GRASSO, Giovanni
Nacque a Catania il 19 dic. 1873 da Angelo, puparo, e da Ciccia (Francesca) Tudisco, sua seconda moglie, anche lei pupara, secondogenito di quattro figli (Marietta, Domenico detto Micio, Agata).
Secondo la tradizione, il nonno Giovanni (1792 circa - 1863), catanese di nascita, capostipite della dinastia, aveva introdotto a Catania, da Napoli, il teatro dei pupi. Dei due figli di Giovanni senior, Giovanni fu puparo a Messina, mentre Angelo (1834-88), padre del G., operò a Catania, aprendo un teatrino in un basso del palazzo del marchese di San Giuliano, cui, nel 1868, venne dato il nome di teatro Machiavelli; secondo G. Pitrè, fu proprio lui a rimpiazzare per la prima volta i pupi con attori in carne e ossa. Alla sua morte il Machiavelli, per sopravvivere, si trasformò in teatro di varietà: vi si fermavano piccole compagnie di provincia, che alternavano drammi edificanti a farse e a recite a soggetto ("scenoni"), ispirate a fatti di cronaca.
In questo eclettico ambiente, dove si formò come uomo di teatro, il G., nell'ultimo decennio dell'Ottocento, decise di rispolverare i pupi paterni, presentando spettacoli che ebbero grande successo. Tra i suoi più grandi estimatori era il drammaturgo e giornalista Nino Martoglio, il quale condusse al Machiavelli il celebre attore Ernesto Rossi: alla fine dello spettacolo, un Rossi frastornato dalla potenza espressiva del puparo, lo esortò a farsi attore.
Fu il primo degli "incontri rivelazione" - per ricordare i più significativi bastino i nomi di G. D'Annunzio, I. Babel´, V.E. Mejerchol´d - che punteggiarono la vita del G., la cui arte fu forse più grande e, soprattutto, più ricca di significati di quanto egli stesso fosse consapevole.
Dopo le sollecitazioni di Rossi, il G. provvide a risistemare un po' la sala e alternò con maggiore frequenza testi scritti agli scenoni di cronaca nera, iniziando a definire un proprio repertorio drammaturgico che attingeva ai testi di quello siciliano rinnovati, però, dai suoi interventi e dalla sua recitazione; in particolare, fra i suoi cavalli di battaglia bisogna ricordare: I mafiusi di la Vicaria di Palermo, di G. Mosca - G. Rizzotto; La zolfara, di G. Giusti Sinopoli; Cavalleria rusticana, di G. Verga.
I mafiusi, scritto e rappresentato per la prima volta nel 1863, in certo senso si collegava agli scenoni, basato com'era sui racconti di un autentico mafioso, tale Gioacchino D'Angelo (Jachinu Funciazza, nella finzione teatrale), appena uscito di galera; il dramma aveva riportato un immediato successo, destinato a durare e ad accrescersi, soprattutto quando il G. prese a interpretarlo. Zolfara, nato sull'onda di un evento sociale di grande momento, gli scioperi dei minatori siciliani, rappresentato in italiano nel 1895 aveva avuto scarso riconoscimento ma, ripreso in dialetto dal G., fu un trionfo. Cavalleria rusticana, invece - secondo un uso che il G. praticò moltissimo -, era rappresentato nella traduzione in siciliano di Martoglio.
Nel 1901 il G. formò la compagnia Città di Catania, con Angelo Musco come brillante e Carmelina Tria prima attrice (sostituita in seguito da Mimì Aguglia e, quindi, da Marinella Bragaglia); il primo giro in continente partì dal Politeama di Salerno (con La zolfara), per iniziativa del capocomico Mimì de Cesare, che aveva intuito il grande talento del Grasso.
La tournée toccò successivamente Avellino e Napoli, con un buon successo artistico ma risultati economici fallimentari.
La vera consacrazione del G., comunque, avvenne a Roma, dove fu chiamato per alcune recite di beneficenza organizzate in favore delle vittime dell'alluvione di Modica (settembre 1902). Il G. debuttò il 30 novembre all'Argentina con Cavalleria rusticana e I mafiusi.
S. Manca, critico de La Tribuna, entusiasta, chiese a Martoglio ulteriori notizie sugli attori, e quest'ultimo scrisse del G.: "Il suo specchio è la natura"; questo assioma, insieme con il vigore possente, istintivo fino al limite della violenza, rimase il marchio di fabbrica dell'attore e della sua compagnia.
Sempre in occasione dello spettacolo all'Argentina L. Capuana, che vi aveva assistito, gli offrì la rielaborazione in dialetto del suo Malia, mentre il G., impedito dal tornare a Catania da una malattia del fratello Micio, proseguiva con strepitoso successo le recite romane al teatro Metastasio.
Di nuovo a Catania, ritornò al Machiavelli, che, però, il 22 febbr. 1903, fu distrutto da un incendio. Nel marzo dello stesso anno, Martoglio scrisse per il G. un nuovo testo, Nica, e insieme con lui dette corso al progetto della prima Compagnia drammatica dialettale siciliana, di cui facevano parte Musco, la Bragaglia, S. Lo Turco, T. Majorana, Micio Grasso, le famiglie Spadaro e Balistrieri; nel repertorio figuravano, oltre ai drammi già citati, La lupa e Caccia al lupo di Verga; San Giuvanni addicullatu di Martoglio; Mastru Libertu l'armeri di F. Marchese; La festa d'Adernò dello stesso Grasso. Dopo alcune recite a Catania, al teatro Principe di Napoli, la compagnia partì per un nuovo giro in continente.
Debuttò con La zolfara al Manzoni di Milano, senza grande successo; era presente, tuttavia, e rimase colpito dalla potenza espressiva del G., D'Annunzio. Andarono meglio Nica e Cavalleria rusticana, anche se la critica censurò gli interventi su quest'ultimo testo. Venne sottolineata, in quest'occasione, la particolare capacità del G. di "sentire la parte", e lo stretto rapporto tra la sua arte e la tradizione del teatro dei pupi. Dopo Milano, il giro proseguì toccando Firenze, Palermo, Messina e, di nuovo, Napoli.
A Catania, nell'agosto 1903, il G. dovette constatare ancora una volta il fallimento economico della tournée; nella diaspora degli attori, si dedicò alla ricostruzione in muratura del Machiavelli. Intanto, sollecitato da V. Ferraù, amministratore della compagnia - il quale, però, memore delle passate esperienze, chiese mano libera nella gestione commerciale -, Martoglio dava vita alla seconda Compagnia drammatica dialettale siciliana, che, nel 1904, partì per una nuova tournée, conclusasi a Torino. Una novità di autentico rilievo nel repertorio si ebbe, comunque, alla ripresa della stagione, con 'A figghia di Joriu, versione siciliana di G.A. Borgese della tragedia di D'Annunzio, rappresentata al teatro Costanzi di Roma il 17 sett. 1904.
Nell'aprile 1903, D'Annunzio, dopo aver assistito a La zolfara, aveva scritto a Martoglio che la recitazione del G. gli aveva "rivelato" l'idea di "tragedia agreste"; e fu lui a chiedere a Borgese la traduzione in siciliano del suo dramma allestito con il G. come Aligi, Mimì Aguglia come Mila di Codro, e Musco in veste di "primo mietitore"; le scene erano di A. De Carolis, nella realizzazione del pittore P. Sassi, le musiche di A. Favara. Nel suo libro di ricordi Musco descrive la prova cui assistette un D'Annunzio scandalizzato per le improvvisazioni e le altre intemperanze di quegli attori non avvezzi alla disciplina e alla fedeltà al testo; il poeta minacciò addirittura di ritirare il copione, e se ne andò infuriato. La messa in scena, comunque, ebbe successo, e fu lodata la recitazione "poderosa" del G., anche se la critica non mancò di censurare lo stravolgimento dell'opera, trasformata dalla foga recitativa del G. e del resto della compagnia in un fosco dramma passionale.
Alle fine del 1906, la compagnia partì per la Spagna, tappa iniziale della lunga stagione delle grandi tournées all'estero: questa prima, iniziata l'8 genn. 1907 al teatro Novedades di Barcellona, proseguì in Portogallo, e da lì in Sudamerica. Dopo le repliche di Buenos Aires, il celebre attore francese A. Lugné Poe, impresario di Eleonora Duse, scritturò gli attori siciliani per un giro in Francia, uno dei più importanti approdi internazionali, dove giunsero nel gennaio 1908.
Dopo il debutto parigino con Malia al teatro Marigny, la critica scrisse: "Niente convenzione, niente tradizione: la natura, la vita", il realismo degli attori venne accostato a quello dei "giapponesi", la recitazione fu definita "di un'esattezza infinitamente accurata e precisa". Il repertorio fu quello classico del G.: 'A figghia di Joriu, Cavalleria rusticana e La morte civile di P. Giacometti, già noti al pubblico parigino; grande apprezzamento ottennero anche La lupa, La zolfara, Rusidda, da parte di critici quali C. Mendès e da attori come Mounet-Sully. All'abituale apprezzamento per la "naturalezza" della recitazione si univa, ora, il riconoscimento per la grande perizia tecnica del G. e dei suoi compagni.
Mentre Verga disponeva il ritiro dei suoi testi per i cambiamenti apportativi arbitrariamente dal G. (circostanza che si ripropose poi anche con Capuana e perfino con Martoglio), questi, il 3 febbr. 1908, preceduto dall'eco del successo francese, debuttava a Londra, ancora con Malia, dove vide reiterate le ottime critiche che ne elogiavano il realismo "stupefacente, fulminante, colossale" e, di nuovo, la grande tecnica recitativa.
A marzo il G. rientrò a Catania, dove si verificarono alcuni cambiamenti nella compagnia, che, il 2 ottobre, debuttò a Berlino e, dopo una fugace puntata in Ungheria, dal 24 al 27 ottobre, si trasferì in Russia, all'epoca uno dei centri più vitali del teatro europeo. Il debutto fu a San Pietroburgo, con Malia, Feudalismo (un altro pilastro del repertorio del G. dopo la tournée sudamericana, versione in siciliano di A. Campagna di Terra baixa, di À. Guimerà), Pietra fra pietre di H. Sudermann, La zolfara e 'A figghia di Joriu; piazze successive furono Mosca e Odessa, entrambe importantissime per la costruzione della "fama" del G. e per la definizione della sua figura artistica.
A Mosca assistettero alle rappresentazioni personalità del calibro di K.S. Stanislavskij, V.I. Nemirovič-Dančenko e N. Craig; il G., al colmo del successo, venne ricevuto a corte. A Odessa lo vide un Babel´ quattordicenne, che ne avrebbe scritto poi in uno dei suoi Racconti di Odessa (1931): nelle attonite parole di Babel´, esplode all'attenzione teorica la performance del G. in Feudalismo, già famosa, a livello di aneddoto, per la maniera in cui il pastore, interpretato dal G., ammazzava il rivale mordendolo alla gola, dopo aver letteralmente "volato" attraverso tutta la scena. Al riguardo Mejerchol´d scrisse: "Mi resi conto di numerose leggi della biomeccanica vedendo recitare il magnifico attore tragico siciliano Grasso": individuando la radice biomeccanica nel movimento dell'intero corpo, a prescindere dalla parte direttamente interessata, Mejerchol´d per primo riusciva a chiarire quella "potenza espressiva", che tanti avevano percepito intuitivamente: nel G. era sempre l'intero corpo ad agire, parlare, o semplicemente, a essere presente, cioè a essere percepito, sulla scena.
Nel 1909, dopo la Russia, la compagnia tornò in Inghilterra.
Particolarmente significativa, questa volta, l'interpretazione di Otello, uno dei ruoli deputati del G. fin dall'inizio della carriera, che però egli si era sempre rifiutato di rappresentare fuori della sua Catania; il successo fu, al solito, strepitoso e la critica parlò oramai apertamente di autocontrollo (self-restraint), mentre per Feudalismo definì il G. "un'ossessione fisica", ma un'ossessione controllata e guidata dalla tecnica.
Nell'aprile 1910, la compagnia si imbarcò per una seconda tournée di otto mesi in Sudamerica dove toccò Argentina, Cile, Brasile e Perù. Rientrato a Catania, dopo una nuova sosta in Inghilterra, il G. sposò la canzonettista Concetta Silvia Carducci, con la quale conviveva dai tempi del varietà al Machiavelli, e dalla quale ebbe quattro figli. Sciolse quindi la compagnia per un lungo periodo di riposo. Più o meno a partire da quest'epoca il G., oramai in fase declinante, diradò l'attività teatrale, pur senza mai interromperla e anche se il repertorio si arricchì di nuovi testi, tra cui Il berretto a sonagli di L. Pirandello.
Nel 1913 recitò Cavalleria rusticana a Roma; nel 1916 fu a Messina; nel 1917 a Palermo e nel 1919 a Roma, al teatro Eliseo. Nel 1921, prima attrice Carolina Balistrieri Bragaglia, partì per una tournée negli Stati Uniti, debuttando l'8 settembre a New York, al Major Royal Theatre, nel cuore del quartiere italiano, con Feudalismo; le recite si protrassero per cinque mesi, con tradizionali cavalli di battaglia come Malia e Cavalleria rusticana, ma anche con novità di autori giovani.
Il successo continuava a essere grande, ma alla fine di questa tournée la sua voce presentò i primi segni di una raucedine destinata col tempo a peggiorare. Nel 1923, il G. formò una nuova compagnia, con il fratello Micio, il cugino Giovanni junior, e Virginia Balistrieri. Del 1927-28 è l'ultima tournée in America; negli ultimi anni, con la voce oramai quasi spenta, decadde progressivamente nella considerazione del pubblico.
Il G. fu anche un apprezzato attore di cinema; già nel 1910, durante la seconda tournée sudamericana, aveva girato, per la regia di Mario Gallo due film tratti da sue celeberrime interpretazioni teatrali: Morte civile e Cavalleria rusticana. Ma fu, al solito, Martoglio a offrirgli le occasioni più significative.
Infatti quest'ultimo, sullo scorcio del 1913, era stato nominato direttore artistico della Morgana films edizioni d'arte, con sede a Roma, e fu questa casa di produzione a realizzare, sempre per la regia di Martoglio, la trilogia: Capitan Blanco, dal dramma Capitan Matteo Blanco dello stesso Martoglio; Sperduti nel buio, dal dramma di R. Bracco; Teresa Raquin da É. Zola. In Sperduti nel buio, del 1914, che è il suo film più famoso e fu considerato quasi un incunabolo del cinema neorealista, il G. interpretava il cieco Nunzio: Bracco, in una recensione, sottolineava il contrasto "espressivo" tra la gracilità del personaggio e la possanza dell'attore. L'attività cinematografica del G. si protrasse intensa fino al 1926; purtroppo, tutti i suoi film sono andati perduti, ed è possibile discuterne, con particolare riferimento a Sperduti nel buio, basandosi solo sulla sceneggiatura, sulle foto e sulle recensioni.
Il G. morì a Catania il 14 ott. 1930.
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