GRIMALDI, Giovanni
Quartogenito di Raniero (II) e di Isabella, nacque, probabilmente a Mentone, intorno al 1375.
Il padre, figlio di Carlo "il grande", primo signore di Mentone, aveva militato al servizio degli Angiò e dei re di Francia per i quali, come ammiraglio, si era più volte battuto nel corso della guerra dei Cent'anni. Il casato della madre, Isabella, non è noto; essa è stata indicata come appartenente alla famiglia astigiana degli Asinari, ma nelle fonti è ricordata come di stirpe imperiale il che, considerati i rapporti avuti dal padre con il mondo franco-bizantino della Morea, può far supporre che appartenesse alla famiglia bizantina degli Asén Cantacuzeno.
Sui primi anni della vita del G. sappiamo molto poco. Le prime notizie su di lui risalgono al 1406 quando, ormai adulto, era in trattative con la Repubblica di Firenze per una condotta quale capitano di galea. Alla morte del padre, avvenuta nel 1407, subentrò con i fratelli Antonio, Ambrogio e Gaspare nella signoria di Mentone e Roccabruna: quanto rimaneva del dominio paterno dopo la riconquista genovese di Monaco (1357) e la perdita delle terre possedute in Provenza e nella Contea di Nizza. La rivolta di Genova (1409) nei confronti del governo del maresciallo Jean Le Meingre sire di Boucicaut, luogotenente del re di Francia Carlo VI, dette ai figli di Raniero la possibilità di recuperare il possesso di Monaco che, occupata nel 1395 dai Grimaldi di Boglio, era stata riconquistata sette anni dopo dal Le Meingre, che vi aveva posto una guarnigione francese. I Genovesi avevano dato la signoria della città al marchese Teodoro II di Monferrato, consenziente la fazione guelfa della quale, insieme con i Fieschi, erano a capo i Grimaldi. I guelfi vennero però accusati dalla parte ghibellina di complottare per riportare Genova sotto il controllo francese, così che vennero messi al bando e costretti all'esilio. Tale fatto scatenò nelle Riviere una guerra civile che vide i Grimaldi attivamente impegnati soprattutto nel Savonese, dove membri della consorteria possedevano alcuni castelli.
I signori di Mentone, però, si tennero nel complesso al di fuori della lotta e, di certo, non fecero nulla per minacciare Monaco, che speravano di ottenere pacificamente e con il pieno consenso francese. La situazione era tuttavia difficile. I ghibellini genovesi, forti dell'appoggio del marchese di Monferrato e di Ladislao d'Angiò Durazzo (che aveva inviato una squadra di galee) avevano conquistato Ventimiglia e minacciavano di espugnare anche Monaco e, del resto, le possibilità di un intervento francese in sostegno dei guelfi apparivano minime, essendo il Regno, dopo l'assassinio di Luigi (I) di Valois duca d'Orléans (1407), dilaniato dalla guerra civile tra la fazione borgognona e quella armagnacca. In questa situazione i guelfi fecero appello a Luigi II duca d'Angiò, conte di Provenza e pretendente al trono di Napoli, allora in lotta contro Ladislao di Durazzo che, come visto, appoggiava invece i ghibellini genovesi. Luigi inviò milizie a presidiare Monaco, di cui assunse di fatto il governo, ma nel 1412 stipulò una tregua annuale con Genova, in seguito rinnovata fino alla firma della pace definitiva, sette anni dopo. Il suo ritiro dal conflitto non dissuase i Grimaldi dal cessare le ostilità contro i Genovesi, ma non per questo vennero meno i buoni rapporti con Luigi d'Angiò il quale, anzi, nel 1414 ordinò fossero restituiti al G. e ai suoi fratelli i proventi derivanti dalla gabella di Grasse, che la regina Maria di Blois aveva donato a Raniero (II) nel 1385 e che erano stati in seguito confiscati dai Durazzeschi. L'avvento al dogato, nel 1415, di Tommaso Fregoso pose finalmente termine alle ostilità tra i Grimaldi e il Comune di Genova; con altri nobili guelfi essi erano stati tra i suoi sostenitori nel conflitto che lo aveva opposto dapprima al marchese di Monferrato e, successivamente, ai Montaldo e agli Adorno. La loro alleanza fu suggellata dal matrimonio del G. con Pomellina, figlia di Leonardo Fregoso e nipote dello stesso Tommaso.
Morta la madre Isabella nel 1417 e scomparso poco dopo il fratello Gaspare, il G. si trovò a condividere in parti uguali con i fratelli superstiti, Ambrogio e Antonio, la signoria di Mentone, Roccabruna e della Condamina. Nella primavera del 1419 a queste terre si andarono ad aggiungere Monaco, restituita dal giovane Luigi III d'Angiò, nonché, l'anno successivo, il feudo di Tourettes, parte della baronia provenzale di Vence. Per regolare il governo dei loro domini i fratelli stabilirono di dividersi in parti uguali tutte le rendite, ma per l'amministrazione della giustizia e il comando militare concordarono di alternarsi ogni anno nella carica di capitano e governatore della rocca di Monaco.
Nel maggio 1420 il G., con due galee monegasche, prese parte alla spedizione che il fratello del doge, Battista Fregoso, condusse a Napoli per accompagnare Luigi III d'Angiò e il suo esercito, nel tentativo di prendere possesso di quel Regno, più volte promesso a lui e a suo padre dalla regina Giovanna II d'Angiò. L'impresa si rivelò un successo e anche il G. ne trasse i suoi frutti perché Luigi gli fece restituire, nel febbraio 1421, la baronia calabrese di San Demetrio Corone, che re Roberto d'Angiò aveva nel 1309 concesso a Carlo, avo del G., e che era stata in seguito confiscata.
Rientrato a Monaco nell'estate di quello stesso anno, fu chiamato da Tommaso Fregoso a partecipare con le sue galee alla spedizione che andava allestendo, sempre sotto il comando del fratello Battista, per opporsi alla flotta di Alfonso d'Aragona, alleato di Filippo Maria Visconti. Egli si trovò così presente alla disastrosa battaglia di Porto Pisano (22 ott. 1421), sfuggendo per poco alla cattura, mentre lo stesso Battista Fregoso fu fatto prigioniero. La sconfitta navale indusse il doge a scendere a patti col duca di Milano cui, nel novembre, cedette la signoria di Genova in cambio di una ricca buonuscita e del dominio di Sarzana. Per il G., solo fra i grandi nobili genovesi a non essersi schierato con il Visconti, fu un duro colpo, ma per sua fortuna il duca non intraprese per il momento alcuna azione nei suoi confronti, disinteressandosi di quanto accadeva nell'estremo Ponente ligure. In cerca di protezione il G., che dalla primavera di quell'anno aveva ottenuto una provvisione annua di 2000 fiorini da Firenze, nel luglio 1422 stipulò, insieme coi fratelli, un trattato di aderenza con Iolanda d'Aragona che, in assenza del figlio Luigi III, reggeva il governo della Provenza.
L'accordo, nel garantire ai Grimaldi un sussidio di 1200 fiorini l'anno per la custodia dei castelli di Monaco, li impegnava però a non compiere azioni di pirateria nei confronti dei vascelli provenzali, cosa che essi avevano ripreso a fare, imponendo nuovamente il contestato pedaggio del due per cento su tutti i legni transitanti davanti alla rocca.
Restando fermo nell'atteggiamento di opposizione al Visconti, il G. aderì, l'anno seguente, all'alleanza antimilanese stretta tra la Repubblica di Firenze e Tommaso Fregoso. Con i Fiorentini, poi, il 5 ag. 1424 il G. stipulava a Sarzana, nel palazzo del cognato, un trattato di accomandigia nel quale, oltre all'impegno di servire la Repubblica e il Fregoso con una galea da lui personalmente comandata, si obbligava, in segno di omaggio, a presentare ogni anno, il giorno di S. Giovanni Battista, un palio di seta alla cattedrale di Firenze, secondo l'uso delle Comunità e dei feudatari soggetti al dominio fiorentino. Quando, nel 1425, scoppiò nella Riviera di Levante la rivolta contro il dominio visconteo, il G. unì le sue galee a quelle fiorentine, appoggiando le operazioni costiere dei Fregoso e dei Fieschi. Per tre anni egli si batté per mare contro il duca di Milano ma alla fine, in gravi difficoltà finanziarie e intimorito dai successi riportati dal Visconti nel Ponente, decise di scendere a patti.
Nel maggio 1427 era nel frattempo morto il fratello Antonio, e tra i figli di questo, il G. e l'ultimo fratello superstite, Ambrogio (che sarebbe scomparso di lì a poco) si procedette a una divisione dei beni, in base alla quale al G. spettò il possesso esclusivo di Monaco e della Condamina, mentre Mentone e Roccabruna furono assegnate agli altri coeredi in parti uguali. Questi ultimi, il 5 ott. 1428, si presentarono a Camporosso, dove era accampato l'esercito inviato dal Visconti per debellare la resistenza dei Grimaldi, e fecero atto di sottomissione e di omaggio ottenendo dai commissari ducali l'investitura feudale di Mentone e Roccabruna, fatta salva la fedeltà dovuta, "tamquam superiorem", a Luigi III d'Angiò. Il giorno successivo anche il G. cedette ma, anziché accettare di divenire vassallo di Filippo Maria, preferì cedergli ogni suo diritto sulla rocca di Monaco per 25.000 ducati, da pagarsi al Comune di Genova. Mentre su Monaco era issato lo stendardo visconteo, il G. si ritirò a Nizza, ma di lì a poco accettò di entrare al servizio del duca di Milano. Nel 1430 fu nominato podestà di Pavia e in questa veste coadiuvò, l'anno successivo, Pasino Eustachi, che il Visconti aveva designato capitano della flotta fluviale sul Po. Fu infatti soprattutto merito suo, esperto comandante navale, il successo riportato il 22 giugno davanti a Cremona su una squadra di galee veneziane, con la cattura di 28 navigli nemici e ben 8000 prigionieri, nel corso delle ostilità riaccesesi proprio nel 1431 tra Milano e Venezia. Nel 1433 il G. fece parte del corteggio che accompagnò Sigismondo di Lussemburgo nel suo viaggio a Roma per esservi incoronato imperatore.
La rivolta di Genova al dominio visconteo (dicembre 1435), suscitata dalla rabbia con la quale era stata accolta la notizia dell'improvvisa alleanza tra il duca e Alfonso d'Aragona (che i Genovesi avevano catturato con tutta la sua corte nella vittoriosa battaglia di Ponza), diede modo al G. di recuperare il dominio di Monaco, rimasta in mano della guarnigione milanese. Il Visconti, dopo avere pensato di darne l'investitura al genovese Biagio Assereto, il vincitore di Ponza (il quale peraltro rifiutò), alla fine si convinse dell'opportunità di restaurarvi la signoria del Grimaldi. Così, il 18 marzo 1436, Corrado da Vimercate, commissario ducale, investì il G. del "castrum et locum Monaci". Recuperato il possesso della sua antica signoria, il G. non mostrò tuttavia la minima intenzione di volersi comportare da fedele vassallo, anzi si impegnò per rendere praticamente inoperanti i termini dell'investitura, così da recuperare i massimi margini di autonomia. Si riavvicinò pertanto agli Angiò e a Tommaso Fregoso che, dopo la liberazione di Genova, aveva nuovamente assunto il potere. Con il doge, il 31 luglio 1437, egli stipulò un trattato di aderenza nel quale vennero coinvolti, come garanti, anche i governatori dell'"albergo" Grimaldi, ai quali venne dato in custodia il castello inferiore di Monaco, che avrebbe dovuto essere restituito al Comune di Genova qualora il G. non avesse tenuto fede ai patti.
L'accordo, che garantiva al G. un cospicuo sussidio annuo, è stato interpretato da molti storici (tra questi Saige, pp. CI s.), come il riconoscimento implicito da parte genovese dell'indipendenza monegasca. In realtà, esso non è molto diverso dai vari trattati di aderenza con i quali, nel corso del XV secolo, i dogi cercavano di tenere legati alla Repubblica quei nobili genovesi che, grazie alle guerre civili, si erano resi signori di terre e castelli già di proprietà del Comune. Il trattato era infatti stipulato "sine ullo preiudicio iurium que comune Ianue habet in Monaco" e, del resto, il G. risultava essere semplice custode del castello superiore della rocca, per il cui ufficio era infatti retribuito.
A Filippo Maria Visconti non sfuggì il fatto che l'aderenza stipulata dal G. con Tommaso Fregoso fosse sostanzialmente diretta contro la sua persona, così da sfuggire agli obblighi feudali assunti solo un anno prima. Egli sollecitò pertanto Ludovico di Savoia, suo alleato, a mettere in atto delle misure intimidatorie nei confronti del G., in modo da indurlo ad abbandonare l'alleanza con Genova. Il G. non si fece intimorire ma, desideroso di rassicurare il Visconti della sua fedeltà, accettò incautamente di andare a fargli visita. Nonostante il salvacondotto di cui era munito, nel gennaio 1438 egli venne arrestato insieme col figlio Catalano non appena ebbe messo piede in Lombardia. Intenzione del duca era costringere i due Grimaldi a cedere Monaco in cambio della libertà, e per mettere meglio in atto la cosa li consegnò al Savoia, che li fece rinchiudere nel castello di Pinerolo. Da qui, dopo alcuni mesi, furono trasferiti a La Turbie, la rocca sovrastante Monaco, dove furono presi in custodia da un vecchio nemico del G., il governatore di Nizza. Le minacce di quest'ultimo a Pomellina, che in nome del marito aveva assunto il governo del feudo, non valsero però a farla cedere al ricatto, rafforzata in questo atteggiamento dall'invio di truppe genovesi da parte del doge, suo fratello, con il quale, nel febbraio 1440, rinnovava il trattato di aderenza. A quel punto il G. e il figlio furono riportati a Pinerolo, e da qui a Moncalieri, per essere in seguito riconsegnati a Filippo Maria Visconti il quale, finalmente, nell'ottobre di quell'anno ne ordinò la liberazione. Ritornato a Monaco, il G. mostrò di voler dimenticare la brutta esperienza vissuta, manifestando apertamente la volontà di intrattenere rapporti amichevoli con il Visconti. Allo stesso tempo, però, riannodò le relazioni con la casa d'Angiò che, durante la sua prigionia, si era prodigata per fargli ottenere la libertà; gli fu così confermato il possesso della gabella di Grasse e ottenne la nomina a consigliere regio.
Nel 1441, sebbene ormai anziano, il G. partecipò con le sue galee alla spedizione inviata da Tommaso Fregoso in aiuto di Renato I d'Angiò, impegnato nuovamente a contendere ad Alfonso V d'Aragona il Regno di Napoli. Con il doge, però, i rapporti avevano subito un raffreddamento, a seguito di certi contrasti riguardanti la gabella del sale di Monaco, rivendicata dai Genovesi. Così, quando nel dicembre 1442 Tommaso Fregoso fu deposto dalle forze congiunte degli Adorno e degli Spinola, il G. non fece alcuna opposizione e, anzi, cercò di instaurare buone relazioni con il nuovo doge Raffaele Adorno.
A questo scopo, nel 1444, concluse il matrimonio tra il proprio figlio ed erede, Catalano, e Bianca Del Carretto, figlia del marchese Galeotto, stretto parente degli Adorno e loro seguace. Quasi a bilanciare questo legame, però, l'anno successivo sposava la figlia Bartolomea a Pietro Fregoso, figlio di quel Battista che era stato suo compagno d'armi in più di un'occasione.
Sempre nel 1445 il G. accettò di entrare al servizio di papa Eugenio IV, allora in guerra con Firenze: la spedizione si rivelò sfortunata e si risolse nella perdita delle due galee che aveva condotto alla foce del Tevere, affondate da due successive tempeste. Nonostante i buoni rapporti con gli Adorno, il G. diede il suo sostegno ai Fregoso quando, all'inizio del 1447, essi intrapresero, con l'aiuto francese, il tentativo di rientrare a Genova e riprendervi il potere. A guidare la spedizione era Giano, nipote di Tommaso (allora incarcerato a Savona); questi, con un audace colpo di mano, il 29 gennaio riusciva a entrare in città e a farsi nominare doge. Due giorni dopo, probabilmente per sdebitarsi dell'aiuto ricevuto dal G., lo nominava castellano di Ventimiglia, con gli stessi poteri di un podestà. Il 23 febbraio, poi, tra i due si stipulò un nuovo trattato di aderenza per Monaco, successivamente rinnovato nel 1449 e nel 1450. Sentendosi così rassicurato nel possesso di Monaco, il G. pensò di rappacificarsi con il duca di Savoia, che da sempre minacciava la stabilità dei suoi domini. Per questa ragione, nel dicembre 1448, si recò a Torino a fare atto di omaggio al duca Ludovico per Mentone e Roccabruna, ottenendo l'investitura dei due territori e la nomina a consigliere ducale. Nell'autunno 1450 si recò a Roma per partecipare al giubileo indetto da papa Niccolò V, ma fu qui imprigionato quale rappresaglia per la cattura, operata da suo figlio Catalano, di una nave carica di vino di Linguadoca, destinata al cardinale camerlengo. Fu liberato per Natale, grazie all'intervento del genero Pietro Fregoso, nel frattempo divenuto doge. L'anno successivo egli offrì al duca di Savoia la vendita di Monaco, ma questi rifiutò.
Le ragioni di questo gesto, come dell'operazione seguente, sono abbastanza oscure. Secondo Saige l'offerta al duca non sarebbe stata altro che un modo per pararsi le spalle da eventuali rimostranze sabaude, avendo deciso da tempo, almeno dal gennaio 1449, di cedere la signoria al figlio di Carlo VII, il futuro Luigi XI. Questi, da tempo in contrasto con il padre, nel 1447 si era ritirato nel Delfinato, suo appannaggio personale in quanto erede al trono di Francia. Da Grenoble egli aveva dispiegato una politica del tutto indipendente, stringendo alleanza con il Ducato di Savoia e con la Contea di Provenza e mostrando grande interesse per quanto accadeva al di qua delle Alpi: Monaco rappresentava la possibilità di assicurarsi un punto d'appoggio sulla costa ligure, in vista delle sue future imprese. Le trattative con il delfino portarono, non si sa in quale data, alla vendita di Monaco per 12.000 scudi d'oro, col patto però che il G. avrebbe conservato il comando delle fortezze fino al saldo completo di tale somma. Nel febbraio 1451 lo stendardo delfinale era innalzato, secondo gli accordi, sulla rocca, ma il mancato pagamento della cifra ne rese sostanzialmente nulla la validità, solo ottenendo il G. la carica, puramente onorifica, di ciambellano.
Nel 1453, sebbene ormai ottuagenario, il G. accompagnò Renato d'Angiò nella prima parte della sua spedizione in Lombardia, ma, ammalatosi, dovette trattenersi a Genova, dove il doge Pietro Fregoso gli promise di dargli il primo comando navale che si fosse reso disponibile. Nel gennaio dell'anno successivo intervenne a Ventimiglia per sedare alcuni disordini causati dai partigiani dei Doria, ma aggravatesi le sue condizioni di salute, dovette fare ritorno a Monaco dove, il 3 apr. 1454, fece testamento nominando erede universale il figlio Catalano e, in difetto, l'altra figlia Bartolomea, moglie di Pietro Fregoso, e i loro figli, a condizione però che entrassero a far parte dell'"albergo" Grimaldi.
Il G. morì a Monaco l'8 maggio di quell'anno e fu sepolto nella chiesa di S. Michele di Mentone.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Signori, Missive, 27, docc. 7-8; G. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, pp. 363, 366; A. Giustiniani, Castigatissimi annali… della eccelsa e illustrissima Repubblica di Genova, Genova 1537, cc. CLXXXVIIv, CCIr; Le cronache di Giovanni Sercambi, a cura di S. Bongi, Lucca 1882, III, cap. CCCXII; E. Cais de Pierlas, Documents inédits sur les Grimaldi et Monaco, Turin 1885, pp. 35-42; G. Saige, Documents historiques relatifs à la Principauté de Monaco depuis le quinzième siècle, I, Monaco 1888, pp. XLIII-CXXIV; C. Santoro, Gli uffici del Comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515), Milano 1968, p. 336; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, II, Genova 1826, Famiglia Grimaldi, p. 4; Nouvelle Biographie générale, XXII, Paris 1858, p. 67; Dictionnaire de la noblesse, a cura di F.-A. Aubert de la Chesnaye-des-Bois, IX, Paris 1866, coll. 825 s.