GIUSTINIANI (Giustiniani Longo), Giovanni
Figlio di Bartolomeo di Antonio, nacque, presumibilmente a Genova, intorno al 1418 da uno dei due matrimoni del padre, il primo con Novellina di Raffaele Giustiniani Arangio, il secondo con Eleonora di Valerano Spinola.
Il prestigio personale e la ricchezza del suo avo paterno, Antonio, fra i pochi a Genova a fregiarsi del titolo di miles, avevano portato la famiglia a un ruolo di primo piano nella vita politica ed economica di Genova tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo. Partecipe dell'appalto della Maona di Chio fin dal 1373, priore della Repubblica nel 1401 insieme con Giorgio Adorno, Antonio aveva raggiunto una tale autorità presso il Consiglio degli anziani e un tale favore presso il popolo che il doge Antoniotto Adorno lo condusse prigioniero con sé fuggendo da Genova, nel 1390, per timore che venisse eletto al suo posto. Apparentemente meno coinvolti nella vita politica di Genova, i suoi discendenti si dedicarono soprattutto alla cura del patrimonio di famiglia, in particolare alla cointeressenza nella Maona di Chio.
Secondo l'iter di formazione classico delle grandi famiglie mercantili genovesi, il G. dovette svolgere il suo apprendistato fin dall'adolescenza tra la Liguria e il cosmopolita impero commerciale genovese che nel Levante faceva perno sulle colonie di Chio, Pera e Caffa. Secondo la tradizione genovese, il padre mantenne la tutela su di lui anche oltre il raggiungimento dei 25 anni di età: nel settembre 1443 il G., ancora non emancipato, nel riconoscere un debito nei confronti del setaiolo Andrea Bassignana, dichiarava di svolgere attività di mercatura con il consenso del padre. Il successivo 26 ottobre Bartolomeo, padre e legittimo amministratore di Giovanni, nominò un procuratore per amministrare i propri interessi a Chio e a Pera, allo scopo espresso di impedire a chiunque di fornire denaro al figlio.
Era la prima avvisaglia di un comportamento fuori dagli schemi, che non impedì però al G. di continuare a stipulare accordi: il 25 nov. 1444 contrasse un debito nei confronti di Nicolò di Giustiniani Francesco, che aveva interceduto per un cambio di 410 ducati di Chio presso Moruele Grimaldi. Il 19 genn. 1446, nonostante gli accordi presi, il G. risulta non avere ancora soddisfatto né all'impegno contratto con Andrea Bassignana né a quello con Nicolò Giustiniani. Nel luglio dello stesso anno i creditori, tra i quali figura il padre Bartolomeo, ottennero dal doge Raffaele Adorno il sequestro dei beni del G. presenti nella colonia di Pera e custoditi da Francesco di Levanto.
Privo di scrupoli nella condotta dei propri affari economici, il G. aveva probabilmente abbracciato in quel periodo anche la strada della ribellione politica contro la fazione degli Adorno, allora al potere a Genova. Nonostante i legami anche matrimoniali stretti con gli Adorno dal padre Bartolomeo, il G. si unì al partito degli esuli Fregoso, in particolare ai suoi capi, Giano e Pietro. La scelta si rivelò quanto mai felice e diede una svolta decisiva alla vita del Giustiniani. Giano Fregoso, impadronitosi del potere nel gennaio 1447 grazie a un ardito colpo di mano, non esitò a dimostrare in modo tangibile la sua riconoscenza a quanti lo avevano aiutato nel periodo più buio delle fortune della sua famiglia.
Nel marzo 1447 il G. venne scelto, insieme con Brancaleone Lercari, Gabriele Doria e Antonio Casana, come delegato del nuovo doge per stipulare un accordo con Benedetto Doria. Questi, dopo aver appoggiato il partito dei Fregoso con l'organizzazione di una flotta corsara, aveva mantenuto fede al patto stretto in precedenza con il re di Francia e non aveva più fatto ritorno a Genova. Incaricati di perlustrare le coste della Provenza alla ricerca delle navi di Benedetto Doria, scoprire le sue intenzioni e quelle di Nicolò Fregoso - cugino di Giano - e ricondurli all'obbedienza del doge, gli inviati fallirono nel loro compito, in seguito portato a termine con maggior fortuna da Pietro Fregoso.
L'insuccesso non provocò riflessi negativi sulla fortuna del G. presso il Fregoso, che il 4 apr. 1447 incaricò il podestà di Pera, Luchino Fazio, di riparare al torto subito da G. con il sequestro dei panni di seta da lui affidati a Francesco di Levanto. Dopo che il Gran Consiglio cittadino decise, il 15 nov. 1447, di aprire le ostilità contro Galeotto Del Carretto, marchese del Finale, il G. venne nominato provveditore per la guerra insieme con Angelo Giovanni Lomellino, Borbono Centurione e Iacopo Leone.
A questo periodo, o poco più tardi, risalgono probabilmente anche le sue nozze con Clemenza, sorella del futuro doge Pietro Fregoso.
Consolidato il proprio potere in patria, avviate con successo la riconquista delle terre dell'Oltregiogo e la guerra contro il Finale, Giano Fregoso rivolse i propri interessi anche verso l'Oriente, dove i suoi rivali Adorno mantenevano considerevoli interessi economici. Il 2 sett. 1448 il doge assegnò al G. la carica di console di Caffa per la durata di un anno.
Si sanava così la delicata situazione venuta a instaurarsi nella lontana colonia di Crimea a seguito della morte del console Antonio Maria Fieschi e alla successiva nomina di Teodoro Fieschi a suo sostituto da parte del doge, contro l'elezione in loco di Brancaleone Ghisolfi. Ancora una volta Giano si espose personalmente, incurante di critiche e proteste, per ripagare il G. dei suoi molti meriti e della sua fedeltà. Il ritorno in Oriente corrispose certo anche ai desideri del G., che, invece di vendere la carica, come consuetudine, ad altra persona "idonea", presentò già il giorno successivo fideiussioni per un importo complessivo di 4000 lire e si affrettò a partire per la Crimea. Il suo primo rapporto in patria fu inviato da Caffa il 30 nov. 1448.
La risposta, datata tra l'8 e il 9 apr. 1449, gli giunse dal nuovo doge Ludovico Fregoso, succeduto il 16 dic. 1448 al fratello Giano, stroncato da una grave malattia. Nel felicitarsi con il G. per lo zelo dimostrato con il suo così sollecito arrivo, Ludovico non mancò di rammentargli le norme del buon governo, che lo avrebbero preservato dal timore del giudizio dei sindicatori, gli ufficiali governativi incaricati della verifica sull'operato dei magistrati. Dopo avergli raccomandato di vigilare sulla vendita delle cariche, in modo che non andassero a vantaggio della fazione avversa, e di provvedere affinché i luoghi delle Compere di pertinenza degli Adorno venissero ascritti ai Fregoso, Ludovico rassicurava il G. sulla propria intenzione di rinnovargli l'incarico per un secondo anno.
Insieme con altre lettere di istruzioni che si susseguirono nel corso del 1449 Ludovico ne inviò, il 3 luglio, una di aperto richiamo, ricordando al suo protetto il malcontento che Giano, e in seguito lui stesso, avevano dovuto affrontare per la sua nomina, e raccomandandogli una condotta tale da evitare ogni infamia e calunnia.
Incaricato della cura degli interessi dei Genovesi nei confronti dell'imperatore di Trebisonda riguardo a questioni di carattere fiscale e dei problemi relativi all'amministrazione di Caffa e alla ricostruzione del castello di Ilice, il G. ricevette in Oriente la notizia della caduta di Ludovico, deposto per incapacità l'8 sett. 1450 e sostituito al dogato dal cugino Pietro Fregoso, fratello della moglie del G., Clemenza. Lo stesso nuovo doge lo informava dell'accaduto il 25 settembre, confermandogli al contempo l'imminente arrivo del suo successore nella carica di console di Caffa, Boruele Grimaldi.
Lasciata Caffa, il G. si trattenne forse in Oriente, per la cura dei propri interessi o per l'esercizio di quell'ars pirratica nella quale dimostrò ben presto di eccellere.
Il 2 maggio 1452 Pietro Fregoso gli indirizzò a Chio una lettera nella quale, felicitandosi per il suo prossimo ritorno, gli raccomandava di fare ogni sforzo, prima di partire, per impedire o almeno differire la partenza delle due fanciulle della casa dei Gattilusio, signori di Enos, destinate spose ad Antonio e Giovanni Galeazzo Fregoso; tale legame dinastico, al quale si opponevano anche i fratelli di Giovanni Galeazzo e la casa dei Doria, avrebbe dato infatti nuovo prestigio al partito dell'ex doge Ludovico, passato all'opposizione.
Il 22 genn. 1452, contro la volontà di Pietro Fregoso, che avrebbe preferito un altro candidato, venne eletto alla carica di podestà di Chio il fratello del G., Galeazzo. A lui, fin dal successivo mese di maggio, si rivolsero le richieste dei creditori del Giustiniani.
L'interesse del doge e della Cristianità intera si era nel frattempo spostato in Oriente, a causa delle sempre più evidenti manovre di guerra del giovane sultano Maometto II ai danni della capitale bizantina. Mentre a Genova si susseguivano notizie e richieste di aiuto da Pera e da Caffa, Pietro Fregoso diede inizio all'arruolamento di armati e inviò ben due lettere, il 18 e il 23 luglio, per esortare il G. a recarsi al più presto a Genova e discutere la richiesta del pontefice di inviare a Costantinopoli due navi armate e cariche di grano. Accettata la proposta del doge, il G. ripartì per l'Oriente.
Il suo passaggio non rimase senza traccia: tra il 3 nov. 1452 e il 27 giugno 1453 vennero presentate all'attenzione del Gran Consiglio di Genova le conseguenze dell'attività piratesca del G.: la cattura della nave e delle merci di Bernardo Taulari, suddito di Alfonso d'Aragona; il saccheggio di un'imbarcazione tunisina e l'inseguimento della nave di Matteo Marruffo, in viaggio da Alessandria a Chio; la cattura, "in partibus Syrie", della nave di Nicolò Petrelli di Ancona e di tutti i beni, abiti compresi, dei mercanti di Ragusa presenti a bordo.
Il 26 genn. 1453 il G. sbarcò a Costantinopoli, al comando di due navi e di un contingente di armati arruolati a Genova e a Chio. Su richiesta dell'imperatore Costantino XI, e forse dietro promessa della concessione dell'isola di Lemno come possedimento personale, il G. assunse il comando della difesa della città. Alla testa di poche migliaia di armati dalle provenienze più disparate - greci, genovesi, veneziani, cretesi, catalani, perfino turchi - fu per quasi due mesi l'anima della difesa contro le preponderanti forze navali e di terra del sultano, giunto dinanzi a Costantinopoli il 4 aprile con un esercito tra le 200.000 e le 400.000 unità. Come attestato da tutti i testimoni dell'assedio, comprese le fonti turche, fu il G., non l'imperatore bizantino, l'unico vero antagonista del sultano, grazie alla propria esperienza militare e al proprio personale carisma.
Respinti i tentativi di corruzione del sultano, vanificato l'espediente turco di entrare in città scavando gallerie sotterranee, rabberciate alla meglio le mura smantellate dal fuoco incessante delle bombarde, il G. era al comando del settore più a rischio della cinta muraria, la porta di S. Romano, quando gli assedianti sferrarono l'attacco finale, la notte del 29 maggio. Ferito da un colpo di colubrina, si diresse - o forse venne portato - verso la sua nave in cerca di un medico, quando i Turchi aprirono una breccia proprio in prossimità della porta di S. Romano.
Fu facile per i detrattori dei Genovesi, in particolare i Veneziani, ma anche per quanti erano intenzionati a difendere a posteriori il proprio operato, come il podestà di Pera Angelo Giovanni Lomellino, imputare al G. la colpa della ritirata dei difensori e della conquista turca della capitale d'Oriente. Sfuggita al blocco turco, come le altre imbarcazioni dei Latini, grazie alla confusione provocata dall'inizio del saccheggio, la nave del G. giunse a Chio il 10 giugno.
Il G. morì a Chio forse il 1° ag. 1453 per i postumi delle ferite riportate a Costantinopoli e fu sepolto nella chiesa, oggi perduta, di S. Maria dei domenicani.
Egli fece in tempo a dettare, o forse a modificare, il proprio testamento, per il quale nominò esecutore il fratello Galeazzo. La gestione dell'eredità fu tutt'altro che semplice, a causa degli strascichi delle imprese del G., in particolare quella ai danni dei mercanti di Ancona, ma Galeazzo la gestì con la stessa spregiudicatezza tante volte manifestata dal fratello, scontrandosi anche con il doge riguardo alla restituzione delle spettanze di Clemenza Fregoso.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, Diversorum Communis Ianue, 3040 (27 giugno 1453); Diversorum registri, 550, c. 107r (15 dic. 1452); 552, c. 108r (3 nov. 1452); Lit-terarum, 1789, c. 36v doc. n. 79 (12 luglio 1446), c. 329r doc. n. 1198 (22 genn. 1452), c. 360v doc. n. 1308 (18 luglio 1452); 1791, c. 53r doc. n. 195 (4 apr. 1447), c. 184v doc. n. 695 (3 luglio 1449), c. 358v doc. n. 1300 (11 luglio 1452), c. 432r doc. n. 1543 (10 maggio 1454), cc. 434v-435r doc. n. 1552 (23 maggio 1454), c. 510r doc. n. 1799 (4 nov. 1454); 1793, cc. 81v-82r doc. n. 389 (aprile 1449), c. 511v doc. n. 2349 (25 sett. 1450); 1794, c. 264r doc. n. 1121 (23 luglio 1452); Archivio di S. Giorgio, Officium provisionis Romanie, 1308/3, cc. 6rv, 15v-16r, 36r-37v, 55v, 56r-59r, 71rv; Manoscritti, 494, c. 46v; Notaio Branca Bagnara, filza 7, n. ccli (26 ott. 1443); Notaio Guirardo Brevei, filza 1, nn. 39, 97, 157 (4 sett. 1443, 25 nov. 1444, 19 genn. 1446); Notaio Andrea de Cario, filza 8, n. 135 (25 maggio 1452); A. Giustiniani, Castigatissimi annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, c. CCVv; A. Pertusi, La caduta di Costantinopoli. Le testimonianze dei contemporanei, Milano 1976, ad ind.; G.M. Filelfo, La guerra del Finale (1447-1452), a cura di Pinea, Savona 1979, p. 54; L. Balletto, G. G. Longo pirata genovese del XV secolo, in Atti dell'Accademia ligure di scienze e lettere, XL (1984), pp. 287-292; G. Olgiati, Genova, 1446: la rivolta dei "patroni" contro il dogato di Raffaele Adorno, in Nuova Riv. storica, LXXII (1988), 3-4, pp. 445-447; Id., Angelo Giovanni Lomellino: attività politica e mercantile dell'ultimo podestà di Pera, in La storia dei Genovesi, IX, Genova 1989, pp. 159, 166, 168, 187; Id., Genovesi alla difesa di Costantinopoli, in Atti della Accademia ligure di scienze e lettere, XLVI (1990), pp. 494-497, 499 s.; Id., I Genovesi in Oriente dopo la caduta di Costantinopoli, in Studi balcanici, Roma 1989, p. 49; Id., Classis contra regem Aragonum (Genova 1453-1454): organizzazione militare ed economica della spedizione navale contro Napoli, Cagliari 1990, p. 24; G. Pistarino, L'ultimo eroe di Costantinopoli: G. G. Longo, in La storia dei Genovesi, XII, 1, Genova 1991 (ma 1994), pp. 25-35; G. Olgiati, I Gattilusio, in Dibattito su famiglie nobili del mondo coloniale genovese. Atti del Con-vegno,… 1993, a cura di G. Pistarino, Genova 1994, p. 94; S. Origone, Bisanzio e Genova, Genova 1997, ad indicem.