GRIFFONI, Giovanni
Nacque a Bologna intorno al 1380, secondogenito di Giacomo di Alberto e di Chiara di Antonio Preti.
Nato in una famiglia eminente per tradizione, patrimonio e ruolo politico nella Bologna del Tre-Quattrocento, figlio in particolare di quel Giacomo che partecipò attivamente alla riaffermazione del cosiddetto Comune di Popolo bolognese nel 1376 e che poi si schierò con la parte di Carlo Zambeccari, il G. ne continuò la tradizione nella sua vita pubblica, ricca soprattutto di prestigiose cariche del funzionariato professionale.
Nel maggio 1398 il padre del G. era stato tra i sostenitori di Carlo Zambeccari nei tumulti suscitati in città e rivolti anche contro Nanne Gozzadini; il G. poi contribuì ai successivi disegni di pacificazione cittadina tracciati da Matteo Griffoni (il notaio cronista, suo parente) con la sua promessa di matrimonio a Elisea, figlia di Bonifacio Gozzadini, fratello di Nanne.
Dal 1399 fu fautore di Giovanni di Antoniolo Bentivoglio, che dal febbraio 1401 si innalzò al governo di Bologna; nella convulsa fase successiva di breve governo visconteo (dal luglio 1402 al settembre 1403) i Griffoni caddero in disgrazia e, nell'aprile 1403, giunse anche l'ordine di confino a Milano per lo stesso G.: questi, tuttavia, giunto a Modena si rifiutò di proseguire e venne perciò bandito come ribelle. Gli esiliati poterono, però, rientrare già alla fine di agosto, in seguito a un concordato (subito rotto con l'insurrezione del 2 settembre) che cacciò il governatore visconteo Facino Cane e ripristinò il governo della Chiesa, con il legato Baldassarre Cossa (il futuro antipapa Giovanni XXIII).
Da questa fase in avanti il G. si mostrò vicino al potere del nuovo legato: poté infatti intervenire per salvare la vita del suocero Bonifacio Gozzadini, nonostante che questi fosse stato accusato di tradimento e a rischio di rimanere vittima del furore popolare dopo le sollevazioni promosse da Nanne Gozzadini e dalla sua famiglia alla metà di ottobre del 1403; in quella occasione riuscì a strapparlo alla folla, ma non poté evitare che venisse poi processato e giustiziato il 3 nov. 1403.
Negli anni immediatamente seguenti si hanno notizie per il G. di una prestigiosa carriera funzionariale svolta principalmente fuori da Bologna: nel maggio 1409 venne nominato podestà di Fermo; l'8 apr. 1410 fece parte del seguito del legato diretto al campo di Forlimpopoli; dal 1° ag. 1412 fu podestà di Modena; nel 1413 ricevette dal marchese Niccolò (III) d'Este la nomina a podestà di Reggio; dal novembre 1414 fu luogotenente generale nella stessa città sempre per la signoria estense.
Dal 1416 Bologna ritornò sotto il governo dei Sedici riformatori, espressione delle consorterie eminenti, e quindi delle loro lotte: esemplari furono gli scontri cominciati la sera del 27 genn. 1420, con cui i Bentivoglio, insieme con gli Zambeccari banditi e fatti rientrare clandestinamente, ottennero un nuovo successo parziale sui Canetoli. In quella occasione il G. è testimoniato tra i "boni cives" che si posero super partes e si adoperarono per sedare le contese interne, però senza successo; il 31 gennaio seguente fu comunque riconfermato tra i Sedici riformatori che reggevano Bologna come uno dei quattro rappresentanti del quartiere di Porta Stiera (vi ritornò più volte: nel 1426, nel 1428, nel 1439 e dal 1443 alla morte). Nello stesso anno ricevette anche l'incarico della supervisione sulle rocche della città e del contado.
Le posizioni di rango elevato si susseguirono negli anni: il 14 maggio 1426 fu tra i cittadini bolognesi che accompagnarono il legato a prendere possesso di Imola e di Forlì per la Chiesa; nel 1427, stando alle memorie familiari, venne nominato conte di Montechiaro; nel 1431 fu eletto - in rappresentanza dei Dodici di balia - nella magistratura straordinaria di otto cittadini che, insieme col podestà, vennero preposti alla repressione più efficace e spedita dei numerosi furti, e lo stesso anno fu inviato come ambasciatore presso il papa Eugenio IV.
A quel punto il G., come gli altri Griffoni, aveva oramai stabilmente legato le proprie fortune a quelle dei Bentivoglio, sempre più capaci di coagulare intorno a sé la maggior parte dei Bolognesi, di fronte ai quali seppero mostrarsi come l'unica garanzia possibile per la difesa della loro residua indipendenza: lo mostrano azioni di prestigio, per quanto difficili ed effimere, come la rappacificazione promossa nel 1432 tra Battista Canetoli e Bartolomeo Zambeccari, proprio a opera di Giovanni.
Ruolo e posizione del G. ben si vedono nel suo attraversare il periodo della predominanza di segno visconteo di Niccolò Piccinino, dal 1438 al 1443, epoca in cui egli si mosse in maniera formalmente lealista, al punto da essere influente e portatore di intatto prestigio (sempre nel 1438 fu nominato dal Consiglio dei seicento nei Dieci di balia per il delicato compito di assegnare gli incarichi pubblici), ma anche esplicito interprete delle istanze condivise dalla maggior parte del ceto dirigente cittadino.
Il capitano visconteo Niccolò Piccinino si era infatti innalzato di fatto al governo di Bologna dal 21 maggio 1438, favorito dai Foscherari e dagli altri bentivoleschi che pensavano di servirsi del governo dei Visconti da loro sollecitato come puro strumento per scacciare il legato papale e prendere poi il predominio, progetto che peraltro non si realizzò. In particolare il giovane Annibale Bentivoglio, chiamato a continuare il ruolo del padre naturale Antongaleazzo, costituiva una minaccia così manifesta per il governo del Piccinino che Francesco Piccinino (figlio di Niccolò e rettore di fatto per conto del padre) lo fece arrestare e imprigionare nella rocca di Varano, nel Parmense. Da lì però Galeazzo Marescotti e altri sostenitori riuscirono a farlo evadere con un'azione estremamente audace, per ricondurlo in città e preparare il suo definitivo avvento al potere del giugno 1443.
Nel 1439 proprio il G. fu mandato come ambasciatore al Piccinino dalla magistratura degli Anziani per osteggiare Battista Canetoli e i suoi disegni di predominio; nel 1442 egli venne ancora inviato con altri ambasciatori presso Niccolò Piccinino ad Assisi per chiedergli proprio la liberazione di Annibale Bentivoglio e di Gaspare e Achille Malvezzi, imprigionati da Francesco Piccinino.
Conseguentemente con l'affermazione di Annibale Bentivoglio, il G. concluse la sua carriera pubblica nelle più alte magistrature cittadine (nel 1443 fu riconfermato tra i Sedici riformatori, poi fu eletto nella nuova magistratura dei Dieci di balia): la prova più chiara della ormai consolidata vicinanza ai Bentivoglio di quello che all'epoca era probabilmente il più anziano e autorevole dei Griffoni in vita è data dal fatto che nel 1446 fu il G. a cingere la spada e gli speroni al giovane neocavaliere Sante Bentivoglio.
La data della sua morte è fissata tradizionalmente al 1446 dalle memorie familiari dei Griffoni: questa data contrasta però con la notizia data da Ghirardacci (p. 134), che nel 1450 lo vuole eletto membro nella commissione incaricata di sorvegliare sul trattamento riservato nel territorio bolognese ai pellegrini diretti a Roma per il giubileo di quell'anno. Ghirardacci è solitamente ben informato e autorevolmente documentato; potrebbe tuttavia essere incorso in una confusione dovuta a omonimia che, nell'albero genealogico dei Griffoni, si potrebbe avere soltanto con il Giovanni Griffoni figlio del cronista Matteo, nato il 13 apr. 1408 e attestato ancora attivo nel 1435, ma di cui non si conosce la data di morte.
Il nome della moglie, Elisea, è riportato soltanto dalle Memorie autentiche della casa Griffoni, mentre il nome di Domitilla dato altrove è con ogni probabilità un fraintendimento dell'espressione: "Bonifatius de Gozadinis […] dedit unam suam filiam domicellam Iohanni de Griffonibus", usata da Matteo Griffoni (p. 88). Sempre secondo la tradizione memorialistica di famiglia dalla loro unione nacquero due figli: nell'ordine, Margherita e Federico.
La figura del G. conobbe un peculiare rilievo in età moderna, più che per la pur cospicua attività politica, perché - sulla base di una incerta nota di attribuzione sulla prima carta del codice originale del Memoriale di Matteo Griffoni - egli fu ritenuto da G. Fantuzzi l'interpolatore del Memoriale stesso per la parte relativa agli anni 781-1109 o addirittura, da altri, l'autore dell'intera opera; cosa che fu esclusa già da L.A. Muratori in occasione della prima edizione del Memoriale nei Rerum Italicarum Scriptores (1731), e definitivamente dimostrata come infondata dall'analisi critica che accompagnò la riedizione dell'opera curata da L. Frati e A. Sorbelli nel 1902.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Archivio Fantuzzi - Ceretoli, bb. 160; 167: Memorie autentiche della casa Griffoni che cominciano l'anno 975. Così pure la genealogia di detta casa Griffoni; M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 2, pp. VIII, XXIV, XXVII-XXIX, LIX, 88, 92 s., 96-98, 100, 102, 105, 110, 115 s., 249, 251-254; G. Borselli, Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononiae, a cura di A. Sorbelli, ibid., XXIII, 2, pp. 69, 80 s., 85, 88; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, ibid., XXXIII, 1, vol. III, pp. 23, 55, 57, 73, 86 s., 97, 119, 134; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670 (rist. anast. Bologna 1990), p. 410; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, IV, Bologna 1784 (rist. anast. Bologna 1965), pp. 297-301.