GUIDOTTI, Giovanni
Nacque a Bologna verso il 1410, secondogenito di Bartolomeo di Filippo e di Chiara Guastavillani.
Il padre Bartolomeo, ricevuta nel 1371 la prima tonsura clericale, aveva peraltro scelto di dedicarsi agli affari nell'impresa di famiglia e di assumere incarichi nel governo cittadino. Gli impegni dell'impresa nelle piazze polacche e ungheresi lo avevano posto in stretti rapporti con Sigismondo, re d'Ungheria, che lo aveva accolto nella cerchia dei suoi collaboratori e familiari. Nel novembre 1402 era rientrato a Bologna per gestire insieme con i fratelli i beni ereditati in comune dal padre e aveva saputo accattivarsi la fiducia del legato pontificio Baldassarre Cossa. All'inizio del 1408 aveva sposato Chiara Guastavillani e ne erano nati due figli, Opizzo e Giovanni. Discendente da una ricchissima famiglia di cambiatori, Chiara aveva sposato in prime nozze Giacomo di Roberto da Saliceto che, morendo nel 1399, aveva lasciato tre figli giovanissimi, affidati alla tutela della madre. Bartolomeo morì il 4 ott. 1419 e i due figli ne ereditarono il patrimonio costituito dai beni ancora indivisi del nonno Filippo. Nel febbraio 1421 Chiara sposò in terze nozze Pietro Ruggeri da Imola e la tutela dei due figli suoi e di Bartolomeo venne assunta prima dallo zio Pietro, poi dal cugino Pier Antonio.
Nel marzo 1424 terminò la comunione ereditaria tra i discendenti di Filippo. Opizzo e il G. si videro assegnati beni per un valore di 2750 lire, comprendenti la quarta parte indivisa del palazzo di famiglia, crediti sul Monte delle moliture, l'impianto e i diritti per un mulino da ricostruire, un'osteria e altri immobili a Castenaso, nonché terre per quasi 80 ettari. La comunione dei beni dei due fratelli durò pochi anni: il 5 ag. 1430 Opizzo morì a Budrio e l'intera eredità paterna si consolidava così a favore del solo G. superstite.
All'inizio del 1434 il G. sposò Biagia (Bia) di Filippo Felicini, ma dall'unione che durò fino al 13 sett. 1468 non nacquero figli. In loro mancanza, il G. riconobbe come figlia naturale Pazienza, natagli da una fantesca di nome Marta e quindi, nell'ottobre 1461, adottò dall'ospedale di S. Pietro un bambino di 23 mesi, di nome Pietro. Solo dal secondo matrimonio, contratto nel settembre 1470 con Costanza Montecuccoli, il G. ebbe discendenti legittimi: Saulo, Aurelio e Sallustio. Questo secondo matrimonio fu celebrato con sfarzosi festeggiamenti che videro la partecipazione della nobiltà cittadina, come imponeva l'alto rango occupato allora dal G. nella società bolognese, grazie soprattutto al rilevante patrimonio che egli aveva accumulato.
Tempi e modalità della formazione di tale patrimonio assunsero nella vicenda del G. un ruolo determinante ed è quindi necessario ripercorrerne i tratti essenziali. Nel luglio 1436 la morte della madre Chiara, intestata, fece del G. l'unico erede del suo ingente patrimonio, che comprendeva anzitutto i beni giunti a lei dalla famiglia d'origine, i Guastavillani, come dote e come lasciti di vari congiunti e costituiti da tre possessioni per un totale di 90 ettari di terra e relative case coloniche. Quale erede dei tre figli avuti dal primo marito, scomparsi tutti in età pupillare, a Chiara erano pervenuti edifici con botteghe e banchi di beccherie in Bologna e svariati fondi e possessioni nella pianura e nella prima collina per quasi 330 ettari. Il G., che aveva già visto incrementato da lasciti di altri parenti il patrimonio pervenutogli dalla eredità del nonno, si trovò così titolare di un complesso di beni tra i più solidi e ingenti dell'intera città.
All'amministrazione di questi beni il G. si dedicò con costanza e una solida concezione di impresa, imperniata sulla gestione delle proprietà terriere. Emblematico fu a tale proposito l'acquisto nel 1461 di un edificio nel campo del Mercato che il G. destinò a "casa dei granai". Qui, sotto la responsabilità di un "governatore", i prodotti delle sue terre venivano raccolti e commercializzati. Nel novembre dello stesso 1461, in connessione con l'attivazione della "casa dei granai", il G. fece redigere un accurato inventario di tutti i suoi beni. Vi registrò data e causa dei singoli acquisti e i relativi atti di disposizione e integrò l'elenco con le descrizioni degli altri beni in seguito acquisiti. L'inventario consente anche di conoscere i criteri con cui il G. conduceva la sua impresa. La maggioranza delle proprietà terriere era gestita direttamente, con l'ovvio ricorso ad ausiliari in loco; alcuni appezzamenti, specie quelli più isolati, erano concessi con "fitti a francare", per un canone annuo pari solitamente al 6% del prezzo d'acquisto e con possibilità per l'affittuario di acquisirne entro dieci anni la piena proprietà versando al G. l'intero prezzo d'acquisto originario. Poche tracce restano di suoi investimenti in attività puramente finanziarie, e limitato interesse riscosse anche la sottoscrizione di quote dei Monti di pubbliche prestanze su cui si basava la gestione della Tesoreria comunale, principale strumento di potere della oligarchia cittadina. Relativamente scarsi furono anche i prestiti di denaro, elargiti per lo più in connessione a opere o attività che lo vedevano diretto interessato. I redditi dell'ingente patrimonio immobiliare e soprattutto fondiario venivano impiegati essenzialmente nell'incremento dello stesso, espandendo con acquisti mirati le proprietà pervenutegli, ripristinandone, se necessario, la funzionalità e la produttività, acquisendo ulteriori possessioni in specifiche località, sì da costituire vere e proprie aziende o comunque appezzamenti di ampie dimensioni e tali da consentire una loro gestione integrata.
Nel quadro complessivo ed estremamente articolato dell'attività del G. spiccano gli acquisti di terreni, servitù attive e privilegi a favore del mulino di Castenaso e la convenzione stipulata nell'aprile 1454 con Aristotele Fioravanti e altri per rimetterlo in piena efficienza; l'acquisto di 32 ettari nelle vicinanze di Altedo per integrare una possessione ereditata dalla madre; l'acquisto di numerosi appezzamenti di terra a Bello, Casalfiumanese e Fiagnano nel contado di Imola e a Medicina, Castel San Pietro, Villa Fontana e Fiesso nel contado di Bologna; il continuo incremento delle proprietà urbane, alcune delle quali frutto di acquisti per una loro integrale riedificazione, altre quali risultati occasionali per crediti insoluti.
Tra le opere promosse dal G. nell'ambito cittadino una ebbe valenze diverse da quelle puramente economiche. Nel marzo 1460 insieme con il cugino Gabriele il G. ottenne il patronato della prima cappella, ancora in costruzione, nella navata sinistra della chiesa di S. Domenico e si impegnò a condurla a termine. Affidò l'opera all'architetto Giovanni di Pietro del lago di Como e si avvalse per l'ornamento esterno dell'intervento di Giovanni Negri. La cappella, dedicata prima a S. Giovanni, poi alla Madonna del Rosario, venne arricchita dagli eredi con tavole di Ludovico Carracci, Denis Calvart, Bartolomeo Cesi e Guido Reni e custodisce ora le spoglie di quest'ultimo e di Elisabetta Sirani. Non sembra invece, nonostante una cronaca di famiglia gliene dia il merito, che al G. debba essere attribuito l'intervento che portò all'apertura dell'attuale piazza Calderini, su cui aggetta la fronte del palazzo di famiglia. Il G. aveva ottenuto in proprietà una parte del palazzo e in essa pose per un certo tempo la sua residenza; ma gli interventi da lui promossi sull'edificio e sulle sue adiacenze non ebbero particolare risalto.
L'alto livello sociale ed economico cui il G. era giunto ne rendeva naturale la presenza negli incarichi pubblici, ma è indubbio che, senza rifuggirne, egli cercò a lungo di contenerne i relativi impegni. Fondamentale in questo contesto fu peraltro la scelta da lui compiuta nel giugno 1445. In una fase di acuta crisi istituzionale, in seguito all'uccisione di Annibale Bentivoglio per mano di Baldassarre Canetoli, la vittoriosa reazione dei bentivoleschi insediò un nuovo Collegio dei riformatori dello Stato di libertà del quale il G. fece parte. Fu una chiara scelta di campo, sempre mantenuta con coerenza e non priva di notevoli vantaggi. Nei due successivi decenni, oltre a qualche incarico occasionale e temporaneo - in missione a Firenze nel 1449 per scorribande di milizie; deputato a favorire il transito dei pellegrini verso Roma nel 1450 - fu di nuovo nel Collegio dei riformatori nel 1453 e 1454, quando vennero emanati i nuovi statuti della città. Nel 1455 fu riformatore dello Studio e gonfaloniere di Giustizia, presidente cioè per un bimestre del Collegio degli anziani. Erano tutti incarichi pressoché ovvi per una persona del suo rango e privi, in fondo, di particolari conseguenze.
Diverso fu invece il caso della ambasceria affidatagli, con Cristoforo Caccianemici, nel settembre 1464 al papa Paolo II, appena eletto. L'incarico ufficiale prevedeva che essi presentassero al papa, oltre alle felicitazioni d'uso, la supplica per la conferma dei "capitoli di Nicolò V"; ma era loro richiesto, e neppure troppo velatamente, di ottenere un esplicito riconoscimento per quella che appariva ormai una tipica signoria cittadina, saldamente tenuta da Giovanni Bentivoglio. Le trattative si protrassero a lungo e nel giugno 1465 vi fu un'altra ambasceria, in cui il G. fu affiancato da Paolo Della Volta, dottore dello Studio. L'intensa attività diplomatica raggiunse, in buona parte, lo scopo. Il 31 genn. 1466, di ritorno da Roma, il G. informava il governo di Bologna dei risultati ottenuti: oltre alla conferma dei "capitoli di Nicolò V", Paolo II, pur evitando un riconoscimento formale della signoria del Bentivoglio, ne sanciva di fatto l'esistenza portando a 21 il numero dei Riformatori dello stato di libertà, rendendo vitalizio il loro ufficio e attribuendone la presidenza a Giovanni Bentivoglio.
Per l'attuazione di queste concessioni fu necessario attendere l'ingresso in Bologna del nuovo legato pontificio, il cardinale Angelo Capranica, che giunse nel giugno successivo. Fu allora reso pubblico l'elenco dei riformatori nominati da Paolo II e tra essi figurava anche il Guidotti. Nel febbraio 1466 egli era stato nominato rettore della Camera degli atti, l'archivio dello Stato bolognese. Fu un incarico particolarmente consono alla personalità del G. che, senza vantare specifici titoli in materia giuridica, aveva sempre mostrato interesse per l'ordinata e funzionale conservazione della documentazione. A lui si deve infatti la creazione di un archivio di famiglia, che vive tuttora di vita propria.
Nel 1467 fu uno dei presidenti della fabbrica di S. Petronio. Fu anche e ripetutamente gonfaloniere di Giustizia: nel 1466, 1469, 1473, 1476 e ancora nel secondo bimestre del 1478.
Durante quest'ultimo incarico, il 15 apr. 1478, la morte lo colse a Bologna.
Lasciava ai tre piccoli figli, affidati alla tutela della madre, un patrimonio comprendente una ventina di immobili in città, svariati crediti e possessioni e appezzamenti nei contadi di Bologna e Imola per oltre 700 ettari, con una solida struttura gestionale, imperniata sulla "casa dei granai"; lasciava anche, altrettanto preziosa, una posizione di chiara adesione alla signoria dei Bentivoglio, che sembrava allora destinata a una lunga fortuna.
Fonti e Bibl.: Bologna, Fondazione Guidotti Magnani, Archivio Guidotti, Instrumenti, bb. 15, n. 19; 17, nn. 36-37; 19-28: Ricordi di Giovanni Guidotti; Ricordi di Giovanni e di Chiara Guastavillani; Dare e avere di Giovanni Guidotti; Instrumenti Guidotti Mezzavacca, nn. 34, 39, 67-68, 70-71, 74, 78, 98-99, 110, 139-140, 146, 162, 168-170; Ibid., Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Gozzadini, b. 74, f. 19; Manoscritti, B.456; B.698/2°, c. 64; Ibid., Biblioteca universitaria, Manoscritti, 720, 788; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, vol. III, ad ind.; H. de Bursellis, Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononie, a cura di A. Sorbelli, ibid., XXIII, 2, ad ind.; Chartularium Studii Bononiensis, I, a cura di L. Nardi, Bologna 1909, pp. 345-347; Il "Liber secretus iuris Caesarei" dell'Università di Bologna (1451-1500), a cura di C. Piana, Milano 1984, p. 41*; Giovanni, Cronaca di Bologna, a cura di A. Antonelli - R. Pedrini, Bologna 2000, p. 272; G.N. Pasquali Alidosi, Li confalonieri di Giustizia…, Bologna 1616, pp. 13-16; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna…, Bologna 1670, pp. 423 s.; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, I, Bologna 1868, p. 157; IV, ibid. 1872, p. 335; Id., I riformatori dello Stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, I, Bologna 1876, pp. 36-39, 48, 64; F. Malaguzzi Valeri, L'architettura a Bologna nel Rinascimento, Rocca San Casciano 1899, pp. 45-47; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, III, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1933, ad ind.; Riformagioni e provvigioni del Comune di Bologna. Inventario, a cura di B. Neppi, Roma 1961, p. 260; A. De Benedictis, Repubblica per contratto, Bologna 1995, pp. 147 s., 151; L'Archivio dei Riformatori dello Studio. Inventario, a cura di C. Salterini, Bologna 1997, pp. 232-235, 318.