornale de’ letterati d’Italia, IV (1710), pp. 263-292; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna 1789, pp. 332-341; H.B. Adelmann, Marcello Malpighi and the evolution of embriology, I, Ithaca 1966, pp. 381-390, 507 s., 562-566, 655 s., 1092 s.; M.T. Marcialis, Macchinismo e unità dell’essere nella cultura italiana settecentesca, in Rivista critica di storia della filosofia, XXXVII (1982), 1, pp. 3-38; W. Bernardi, Le metafisiche dell’embrione, Firenze 1986, pp. 112-127, 211-219; B. Dooley, La scienza in aula nella rivoluzione scientifica: dallo S. al Vallisneri, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, XXI (1988), pp. 23-41; M. Cavazza, Settecento inquieto. Alle origini dell’Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1990, pp. 179-201; Ead., The uselessness of anatomy: Mini and S. versus Malpighi, in Marcello Malpighi anatomist and physician, a cura di D. Bertoloni Meli, Firenze 1997, pp. 129-145; D. Bertoloni Meli, Mechanism, experiment, disease. Marcello Malpighi and seventeenth-century anatomy, Baltimore 2011, pp. 307-330.