GUERRA, Giovanni
Nacque nel 1544 a San Donnino della Nizzola, presso Modena, da Baldassarre, artigiano, e Lucia Versi; furono artisti anche due suoi fratelli, Giovanni Battista e Gaspare. La data è desumibile dalla biografia stesa dal contemporaneo F. Forciroli. Per tutta la vita il G., firmandosi sempre "modenese", mantenne privilegiati rapporti affettivi e di lavoro con la città emiliana.
La sua prima formazione, di cui purtroppo non resta alcuna testimonianza precisa, avvenne probabilmente a Modena, sui testi di Niccolò Abbati (o dell'Abate) e con dirette tangenze con Lelio Orsi, su cui si innestarono riflessioni su quel "fiamminghismo così tipico di quell'area culturale circoscrivibile tra Modena, Reggio Emilia, Novellara e Cotignola, con connessioni con le asprezze grafiche di un Ercole Setti, rilevante maestro di area modenese, e le arditezze spaziali di Raffaellino da Reggio" (Strinati, p. 157).
Intorno al 1562, "a diociott'anni" (Forciroli), il G. si trasferì a Roma; nel viaggio, è stato ipotizzato, poté sostare a Firenze e, con il bolognese Lorenzo Sabbatini, trovare impiego nel cantiere di palazzo Vecchio.
Non sono note le circostanze che lo portarono nella capitale pontificia: forse un viaggio di apprendistato, trasformatosi presto in soggiorno definitivo attraverso le più concrete prospettive di lavoro all'interno della numerosa comunità di pittori emiliani, tra cui Domenico da Modena, Iacopo Bertoia, Livio Agresti, Raffaellino da Reggio; è stata ipotizzata al proposito una sua successiva collaborazione, tra il settimo e l'ottavo decennio, agli importanti cantieri dell'oratorio del Gonfalone, del palazzo Farnese a Caprarola, di villa d'Este a Tivoli. Al primo periodo romano gli è stato riferito un fregio con Storie di Ester affrescato nel 1564-66 ovvero nel 1572-74 per il cardinal Giovanni Ricci da Montepulciano in un ambiente a nordest al secondo piano della villa poi divenuta Medici; i rapporti del G. col cardinale sono certi, anche se difficilmente precisabili: resta, firmato, un disegno per un fregio decorativo completato con stemma Ricci-Farnese (Firenze, Galleria degli Uffizi: un altro disegno con stemma Ricci, al Musée du Louvre, gli è attribuito da Pierguidi, G. G. e le Storie di Ester).
Nel 1573 è ricordato da G. Vasari tra i pittori che lo avevano preceduto alla sala Regia in Vaticano. La sua presenza in un cantiere di tale rilevanza è stata messa in relazione ai suoi rapporti con Lorenzo Sabbatini, aiuto dello stesso Vasari in Vaticano, che si sarebbe segnalato tra i principali esponenti dei cantieri pittorici del bolognese Gregorio XIII. Di Sabbatini il G. avrebbe sposato nel 1575 la figlia Emilia.
Dal 1573, sotto il pontificato di Gregorio XIII (eletto il 13 maggio 1572), l'attività del G. inizia a essere meglio documentata, in una diversificazione di committenze e incarichi che, oltre ai grandi cantieri pontifici, incluse opere e progetti per enti religiosi e influenti aristocratici.
Nel 1575 eseguì "l'arme di N. Signore grande ovale sopra tela a olio doi putti et tre arme sotto a detta ciò è quella de' Romani, dell'Ill.o et R.mo Camerlingho et dell'Ill.o et Rev.mo Sig. Iacomo Boncompagni castellano di Castel Sant'Angelo" (Bertolotti, 1882, p. 25). Nel 1579-83 venne pagato, con Girolamo Muziano e Cesare Nebbia, per lavori ai mosaici della cappella Gregoriana in S. Pietro, mentre nel 1580 ricevette 40 scudi "per resto di haver fatto otto madonne, XII San Gregorii in sul raso bianco" e altri lavori per servizio della cappella Gregoriana (ibid., p. 22).
Restano poi numerosi disegni (Palermo, Biblioteca comunale: Prosperi Valenti Rodinò), di cui alcuni con lo stemma pontificio, e uno con la data 1572, riferiti forse alle logge Vaticane, il cantiere diretto da Sabbatini dal 1573 e dove il G., secondo Celio, affrescò "alcune facce delli pilastri". Più incerta la sua partecipazione alla decorazione di altri ambienti dei palazzi Vaticani (la cappella ottagonale e la galleria delle carte geografiche), indicata da Chattard e Taja. Anche se la sua presenza rimase evidentemente subalterna rispetto a quelle emergenti di Sabbatini, Muziano e Nebbia, il G. dovette fare tesoro dell'esperienza organizzativa dei grandi cantieri, dove avrebbe affinato quelle capacità imprenditoriali che, nella strettissima collaborazione con Nebbia, lo avrebbero portato a dirigere tutte le imprese pittoriche ufficiali del pontificato successivo.
Oltre che nei cantieri di Gregorio XIII, il G. ebbe modo in questi anni di lavorare anche per importanti committenti privati. Restano due disegni (Firenze, Uffizi), datati 1583, con lo schema per la decorazione delle testate di una galleria di palazzo nobile (da identificare con palazzo Rucellai al Corso). Sempre nel 1583, come risulta dai verbali della Congregazione di S. Giuseppe di Terrasanta, fu "impegnato con un "signore" aspirante al cardinalato" (Tiberia, p. 181). La vicinanza agli oratoriani, sicuramente dettata da forti affinità spirituali e familiari (il fratello Giovanni Battista entrò nella Congregazione), gli avrebbe portato importanti commissioni alla chiesa Nuova e, probabilmente anche attraverso i rapporti con l'architetto Martino Longhi, a palazzetto Cenci, dove affrescò, con Vitruvio Alberi, Storie di Mosè (1583-87). Un grande disegno con le armi Estensi (Palermo, Biblioteca comunale: Prosperi Valenti Rodinò) è stato messo in relazione con una giovanile partecipazione alla vasta impresa decorativa di villa d'Este a Tivoli.
Agli anni del pontificato di Gregorio XIII risale anche il suo ingresso all'Accademia di S. Luca (18 luglio 1573), dove rivestì varie cariche negli anni successivi, e l'aggregazione alla Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta dei Virtuosi al Pantheon (11 dic. 1580), dove fu segretario dal 1581 al 1595.
Il G. raggiunse la massima notorietà con l'elezione al soglio pontificio di Sisto V nel 1585; gli giovarono probabilmente i precedenti rapporti di collaborazione col coetaneo Domenico Fontana (nei cantieri della chiesa Nuova, della villa del cardinal Ricci al Pincio), il quale, divenuto architetto del papa, arbitro di ogni impresa ufficiale, dovette coinvolgerlo fin dall'esordio. Nel cantiere per il trasporto dell'obelisco Vaticano il G. fu responsabile della doratura delle iscrizioni poste sulla nuova base dell'obelisco, e compare come inventore di tutte le incisioni realizzate da Natale Bonifacio relative alle operazioni dirette da Fontana. Dal 1586 al 1590, in società con Cesare Nebbia, risulta responsabile, sotto la diretta sovrintendenza di Fontana, della decorazione di tutte le nuove fabbriche pontificie: scala di collegamento tra la cappella Sistina e S. Pietro in Vaticano, cappella Sistina in S. Maria Maggiore, palazzo Lateranense e loggia delle Benedizioni, Scala Santa, Biblioteca Vaticana, restauri alla galleria delle Carte geografiche, villa Montalto, S. Girolamo degli Schiavoni (dove gli venne riconosciuta una maggiore autonomia), ospizio dei mendicanti a ponte Sisto, convento dei Ss. Apostoli, palazzo del Quirinale. Responsabili di cantieri dalle dimensioni variabili, ma spesso enormi, il G. e Nebbia coordinarono fino a cento artisti, in un'organizzazione che prevedeva numerose figure intermedie e una specializzazione selettiva che consentisse rapidità e uniformità di esecuzione. Secondo le testimonianze del tempo, i due artisti-imprenditori avevano raggiunto una perfetta intesa organizzativa, in cui il G. (secondo Baglione, p. 159) "inventava li soggetti delle storie, che dipinger si doveano, e Cesare ne faceva i disegni"; il G., inoltre, "era gran prattico ne lavori grandi, e con molta facilità scompartiva a ciascheduno la sua fatica".
Nel sodalizio con Nebbia il G. dovette svolgere un ruolo specifico di raccordo tra le esigenze della committenza, gli estensori dei programmi iconografici e l'organizzazione della fase esecutiva. In grado di raffigurare con velocità e chiarezza le serie iconografiche, razionalizzandone la suddivisione nella complessa organizzazione di cantiere, il G. fu pittore-intellettuale autonomo, capace di affiancare gli eruditi incaricati della stesura dei programmi, mentre a Nebbia può essere riconosciuto un maggiore impegno nella definizione artistica dei soggetti. Al G. andò anche assegnato il compito di invenzione delle griglie ornamentali, degli schemi di divisione in scene dei fregi e delle volte, nonché l'ideazione di gran parte dell'apparato araldico-allegorico di commento esegetico e di esaltazione encomiastica. Il momento conclusivo del processo organizzativo, con la trasposizione degli schemi e dei disegni in pittura da parte di uno stuolo di artisti esecutori, sarebbe poi stato nuovamente compito del G., coadiuvato dal fratello Gaspare. Nei quattro anni di pieno regime di lavori, la società monopolizzò la scena romana, registrando introiti per più di 30.000 scudi. È certo che i due artisti-imprenditori dovettero ricavare enormi vantaggi economici dalle imprese sistine, molto probabilmente anche attraverso la fornitura di materiali (essenzialmente colori), come risulta da una denuncia sporta contro di loro nel 1591. Imposta dalla eccezionalità quantitativa dell'impegno assunto, la complessa struttura organizzativa piramidale, dettagliatamente gerarchizzata, del cantiere pittorico sistino si pone in un contesto di naturale evoluzione dei grandi cantieri tosco-romani, vasariani, farnesiani e gregoriani, che però giunse a rapida conclusione proprio con la società fra il G. e Nebbia. Nel 1590, gli ultimi cantieri aperti sembrano denunciare l'incrinarsi del sodalizio tra i due: se l'inizio della decorazione del Quirinale fu ancora condotto congiuntamente, la chiesa di S. Girolamo degli Schiavoni, insieme con lavori minori (convento dei Ss. Apostoli, dorature al palazzo della Cancelleria, stemmi sulla facciata dell'ala delle guardie svizzere al Quirinale), sembra essere stata appaltata al solo Guerra.
Nel 1590-91 l'avvicendarsi dei tre brevi pontificati di Urbano VII, Gregorio XIV e Innocenzo IX consentì il prolungarsi dell'esperienza imprenditoriale del G.: fregi nelle due sale dei Foconi nei palazzi Vaticani; affreschi, con Giovan Battista Ricci da Novara e Ventura Pallotta, in ambienti del palazzo del Quirinale; restauri delle "pitture di Raffaello da Urbino" (Bertolotti, 1882, p. 42) nelle stanze Vaticane.
Collaborò con Fontana eseguendo numerosi disegni per le tavole del volume Della trasportatione dell'obelisco Vaticano et delle fabriche di nostro signore papa Sisto V, Roma, D. Basa, 1590 (il frontespizio è datato 1589). Oltre a considerazioni di carattere stilistico, l'attribuzione al G. è basata sul reperimento di almeno un disegno preparatorio (Firenze, Uffizi), mentre un primo stato delle incisioni, con correzioni a penna, è conservato tra le carte di Angelo Rocca (Roma, Biblioteca Angelica). Al servizio del cardinale Alessandro Peretti Montalto partecipò all'erezione del catafalco avvenuta nel 1591 in S. Maria Maggiore per Sisto V, su progetto di Fontana.
Negli anni seguenti, e fino alla morte, il G. è documentato in lavori di una certa entità, oggi interamente perduti, ma probabilmente del tutto attardati e insignificanti in un panorama dominato dalle grandi novità caravaggesche e bolognesi.
Nel 1593 fu coinvolto nella decorazione della cupola di S. Pietro in Vaticano; e nel 1594 in pitture "intorno al ciborio di tela che si fa sopra l'altare di san Pietro" (Libri di immagini, p. 48) e nel coro di S. Susanna. Negli anni 1598-1600 fu a Ferrara, dove eseguì scene teatrali e lavori alla torre dell'Orologio; da qui si recò più volte a Modena, e, prima del 1599, a Sassuolo. Rientrato a Roma nell'autunno del 1600, quando venne pagato "per diversi disegni e spartimenti dell'ornamento dell'altare e del resto della cappella" di Filippo Neri alla chiesa Nuova (ibid., p. 49), eseguì dodici quadri a olio per la volta della sala di Costantino in Vaticano, saldati nel corso del 1604, e un modello per il ciborio di S. Pietro nel 1606; nel 1611 ricevette 20 scudi "per diversi disegni fatti da lui delle volte e delle muraglie che si haveranno a depingere nella nova sagrestia che S. S.tà va di fare in S. Maria Maggiore" (Bertolotti, 1882, p. 78); nel 1613 sono ricordati progetti per un suo intervento pittorico, mai eseguito, a villa d'Este a Tivoli. Infine, Baglione (pp. 159 s.) ricordava i lavori, perduti e non datati, all'interno del Pantheon ("dipinture della Tribuna sopra l'altar maggiore con una gloria di tutti li Santi", eseguita "ma però con aiuto d'altri", probabilmente su commissione della Congregazione dei Virtuosi), e la decorazione delle facciate delle chiese di S. Giacomo a Scossacavalli e di S. Nicola dei Cesarini.
Ancora da chiarire resta la sua attività di architetto, sviluppata tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento: Vedriani ricordava la Scala Santa a Roma e le due chiese modenesi di S. Maria degli Angeli detta del Paradiso, fondata nel 1596, e di S. Maria delle Asse. Restano progetti a lui attribuiti per la facciata di S. Maria in Vallicella e numerosi altari al suo interno, per la facciata della Ss. Trinità dei Pellegrini, arredi lignei e liturgici e apparati effimeri, tra cui un interessante progetto di catafalco per Giovan Francesco Aldobrandini, morto nel 1601, mai eseguito e comunque non identificabile con quello eretto, come sostiene Pierguidi (Verso il Barocco), nella cattedrale di Macerata.
"Narrasi, che Gio. Guerra, il quale ha messo in stampa diverse carte, facesse egli numerosissimi disegni di diverse historie del testamento vecchio, e nuovo, et ancora quelli delle prove de' Romani, e parimente de' fatti delli Greci, per darli all'intaglio; e voleva, che li Principi grandi, senza occuparsi in perder tempo nella lettura de gli Storici, solo nel mirar questi disegni con facilità comprendessero l'historie, et imparassero, come in compendio, i successi de' secoli, e le vere grandezze della gloria" (Baglione, p. 399): di questa didascalica produzione restano numerosi "libri di immagini" autografi: Storie di Ester (Genova, Biblioteca universitaria); Episodi di storia romana (Parigi, Louvre: in relazione a una progettata edizione di Tito Livio); Storie di s. Giminiano (Modena, Arch. stor. comunale); Storie di s. Paolo (Parigi, Louvre ed École des beaux-arts; Poitiers, Musée des beaux-arts); Storie di Giuditta, datati 1606 (New York, Avery Library); Vita di Alessandro Farnese (Madrid, Biblioteca nacional), datati 1608; e ancora ulteriori esemplari (Londra, Sir John Soane's Museum; cfr. Fairbairn). Altri nuclei di disegni, in una produzione vastissima (sono stati contati finora più di 800 fogli), oggi dispersa in collezioni pubbliche e private, comprendono vedute di ville della Tuscia e fiorentine (Bomarzo, Bagnaia, Pratolino, Boboli; Vienna, Albertina), eseguiti in occasione del viaggio a Ferrara nel 1598 o nel 1604, come si potrebbe evincere da una lettera autografa all'erudito modenese Spaccini; i fregi della colonna di Marco Aurelio (Copenaghen, Museo statale di belle arti, Collezioni reali), eseguiti tra il 1594 e il 1596, forse da mettere in relazione con una progettata traduzione in incisione a seguito dei restauri intrapresi durante il pontificato di Sisto V; figure allegoriche e mitologiche (Parigi, Louvre ed École de beaux-arts; Orléans, Musées des beaux-arts), cui si connettono sei disegni (Milano, asta Finarte 1975: Pierguidi, G. G. and the illustrations to Ripa's Iconologia) sicuramente preparatori per le xilografie della prima edizione figurata dell'Iconologia di C. Ripa (Roma, 1603).
Come incisore o delineatore il G. fu autore di tavole sciolte (oltre a quelle citate, si ricordano il Paradiso terrestre mistico, dedicato al cardinale A. Peretti Montalto; l'Imagine de ss. martiri ritrovati dall'ill.mo card.le Cusano nella chiesa di S. Adriano, del 1589-91; I Dioscuri con stemma Peretti; la grande Cavalcata, in sei fogli, del 1589), dei disegni delle incisioni di Antonio Tempesta per il Trattato degli instrumenti di martirio di Antonio Gallonio (1591), e dei fascicoli intitolati Varii emblemi hieroglifici, con sedici bulini con emblemi sistini (1589), e Varie acconciature di teste usate da nobilissime dame in diverse cittadi d'Italia, dedicato a Orsina Peretti in occasione delle nozze nel 1589.
Come ricorda Forciroli, il G. morì a Roma "di 74 anni mancando il dì 29 agosto 1618, et fu seppellito nella Chiesa di S. Lorenzo sua parocchia sotto Campidoglio".
La fortuna critica del G. iniziò subito dopo la morte con Forciroli, che gli dedicò un'attenta biografia, sunteggiandone l'attività ed esprimendo un primo giudizio valutativo ritenuto ancora di grande interesse ("Parmi valso assai nell'invenzione, et nel Disegno, et nella maniera d'ornare ma poco nel colorire"). Baglione (1642) riservava al G. una biografia estremamente circostanziata, con un primo elenco di opere (poi ampliato da Vedriani nel 1662), e il ricordo della sua capacità imprenditoriale, dove peraltro gli sferzanti giudizi critici hanno contribuito, nella generale svalutazione del tardo manierismo romano, a far presto dimenticare l'artista, ritenuto lontano da ogni ricerca qualitativamente apprezzabile. Solo a metà del Novecento, inizialmente attraverso lo studio dei disegni, s'iniziava il recupero filologico e critico della multiforme attività del G., con particolare attenzione ai modi organizzativi del cantiere e al ruolo di autonomo e originale inventore di iconografie sacre e profane.
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